«Disertori uccisi a uno a uno»

«Disertori uccisi a uno a uno» «Disertori uccisi a uno a uno» I racconti degli iracheni che si sono arresi ai curdi Christophe Chàtelot La paura, la fame, la sete. E' questo, a sentire le testimonianze di ventisei disertori, raccolte nel Kurdistan iracheno dall'organizzazione non governativa per i diritti umani «Human Rights Watch» (HRW), la vita quotidiana dei soldati dell'esercito iracheno dall'inizio della guerra. Le forze di Saddam Hussein sono le grandi assenti nel flusso di immagini che arriva in continuazione dal teatro delle operazioni. Queste testimonianze, che ovviamente sono frammentarie, descrivono un esercito regolare di povera gente demoralizzata, che ha ben poco a che vedere con la propaganda ufficiale. «Le nostre condizioni di vita erano pessime», racconta uno dei disertori intervistati all'inizio di aprile da «Human Rights Watch» nel carcere del Partito democratico curdo (Pdc) allesti- to nei pressi della città di Arbil (Nord dell'Iraq), visitato dalla Croce rossa intemazionale e dal Programma alimentare mondiale. «AI fronte, avevamo della zuppa e del tè al mattino, del riso crudo a mezzogiorno e spesso niente per cena (...). Non avevamo tende e dormivamo all'aperto, nelle trincee», aggiunge. Rincara la dose un giovane soldato del Quinto corpo d'Armata, originario di Baghdad: «Certi giorni avevamo così fame che mangiavamo l'erba mescolata con l'acqua». Acqua raccolta nelle buche dopo la pioggia. Questi uomini si soffermano in particolare sul clima di terrore che regna nell'esercito, sulle minacce di morte e i maltrattamenti. Un disertore ricorda come, il 26 marzo, un colonnello avesse riunito le sue unità su un prato per mostrare loro «queDo che succede ai traditori della nazione», in quel caso dieci disertori: «Li uccise uno dopo l'altro (...). Poi i loro corpi vennero portati ed psposti sul versante della collina, perché i cadaveri fossero ben visibili a tutti». C'erano poi i bombardamenti a tappeto. «Le bombe americane piovevano sulle nostre teste, soprattutto dopo il tramonto del sole. Una notte abbiamo tentato di lasciare la trincea ma un ufficiale ci ha costretti a restare, sotto la minaccia delle sue armi. La notte successiva abbiamo deciso di passare dall'altra parte», racconta un soldato di 25 anni, originario di Mossul. «L'altra parte» è il Kurdistan iracheno, regione autonoma nel Nord del Paese, che i disertori hanno raggiunto dopo parecchie ore di marcia. Secondo «Human Rights Watch», i peshmerga - i combatten ti curdi nord-iracheni dell'Unione patriottica del Kurdistan (Puk), che combattono a fianco delle truppe americane - li trattano con umanità. Non è scomparsa però la paura, e non solo quella delle rappresaglie di un regime iracheno che non ha più scampo. «Mia moghe aspetta un bambino - confida un soldato di 26 anni -. Abitiamo a Baghdad nei pressi di una base militare e io sono convinto che gli americani l'hanno bombardata». Copyright Le Monde Un'associazioneperi diritti umani: «I soldati raccontano di fame, sete e paura. E di ufficiali con le armi spianate per impedire la loro fuga» Soldati della Guardia Repubblicana inneggiano al Raiss Anche in questi reparti scelti si registra un certo numero di diserzioni

Persone citate: Christophe Chàtelot, Saddam Hussein

Luoghi citati: Baghdad, Iraq, Kurdistan, Mossul, Puk