Paolini: «Non posso fare "Vajont" per tutta la vita»

Paolini: «Non posso fare "Vajont" per tutta la vita» PARLA IL PROTAGONISTA AMMIRATO E IMITATO, IN SCENA CON «ALBUM», VICENDE DI GENTE PICCOLA E GRANDE Paolini: «Non posso fare "Vajont" per tutta la vita» Si è costruito la fama con la sua prosa-inchiesta, squarci d'Italia, mostri civili: «Il rischio è di passare per un surrogato d'impegno» Osvaldo Guerrieri TORINO Anche quando ti fa ridere con quelle storie di giocatori di rugby un po' sbilenchi, o di attacchini abusivi che antepongono la santità della causa ai regolamenti della burocrazia, hai sempre l'impressione che Marco Paolini voglia sequestrarti dentro un'idea maligna, mollare ceffoni, sbraitare contro qualcuno, svelare quel che c'è sotto. Sotto che cosa? Mah: c'è un sotto per ogni cosa. Forse è una conseguenza del genere di fama che si è costruito, un frutto di quel teatro-inchiesta, teatro-verità, teatro-denuncia con cui, da elemento di fila, Paolini è diventato protagonista ammirato e imitato. «Contro le mie intenzioni, mi hanno fatto diventare il cronista d'Italia», dice. Sì, è vero: il Vajont, Ustica, l'Italicus... E senti che un po' gli dispiace, anche se ha riempito i teatri, persino i teatri borghesi, e di ciò va fiero. Tanto per non smentirsi, Paolini riempie in questi giorni il Carignano con i suoi «Album». Sono le storie che lui ha messo insieme nel tempo, vicende di gente piccola e grande che agisce in un mondo minuscolo oppure in contesti abnormi. A sere alterne propone «Aprile», «Stazione di transito», bozzetti di provincia, con i personaggi che da una storia passano all'altra, come se fossero uno spirito del tempo, come se dovessero incarnare un'idea pedagogica di crescita non sempre felice. E' dallo scorso anno che Paolini gira l'Italia con gli «Album». Non sono sempre gli stessi. In certe città è necessario proporre «Ustica», in altre «Il Milione». Dipende da chi ascolta. Qui, a Torino, c'è «Aprile», che parla di violenza: è stato ripreso nei giorni di Geno¬ va, e poiché a Genova Paolini non c'era, ecco che ha raccontato di sghembo l'inferno urbano. «Stazione di transito», invece, parla di terrorismo, di treni fatti saltare. Spiega: «Non racconto con la mediazione della letteratura, racconto quel che significava prendere il treno in quegli anni, sullo sfondo di un paese traumatizzato, che non ha saputo tesaurizzare l'esperienza del passato». Squarci d'Italia, mostri civili, aberrazioni, inganni. Con quadernoni di cifre, con lavagne alle spalle, Paolini ha consegnato di sé l'immagine dell'attore che parla e parla, denuncia, s'indigna. Non racconta pietre. Racconta uomini. E quasi gli hanno messo addosso una divi- sa, che lui respinge: «Vorrei non averla, la divisa. Vorrei cambiare tutte le volte che ne sento il bisogno». Per non radicare gli equivoci. E infatti: «Il rischio è di passare per un bignami o per un surrogato d'impegno». Precisa: «Non sputo sui teatri. Sono il simbolo di una socialità dignitosissima. E anche il mio mestiere... È strano... Io sono un anfibio, mi piace vivere in acqua e in terra, soprattutto perché so che non posso fare "Vajont" tutte le sere, non ha senso considerarlo uno spettacolo da replicare». Sarà per questo che Paolini non medita su imprese nuove. Dice: «Ho programmi più intimi». Per esempio? «Studiare. Vorrei studiare Ruzante perché come attore voglio confrontarmi con lui, anche se non posso permettermi di metterlo in scena». E poi? «Vorrei dedicarmi a Dino Campana, che è come ascoltare certa musica: se non lo fai ogni tanto, sfuma». Quindi il futuro? «Non so se farò uno spettacolo di personaggi o se cercherò una parte in commedia. In estate porterò frammenti qua e là. Ma niente di nuovo». Come ha già fatto due anni fa, Paolini prenderà un anno sabbatico, mediterà. «Inutile rincorrere l'attualità, meglio essere anacronistici». L'obiettivo più vicino? «Anche se qualcuno pensa che sono un mezzo cronista, voglio ricordargli che in realtà sono un altro». Chi? «Un anfibio». «Contro le mie intenzioni mi hanno fatto diventare il cronista del Paese» Marco Paolini propone al Carignano, per Album, a sere alterne, «Aprile» e «Stazione di transito» «Non sputo sui teatri Sono il simbolo di una socialità dignitosissima»