Europa, un solo fronte anche per gli armamenti

Europa, un solo fronte anche per gli armamenti LA PROPOSTA DI LIIKANEN, COMMISSARIO UE PER LE IMPRESE Europa, un solo fronte anche per gli armamenti «Siamo troppo deboli, nel campo della difesa spendiamo la metà degli Stati Uniti, ma la nostra capacità militare vale un decimo. E nella ricerca il divario è ancora maggiore» Intervista Enrico Singer corrispondente da BRUXELLES LA guerra in Iraq ha messo a nudo le grandi fragilità dell' Unione europea. La mancanza di una voce unica in politica estera, prima di tutto. Ma anche l'assenza di una politica coerente di difesa comune. «Non possiamo affidare alla Uè le nostre aspettative di benessere economico e agli Stati Uniti la nostra sicurezza», ha denunciato il presidente della Commissione, Romano Prodi, appena pochi giorni fa. Perché «i problemi degli europei devono risolverli gli europei». Sotto i colpi della crisi, qualche cosa comincia a muoversi,: il 29 aprile si terrà a Briuxelles un mini-vertice a quattro - Francia, Germania, Belgio e Lussemburgo -per affrontare proprio il capitolo della difesa. Tra polemiche, sospetti e un rischio che, senza tanti giri di parole, è stato denunciato da un esperto della materia: il segretario generale della Nato, lord Robertson. Il rischio è che l'Europa della difesa partorisca una «tigre di carta» perché, ancora prima che una politica, la Uè non ha capacità adeguate a sostenere il confronto con gli Usa. Erkki Liikanen, commissario europeo per le Imprese e per la Società dell'informazione - finlandese, 53 anni, una grande passione per la Formula 1 e una grande esperienza nel mondo della finanza, della scienza e della tecnologia ha elaborato una proposta per arrivare a un «mercato unico degli armamenti» in Europa che possa sostenere la politica di sicurezza e di difesa. La proposta è contenuta in una comunicazione che la Commissione ha approvato TU marzo e che è stata presentata al Consigho dei capi di Stato e di governo dei Quindici del 20 e 21 marzo. E che, per la prima volta nella storia comunitaria, ha avuto luce verde. In questa intervista, Liikanen fa il punto sui ritardi che esistono e sulle prospettive che possono aprirsi. In un mercato che diventerà sempre più strategico. Commissario Liikanen, nel campo della difesa l'Europa rischia di partorire una tigre di carta, come dice lord Robertson? «Semmai l'Europa è debole oggi. La frammentazione del mercato e delle industrie ha come risultato costi alti e scarsa efficienza. Presi tutti insieme i paesi dell' Unione spendono poco meno della metà di quanto spendono gli Usa nel campo della difesa. Il totale del budget americano è di 390 miliardi di dollari l'anno e quello della Uè è di 160 miliardi di euro. Per anni, poi, gli investimenti europei nell'industria della difesa sono stati molto più bassi che negli Stati Uniti: 40 miliardi l'anno di euro contro 100 miliardi di dollari. E nella ricerca il divario è maggiore: 10 miliardi di euro contro 50 imbardi di dollari. Ma, a parte i livelli assoluti di spesa che si spiegano anche in funzione dei rispettivi obiettivi strategici, l'Europa ottiene molto meno in termini di capacità operative. La capacità militare dei paesi dell'Unione è valutata attorno al 10 per cento di quella americana. Ecco il vero problema: spendiamo, comunque, la metà e ricaviamo un decimo». Che cosa propone per uscire da questa situazione? «Bisogna dire subito che i Trattati attuali, all'articolo 296, assicurano agli Stati il diritto di "proteggere i loro interessi di sicurezza" e mettono, così, in una specie di zona grigia il settore dell'industria degli armamenti al quale non si applicano tutte le regole del mercato unico. Per superare questo limite, che ha contribuito non poco alla frammentazione a livello nazionale, sarà molto importante la Convenzione che sta preparando il nuovo Trattato costituzionale. Nella Convenzione c'è un gruppo di lavoro difesa - l'ottavo, guidato dal commissario Michel Bamier - che si è già pronunciato per la necessità di ima politica degli armamenti comune e per la creazione di una Agenzia europea della Difesa. Ma anche con i Trattati attuali si possono cominciare a fare delle cose. Nella mia comunicazione propongo di migliorare la qualità del quadro legislativo che governa il settore degli armamenti». Che cosa vuol dire nella pratica? «Vuol dire armonizzare le leggi nazionali almeno in tre areechiave: la domanda, l'offerta e le regole del mercato. Oggi non c'è in Europa una standardizzazione in questo campo così delicato e importante. Né al livello dei bisogni, né a quello della produzione, né al livello delle norme per le commesse. Dobbiamo partire da qui. Siamo ancora all'inizio di un percorso. Ma una novità importante c'è stata proprio all'ultimo Consiglio europeo. Nelle conclusioni, al punto 35, si riconosce il ruolo che la ricerca e lo sviluppo nel settore della difesa hanno per promuovere le tecnologie di punta e stimolare l'innovazione e la competitività. E si riconosce anche l'utilità di un'Agenzia intergovernativa di sviluppo delle capacità di difesa. E' una grande novità, perché per anni nulla si era mosso in questo terreno. La mia è la terza comunicazione piena di proposte che la Commissione approva: le altre due sono del 1996 e del 1997. Ma, allora, gli Stati erano rimasti in silenzio». C'è una scaletta d'interven- ti con scadenze precise? «La Commissione propone di arrivare entro il 2004 a stilare un manuale europeo della standardizzazione degli armamenti. Già entro quest'anno, invece, vogliamo lanciare uno studio per valutare