Baghdad al buio incomincia a sentire i cannoni del nemico

Baghdad al buio incomincia a sentire i cannoni del nemico PER LA PRIMA VOLTA LA CAPITALE SENZA ELETTRICITÀ' Baghdad al buio incomincia a sentire i cannoni del nemico E' terrorizzata la popolazione dei sobborghi: se il regime decidesse di impiegare le armi chimiche sarebbe presa in una morsa terribile. Saddam riappare in tv: «Battetevi con le mani» reportage Giuseppe Zaccaria inviato a BAGHDAD LI ASSEDIO di Baghdad è «viri tualmente» cominciato: sul!' aeroporto intemazionale Saddam Hussein sono piombati gli uomini del Terzo fanteria Usa e nella notte l'hanno conquistato. Ma circondare una metropoli di 48 chilometri di diametro, mentre tutt'intomo continuano le incursioni di reparti guerriglieri, è un'operazione che non ha precedenti nella storia ed è densa di rischi. I comunicati degli stati maggiori si intrecciano a note d'agenzia o «flash» della televisione e volta per volta danno gli anglo-americani a cinque chilometri dalla periferia Sud, all'interno della più sontuosa fra le regge di Saddam, quella di Radwanje (Nord-Ovest) o in lotta per il possesso dell'aeroporto. Gli iracheni ribattono cocciuti che l'esercito invasore è stato respinto fino a 180 chilometri dalla città e il vice premier Tareq Aziz dice: «Le truppe alleate non riusciranno a conquistare Baghdad, sarà per loro una guerra molto costosa in termini di vite umane». Ieri sera, per la prima volta, Baghdad era al buio. Un giornalista della Reuters, al seguito delle truppe Usa, ha parlato di decine di persone, soldati e civili iracheni, morte nell'attacco missilistico Usa sul villaggio di Furat, nei pressi dell'aeroporto. Da ore i rumori di battaglia che giungono da Sud hanno mutato di registro e d'intensità, al martellamento dei missili e delle bombe adesso si aggiunge l'eco di duelli d'artiglieria che vedono impegnati i resti della divisione «Medina» della Guardia Repubblicana contro le avanguardie della coalizione. L'aeroporto Saddam Hussein nel pomeriggio era ancora sotto il controllo degli iracheni: il Ministero dell'Informazione aveva organizzato una visita guidata proprio per far riprendere dalle telecamere un impianto desorto ma intatto, piste vuote ma sempre agibili. Sembra che le avanguardie americane si siano avvicinate a Baghdad da Sud-Ovest, lungo la direttrice che proviene da Azizja, e da Sud-Est dopo aver attraversato Mahmudja: lungo la prima delle due arterie ieri sera distavano dalla città meno di 20 chilometri, sull'altra circa il doppio. Da Ovest continuano gli attacchi dei reparti meccanizzati e degli elicotteri, se le cose continueranno così tra poche ore da Baghdad resteranno due sole vie d'uscita: l'autostrada per Amman, battuta dagli attacchi aerei e già bloccata da un checkpoint americano a un'ora e mezza dalla città, e la strada che esce dalla capitale a oriente e punta verso la frontiera iraniana. Si scoprirà presto se l'esercito d'invasione tenterà un ingresso in città, con tutti i rischi che ne conseguono, o si attesterà a una distanza di 5-10 chilometri, anche per non varcare la famosa «linea rossa» oltre la quale i soldati di Saddam potrebbero usare i gas. Da questo punto di vista, per il momento la situazione meteorologi- ca sembra favorire le difese della capitale: ieri al tramonto osservavamo i pennacchi di fumo nero che ancora si levano dalle periferie e segnavano la direzione del vento: puntavano tutti verso Sud. Ma se davvero l'ordine del Raiss fosse quello di usare le ultime armi letali di cui dispone, enorme sarebbe il rischio per gli abitanti di sobborghi come Doah, che conta 70.000 abitanti, o Saddam City, dove 300.000 sciiti vivono ammassati in una sorta di Soweto mediorientale. In quelle aree, il senso di sopportazione mostrata finora di fronte ai bombar¬ damenti americani comincia a cedere 0 passo alla paura. L'altra mattina il nostro autista, che abita proprio a Doah, è arrivato in grande ritardo perché aveva