Il boom di virus e batteri e lo spettro della spagnola di Eugenia Tognotti

Il boom di virus e batteri e lo spettro della spagnola LE NUOVE EMERGENZE SANITARIE GLOBALI Il boom di virus e batteri e lo spettro della spagnola L'esposizione agli antibiotici ha accelerato i processi di selezione naturale tra gli organismi infettivi, producendo ceppi resistenti la storia Eugenia Tognotti MENTRE la sconsolante conta delle vittime della polmonite atipica subisce continui aggiornamenti, le poche certezze - nonostante la mobilitazione dell'establishment della Sanità pubblica e il generoso lavoro di scienziati, ricercatori, clinici, responsabili di laboratori di diversi Paesi - rischiano in queste ore d'essere sepolte dai dubbi. E non che si tratti di questioni di poco conto: le caratteristiche dell'agente patogeno, di fatto, non sono ancora interamente note e quindi non si potrà contare, a breve, su un trattamento efficace, né su un vaccino né su una misura preventiva davvero adeguata. Inoltre, se l'ospedale sembrava essere stato, in un primo momento, la | culla della malattiaii ora si apprende che la diffusione è avvenuta anche al di fuori: un ele' mento che naturalmente propone il cruciale interrogativo sulle vie di trasmissione. Insomma, a dispetto degli straordinari progressi della medicina scientifica e delle sue clamorose vittorie storiche sulle malattie infettive, questi ultimi decenni stanno proponendo impensabili arretramenti, co-, me dimostra l'inquietante escalation con cui nuovi virus e batteri compaiono sulla scena, componendo un inedito, cupo scenario patologico. Il fatto è che l'esposizione agli antibiotici ha accelerato i normah processi di selezione naturale tra gli organismi infettivi, producendo con preoccupante velocità ceppi resistenti di malattie «vecchie». Inoltre, nuove infezione come l'Aids hanno dimostrato ima straordinaria resistenza nei confronti dei collaudati metodi di terapia chimica. Di fronte al mistero della «Sars» sembra riprodursi, paradossalmente, la situazione nella quale si trovavano, nqll'era prebatteriologica, gli antichi Magistrati di Sanità, quando si annunciava un'epidemia di peste e, più tardi, di colera. L'unica strategia possibile era naturalmente quella di stendere un fitto cordone sanitario e di impedire, se necessario, con la forza delle armi, lo sbarco delle navi provenienti da zone infette o l'entrata negli •abitati di individui privi di patente «sanitaria», cioè di un attestato dal quale risultasse che il luogo di provenienza era immune «dal morbo». Nell'Ottocento però il blocco dei trasporti e della circolazio¬ ne di uomini e merci da un Paese all'altro d'Europa e per i diversi porti del Mediterraneo cominciò ad essere considerato una jaltura dai governi: la sorda e silenziosa lotta con le autorità sanitarie per nascondere il più a lungo possibile «il contagio» si risolveva così in un grave ritardo nell'adottare le misure restrittive, col risultato che, in quel secolo, tre epidemie di colera divamparono come un incendio da una città all'altra, da un porto all'altro del bacino del Mediterraneo. E già nel 1854, il responsabile della Sanità a Livorno lamentava che l'adozione di misure restrittive trovasse un poderoso ostacolo «nella preponderanza acquistata dagli interessi materiali del commercio su quelli della pubblica incolumità». La prima e ultima epidemia del XX secolo - passata alla storia col nome di «spagnola» ripudiò quelle vecchie strategie: del resto sarebbe stato impossibile con l'incessante movimento di uomini e mezzi in quelle ultime settimane di guerra. La batteriologia era allora all'apice del suo trionfo: decine e decine di agenti patogeni, tra cui quello dell'antrace, del colera, della tubercolosi, della peste, della febbre tifoide, della sifilide non erano più un segreto. Lo era invece il misterioso agente killer della terrificante pandemia influenzale: centinaia di ricercatori nei laboratori di tutto il mondo lo cercavano invano con gli arretrati microscopi del tempo, dividendosi sulla cruciale domanda se si trattasse di un batterio (l'Haemophilus influenzae) o di un «virus ultrafiltrabile». La risposta arrivò troppo tardi dall'Istituto Pasteur di Tunisi. Naturalmente il nostro mondo non è quello dell'autunno del 1918, quando il virus letale uccise 20 milioni di persone, più di quanto non riuscì a fare la grande guerra. Oggi gli antibiotici sono in grado di sterminare i batteri che sciamano nei polmoni di persone troppo deboli per respingere l'assalto che provoca la polmonite. Le infezioni batteriche secondarie non troverebbero terreno fertile in organismi indeboliti, nuovi farmaci sono in grado di attenuare i sintomi, gli organismi della sanità pubblica hanno steso una rete difensiva che segue ogni modificazione dei virus. E tuttavia non sembra esagerato chiedersi che cosa accadrebbe se una mutazione davvero letale sfuggisse al controllo e se un ceppo interamente nuovo di un virus, in grado di seminare la morte, comparisse all'alba di questo millennio. Fortunatamente il nostro mondo non è quello dell'autunno 1918, quando «l'influenza mortale» uccise 20 milioni di persone. Oggi ci difende una rete sanitaria internazionale Un moderno laboratorio di analisi Un ospedale nel 1918, quando la spagnola uccise 20 milioni di persone

Persone citate: Magistrati

Luoghi citati: Europa, Livorno, Tunisi