l'impatto delle norme vigenti e per introdurre il massimo delle regole della concorrenza nel settore della difesa. Sempre entro la fine del 2003 la Commissione pubblicherà una comunicazione interpretativa delle decisioni che la Corte di giustizia ha preso negli ultimi anni sull'applicazione deU'artico,lo 296 di cui parlavamo prima. Lavoreremo anche a un Libro Verde che pubblicheremo nel 2004 e che potrà servire da base di discussione con tutte le parti interessate. Sono tutte iniziative che andranno avanti durante la presidenza italiana. E conto molto sull'impegno del governo di Roma su questi punti». L'Italia ha un'industria mili¬ te a un movimento costante di integrazione nel settore degli armamenti. Soltanto con un mercato integrato riusciremo a superare la frammentazione, a ridurre i costi, ad aumentare la ricerca, a rimanere competitivi. E potremo giocare un ruolo nel mercato americano: una maggiore penetrazione nei mercati esteri - specialmente in quello Usa per i prodotti di difesa europei è un obiettivo essenziale. Se questo processo non avverrà, il mer- cato europeo rimarrà aperto ai prodotti americani, mentre quello statunitense rimarrà chiuso agli europei, a parte quelle poche aziende di proprietà europea che sono, però, basate negli Stati Uniti». Ma che cosa rende così diversi i mercati della difesa da una parte e dall'altra dell'Atlantico? «Tra i tanti, un aspetto che spesso viene sottovalutato da noi è quello che gli americani chiamano delle "dual technologies": le tecnologie a doppio utilizzo. Militare e civile, appunto. Questo spiega l'interesse e la grande quantità di risorse investite nella ricerca che sono poi ampiamente ripagate dai risultati. Basta pensare a Internet che è nato dal piano militare Arpanet di comunicazioni per la difesa. O al sistema di navigazione satellitare Gps, sempre nato come strumento militare. L'elenco sarebbe lungo, ma ci sono almeno 25 grandi progetti di "dual technologies" che sono stati sviluppati negli Usa. In Europa abbiamo provato finora a separare la parte civile da quella militare per ragioni politiche. Ma nel campo delle comunicazioni, per esempio, è impossibile una simile divisione. Adesso dobbiamo sviluppare anche noi questo tipo di tecnologie. Già a partire dalla ricerca». Nel mercato degli armamenti un punto sensibile è la vendita ai paesi terzi che spesso sono paesi attraversati da guerre civili. Se non, addirittura, a paesi come l'Iraq. Esiste un problema etico? Come lo affrontate? «Gli sforzi per imporre delle regole etiche nelle esportazioni di armi, in Europa, sono cominciati tra il 1991 e il 1992 con l'adozione degli otto principi fissati nei vertici di Lussemburgo e di Lisbona. Poi, nel 1998 è stato adottato il codice europeo delle esportazioni di armi. Questo codice di condotta, politicamente impegnativo, fissa per i paesi dell'Unione degli standard comuni da usare quando si esportano armi per aumentare la trasparenza di queste transazioni. C'è anche uno specifico meccanismo operativo per scoraggiare uno Stato membro a vendere le armi che un altro Stato europeo ha rifiutato. Ma oggi l'obiettivo deve essere quello di aumentare l'efficienza e la competitività del settore dell'industria della difesa perché in questo modo le vendite si orienteranno automaticamente verso i paesi sviluppati e si ridurranno le pressioni economiche che adesso spingono a vendere a paesi in via di sviluppo che, molte volte, sono meno stabili dal punto di vista della sicurezza». Sulla strada del mercato comune della difesa, qual è ora la prima cosa da fare? «Gh Stati membri, le imprese, la comunità scientifica devono per prima cosa identificare le necessità comuni. Dobbiamo creare insieme una base statistica dei bisogni perché quella che abbiamo ancora non è sufficiente. E perché è necessaria per mettere insieme conoscenza, ricerca e investimenti per sviluppare quelle tecnologie che serviranno, poi, a costruire la sicurezza dell'Europa nel lungo termine. Soltanto un'industria degli armamenti competitiva potrà sostenere quella che nel lessico comunitario è chiamata Pesd: la politica europea di sicurezza e di difesa. Il cammino sarà lungo. L'importante è muovere i primi passi. E muoverli nella direzione giusta». ébljfe Occorre "" riconoscere il ruolo che lo sviluppo e la ricerca nel settore della difesa hanno per promuovere l'hitech di punta e dare grandi stimoli a innovazione e competitività 99 66 Da noi vengono sottovalutate e separate per motivi politici le tecnologie a doppio utilizzo, militare e civile. Negli Usa vi si investono grandi risorse ripagate dai risultati 99 66 Per imporre regole etiche nelle esportazioni di armi, dopo i vertici di Lussemburgo e di Lisbona nel'98 è stato adottato un codice europeo di condotta politicamente impegnativo che fissa per i paesi dell'Unione degli standard comuni al fine di dare trasparenza alle transazioni 99 I commissario europeo Erkki Liikanen nel disegno di Ettore Viola 66 kanen e Viola di armi, di Lussenel'98 èun codicpoliticamche fissadegli stadi dare talle trans tare rilevante in Europa? «Si. E con settori di eccellenza. Ma l'industria più forte è in Inghilterra, in Francia, in Germania. Anche in Spagna e in Svezia ci sono realtà importanti. Poi ci sono i nuovi Paesi membri, a cominciare dalla Polonia e della Repubblica ceca. Ma ormai dobbiamo imparare a ragionare a livello europeo e non più soltanto a livello nazionale. Il concetto di industria nazionale di difesa è superato. Siamo di fron¬

Persone citate: Enrico Singer, Erkki Liikanen, Ettore Viola, Liikanen, Michel Bamier, Romano Prodi