dovuto portare la moglie in ospedale. I bombardamenti delle ultime ore avevano provocato fragori e onde d'urto così potenti da far sì che la donna perdesse sangue dalle orecchie. Oggi l'uomo ha chiesto di essere liberato al più presto perché la famiglia, composta di ragazze e bambini, ormai trascorre le ore fra urla e pianti e comincia a sentirsi doppiamente ostaggio. Se Fedayn o Guar¬ dia Repubblicana usassero i gas, la reazione degli americani sarebbe terribile, e quei civili si troverebbero esattamente nel mezzo. Un po' dappertutto comincia a diffondersi un clima da ultimi giorni che semina nervosismo e introduce le iniziative più incredibili, anche se il controllo del regime pare ancora piuttosto saldo. Ieri, per esempio, il solito Ministero deU'Infonnazione ha deciso di farsi riconsegnare tutti i cartoncini che autorizzano i giornalisti a girare (controllati) per la città. Se ne devono ricevere dei nuovi, di diverso colore, non senza aver saldato prima l'intero debito che qualsiasi giornale, ogni tv, hanno accumulato con il governo iracheno per l'uso dei telefoni sateUitari, i collegamenti e anche per il compenso dei «controllori» che dovrebbero seguire ogni cosa. Deputato a incassare il denaro e a rilasciare una sorta di liberatoria è un funzionario solo, un ometto rinsecchito cui anni fa, per un'accusa poi rivelatasi infondata, la polizia segreta strappò tutte le unghie. Da allora l'omino si è fatto ancora più mite e ossequioso di come il fisico gli suggerirebbe, in un ufficet- to dell'hotel Palestine conta il denaro con dita informi e continua a chiamare «my friends» oppure «habibi», che significa mio caro, chiunque gli capiti a tiro. Per alleggerire il lavoro di controllo gli iracheni hanno anche deciso d'invitare 52 giornalisti ad andarsene, la lista di proscrizione è apparsa ieri sulle vetrine dell'ufficio stampa, ma il problema è che ancora non si sa bene da che parte farli uscire. Anche la condotta dei «segugi», che dovrebbero seguire lo straniero passo dopo passo, comincia ad assumere andamenti strani: c'è chi allenta un po' le maglie dei controlli e chi sostiene a muso duro che praticamente non si possono più mettere i piedi fuori dagli alberghi. Saddam Hussein fa sapere di essere pronto a risarcire dei danni tutti coloro che hanno avuto la casa distrutta e in serata appare alla televisione satellitare irachena intento a presiedere una riunione con il vicepresidente Ramadan e alcuni dirigenti del partito Baath. Nel pomeriggio, per bocca del solito ministro dell'Informazione, aveva lanciato un nuovo appello: «Iracheni, combattete gli invasori con le vostre mani. Dio li maledirà». Forse basterebbe poco a far crollare tutto: l'ultimo filmato aveva l'aria di essere stato registrato in precedenza e per tre giorni il presidente non era apparso in tv, ma aveva fatto leggere dai ministri i suoi comunicati. Se qualcuno fosse in grado di dimostrare che il Raiss è per qualche ragione fuori combattimento, forse l'accanita resistenza irachena cesserebbe. Altri però ci ricordavano che il regime non lotta solo per proteggere Saddam Hussein ma per salvare se stesso e dunque alcuni dei suoi segmenti, come i Fedayn o i trentamila fedelissimi della Guardia, continuerebbero comunque a battersi fino all'ultimo. Un'altra persona confidava: «Anche se domani, come accadde a Bucarest per Ceaucescu, la tv mostrasse il corpo senza vita del presidente, tornando a casa io andrei a letto senza fame parola neppure con mia moglie. Venticinque anni di regime ci hanno abituati a essere prudenti anche in casa. Se Saddam Hussein non ci fosse più, penso che gli iracheni comincerebbero a reagire dopo non meno di un mese, quando si fossero sincerati che davvero le cose stavano così». Amano a mano che trascorrono le ore e l'avversario si avvicina, la città toma a rintanarsi e a coltivare l'antichissima arte del silenzio. La Guardia Repubblicana riunita alle porte di Baghdad per la difesa della città