Tre giorni in carcere per una falsa accusa
Tre giorni in carcere per una falsa accusa LA PROCURA DIIVREA ARCHIVIA UNA MISTERIOSA VICENDA DI ESTORSIONE Tre giorni in carcere per una falsa accusa Un amico li aveva messi nei guai: «Vogliono i miei soldi» il caso MACCHE' aguzzini, ma quali estorsori. Eppure, a causa di quell'accusa infamante, fatta da un loro amico che si era inventato tutto, erano finiti in carcere. Quasi tre giorni dietro le sbarre per poi sentirsi dire che si trattava di un errore e che loro non c'entravano nulla con quella storia. La Procura di Ivrea ha archiviato il caso nei confronti di Cristian Cimaglia (difeso dall'avvocato Marialuisa Rossetti), 23 anni e Domenico Fattoruso (avvocato Bruno Delfino), 24 anni, operai di Rivarolo (erano stati denunciati, per lo stesso reato, altri due ragazzi, Amos Toscana e Alessandro Calmieri, 22 e 24 anni, entrambi difesi dall'avvocato Simona Randaccio). «Perché il fatto non sussiste» recita il testo firmato dal pm Antonio Bartolozzi. Ma può bastare per sentirsi riabilitati di fronte all'opinione pubblica? E soprattutto dopo aver trascorso due giorni e mezzo in cella? Parla Cimaglia, faccia da bravo ragazzo, un lavoro da muratore; racconta che l'onta di un'accusa così pesante gli è rimasta addosso anche adesso che si è scoperta la verità: «Già, perché io volevo fare del bene a un amico che invece si è rivelato un infame...». L'amico che lo ha messo nei guai è Enrico Caruso, 21 anni, residente a Rivarolo in viale Berrone 36. E' stato rinviato a giudizio per calunnia, comparirà in udienza preliminare il 23 maggio. Il suo bluff è stato scoperto dopo un lavoro fatto di intercettazioni ambientali e sommarie informazioni. La vicenda risale al primo maggio di un anno fa. Quella sera Cimaglia viene arrestato e con lui anche Fattoruso che, ignaro di tutto, aveva semplicemente dato un passaggio in macchina all'amico. Avevano appuntamento con Caruso. Che, però, era già d'accordo con i carabinieri. Aveva accusato Cimaglia ed altri due amici (Toscana e Palmieri) pochi giorni prima: «Vogliono due milioni di lire da me, mi minacciano, chiedono quel denaro senza motivo». Una storia, poi si scoprirà, inventata di sana pianta. Perché Caruso doveva davvero i due milioni a Cimaglia, che glieli aveva prestati tempo prima e li rivoleva indietro. L'incontro avviene nel piazzale di San Francesco: Caruso consegna una banconota da 100 euro segnata a Cimaglia e se ne va. Pochi minuti dopo una pattuglia dei carabinieri ferma la Fiat Uno di Fattoruso. E' sufficiente una velo¬ ce perquisizione per trovate i 100 euro segnati e incastrare i due ragazzi. «Sono finito in carcere spiega Fattoruso, ancora incredulo per quello che gli è accaduto un anno fa - senza neppure sapere il perché, solo per aver dato un passaggio a Cristian. E' assurdo, ho rischiato di perdere il lavoro, è stato scritto che avevo precedenti penali quando non è assolutamente vero, mi vergognavo perfino ad uscire di casa». L'avvocato difensore di Cimaglia, Marialuisa Rossetti spiega: «Ci costituiremo parte civile, il mio assistito ha avuto un danno notevole da parte di chi lo ha accusato ingiustamente». E aggiunge: «Sono tutti ragazzi normali, che fanno una vita normale, che hanno avuto un danno pesante per un'accusa inesistente». Cristian Cimaglia scuote la testa: «E' stata un'esperienza che non auguro neppure al mio peggior nemico, sono finito in carcere per colpa di un infame, non glielo perdonerò finché vivo. Ora spero solo che la gente finalmente capisca come è andata davvero». C. Cimaglia (a sin.) e D. Fattoruso
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