A piazzetta Cuccia arriva il giorno della verità

A piazzetta Cuccia arriva il giorno della verità SI PESANO LE STRATEGIE, IN GIOCO ANCHE L'AUTONOMIA DELL'ISTITUTO NEI CONFRONTI DEGLI AZIONISTI FORTI A piazzetta Cuccia arriva il giorno della verità Si riunisce il Patto. Galateri verso il vertice, ma Maranghi non vuole lasciare MILANO Mediobanca, anno zero. O meglio, la rivincita delle banche in piazzetta Cuccia. E' una sorta di nemesi quella che si sta celebrando in queste ore attorno alla banca d'affari milanese, dopo che i suoi azionisti hanno deciso di andare ad una modifica del sindacato di blocco e delle regole che vi sovraintendono, prima che venisse a scadenza quello in atto e senza passare attraverso l'istituto della denuncia che avrebbe consentito di leggere con chiarezza le diverse posizioni (ammesso che vi siano davvero dei distinguo). L'assemblea del patto di sindacato dell'istituto milanese di piazzetta Cuccia si riunisce oggi in San Protaso (un vicoletto trafficatissimo alle spalle di piazza Cordusio) presso la sede dell'Unicredito Italiano - per dare una approvazione formale alla bozza di nuovo patto già adottata la scorsa settimana dal direttivo del patto, e apprezzata da Vincent Bollore e dagli altri azionisti francesi che hanno ottenuto di poter entrare nel sindacato di blocco della banca d'affari in cambio di un ridimensionamento delle loro quote. Dopo la rinuncia del presidente del patto Piergaetano Marchetti a subentrare a Francesco Cingano alla presidenza di Mediobanca, si conosceranno oggi anche le decisioni assunte dal patto in merito ai nuovi verlici della banca d'affari, in cui viene data per certa l'uscita di scena di Vincenzo Maranghi, qualunque sia la modalità prescelta dall'amministratore delegato per farsi da parte. Sapremo così se Gabriele Galateri verrà chiamato ad assumere la presiden- za e con quali eventuali deleghe che, non essendo oggi previste, richiederanno una modifica statutaria. Si saprà ancora se la carica di amministratore delegato - che in Mediobanca può per ora essere ricoperta solo da chi, essendo direttore generale, è chiamato in consiglio - verrà assegnata subito ed eventualmente a chi. Si saprà, infine, se il pressing degli azionisti (che da qualcuno viene dato per certo), avrà sortito qualche effetto sull'amministratore delegato di Mediobanca, invogliandolo a rassegnare le dimissioni. Fino a venerdì scorso, i suoi collaboratori più stretti escludevano che Maranghi avesse intenzione di dimettersi. Non sono, comunque, questi dettagli il fatto nuovo più rilevante per due motivi. Innanzitutto perché le modalità di uscita di scena di Maranghi non mutano il nocciclo della questione del vertice: la stagione dell'attuale amministratore delegato è finita e lo stesso Maranghi ne è consapevole e in un certo senso sembra averlo accettato. Magari con il retropensiero di mettersi sulla riva del fiume e confucianamente attendere che passi qualche cadavere. Nell'anno zero della nuova Mediobanca sarà importante capire l'entità dell'autonomia riservata in concreto alla banca d'affari di via Filodrammatici. Purtroppo la verifica di questa autonomia non si potrà avere che a posteriori, perché è funzione diretta della disponibilità delle banche maggiori a farsi da parte e a non interferire. La soluzione trovata per gli assetti azionari dal nuovo patto di sindacato, infatti, non risolve il nodo dei potenziali conflitti d'interesse: Unicredit e Capitalia riducono dall'S al 60Zo le loro partecipazioni, però non escono di scena. Il fatto su cui ragionare, per il momento, è la nemesi che si è verificata nell'istituto milanese. Mediobanca, che Cuccia e Raffaele Mattioli avevano partorito come costola delle tre banche allora d'interesse nazionale - Banca Commerciale Italiana, Credito Italiano, Banca di Roma - perché, però, fosse gestita in modo autonomo, è rimasta davvero tale per tutta la sua vita. Almeno sinora. Nella prima lunghissima fase della sua esistenza - quella che l'ha vista come controllata di secondo livello dell'Ili dalle origini sino al 1989 - pur essendo Mediobanca largamente tributaria delle tre Sin per la sua raccolta, non si è mai verificato che le banche azioniste contassero un nichelino. Nemmeno Romano Prodi, che dal vertice dell'Iri aveva cercato di modificare la partitura, è riuscito completamente nel suo intento. Nella seconda fase della vita della banca d'affari milanese - quella che va dalla privatizzazione sino all'altro ieri - le banche sono riuscite a costringere i privati al servizio dei quali si era messa Mediobanca, ad aumentare il loro impegno finanziario sino ad arrivare a condividere pariteticamente il controllo dell'istituto. E tuttavia nemmeno in questa fase le banche e gli azionisti privati hanno mai condizionato l'operatività della banca d'affari che, dal canto suo, con la messa in mora fiscale dei certificati di deposito ha allentato sino quasi ad annullarla la propria dipendenza dalle banche per la provvista. Il cerchio si chiude oggi, con le mosse promosse da Unicredit e Capitalia per determinare un assetto diverso e sostituire Maranghi. Il tempo dirà se l'obiettivo delle due ex bin sia stato davvero solo quello di cambiare l'amministratore delegato. Oggi è interessante capire come mai le banche riescano nel loro intento di contare nella banca d'affari milanese nel momento a loro meno favorevole: quando da tre sono rimaste in due (perché la Comit non esiste più); quando il loro peso che complessivamente era dair89 pari al 250Zo nel capitale di via Filodrammatici, è ora sceso al 16 e dovrebbe ridursi al 120Zo dopo l'approvazione del nuovo patto. Per questo non è possibile dire che la fine della guerra significa ancora pace e tranquillità per Mediobanca. [f.pod.] r-i Grandi manovre attorno al futuro di piazzetta Cuccia r-i L'amministratore delegato di Mediobanca Vincenzo Maranghi Vertice del nucleo della banca d'affari dopo gli accordi della scorsa settimana

Luoghi citati: Milano, Unicredit