PACE Com'è attuale il messaggio di Papa Giovanni di Maria Latella

PACE Com'è attuale il messaggio di Papa Giovanni IL GIUDICE COSTITUZIONALE FLICK ALLA TAVOLA ROTONDA SU «SOVRANITÀ'., CITTADINANZA E DIRITTI FONDAMENTALI» PACE Com'è attuale il messaggio di Papa Giovanni Il professor Giovanni Maria Flick interverrà oggi a Foggia alla tavola rotonda moderata da Maria Latella sul tema «Sovranità, cittadinanza e diritti fondamentali». Pubblichiamo qui di seguito il testo del suo intervento, incentrato sull'enciclica «Pacem in Terris» di Giovanni XXIII di Cui 1' 11 aprile ricorre il quarantesimo anniversario. La «Pacem in Terris» è di grande attualità in questi giorni: è infatti un documento fondamentale nel definire i rapporti fra il cattolicesimo e il mondo moderno, così come si era configurato in piena guerra fredda. In un modo profondamente e ideologicamente diviso affermava i principi del bene comune universale e del rispetto dovuto ai diritti dell'uomo. intervento Giovanni Maria flick RILEGGERE oggi la Pacem in Terris di Giovanni XXIU, a quaranta anni di distanza dalla sua pubblicazione di fronte alla guerra in Iraq ed ai problemi che essa propone al mondo, all'Europa e dia coscienza di ciascuno -, impone alcune riflessioni. La prima riflessione riguarda i destinatari dell'enciclica: non soltanto i pastori e i fedeli, ma «tutti gli uomini di buona volontà». Questa universalità del messaggio esprime una laicità che coinvolge anche chi sia fuori della comunità ecclesiale. E' un appello all'uomo, alla sua identità - e quindi alla sua coscienza e responsabUità - anche quando egli non sia toccato dalla fede: un appello, dunque, essenziale nei tempi della globalizzazione, che fra i tantissimi suoi interrogativi irrisolti propone, primo fra tutti, quello del rischio della perdita dell'identità e della centralità della persona. Questa dimensione si coglie altresì nella piena equiparazione che l'enciclica propone fra la persona e le diverse comunità politiche - intermedie, nazionali, mondiah - in cui si svolge l'identità di essa. Le regole e i valori che devono, informare sia i rapporti degli esseri umani fra loro, sia quelli fra i primi e le diverse comunità, sia quelli fra queste ultime, rimangono sempre gli stessi: tutti sono tenuti a portare il loro specifico contributo alla realizzazione del bene comune e della pace; tutti sono egualmente soggetti di diritti e doveri che nascono dalla dignità e dall'eguaglianza delle persone; tutti sono impegnati a regolare i reciproci rapporti nella verità, nella giustizia, nella solidarietà operante e nella libertà. E anche qui emerge quella centralità della persona senza possibilità di distinzione fra individuale, sociale e collettivo - che costituisce senza dubbio un tema fondamentale e irrisolto per affrontare gli sviluppi patologici e settoriali della globalizzazione. La seconda riflessione riguarda l'attualità, la contestualizzazione e al tempo stesso il valore profetico dell'enciclica, di fronte agli eventi di guerra odierni e agli interrogativi angosciosi che ne scaturiscono per il futuro di tutti noi. E' una contestualizzazione che non si coglie solamente nel richiamo costante e puntuale dell'enciclica al «segno dei tempi»: un richiamo presente nell'analisi dei diritti e doveri che scaturisco¬ no dalla dignità umana, dei rapporti fra persona e poteri pubblici nelle singole comunità politiche, dei rapporti di queste ultime fra di loro e con la comunità politica mondiale. Essa si coglie anche, e forse prima ancora, nelle constatazioni dell'enciclica che mettono a fuoco ed anticipano alcuni fra i granài temi di quel dibattito sulla globalizzazione, poi sviluppatosi ampiamente: temi che riemergono, anche se non sempre con chiarezza, nel dibattito di questi giorni sulla guerra in Iraq. L'accentuarsi degli squilibri economici, sociah e culturali, sottolineato dall'enciclica con l'avvertenza che allo sviluppo economico deve adeguarsi il progresso sociale; la necessità di instaurare fra i vari paesi rapporti di collaborazione, che valgano a superare le sperequazioni nella disponibilità di risorse naturali ed umane; la necessità, ancora, di una cooperazione fra le comunità economicamente sviluppate e quelle in via di sviluppo: sono tutte indicazioni che trovano una drammatica conferma nella contrapposizione fra un Nord e un Sud del mondo, che ha sostituito - dopo la caduta del muro di Berlino - quella fra Est e Ovest di esso. L'enciclica avverte l'inadeguatezza degli ordinamenti giuridici, di fronte al dinamismo della vita sociale; e sottolinea l'insufficienza delle vie già tradizionalmente e ancor oggi percorse dalle comunità politiche nazionali per regolare i loro rapporti in sede diplomatica e convenzionale, bilaterale o multilaterale, di fronte alle profonde trasformazioni del rapporto di convivenza fra uomini e fra comunità e di fronte alle esigenze obiettive del bene comune universale. Essa cioè anticipa la constatazione di quella crisi del diritto, delle sovranità e degli Stati nazionali, che costituisce oggi uno dei punti centrali del dibattito sulla globalizzazione e della ricerca affannosa e urgente di nuove regole, nuovi valori e nuove istituzioni, che esprimano ima capacità globale pari almeno a quella del- l'economia e della informazione. D'altronde è l'enciclica stessa a muovere dai progressi sconvolgenti della scienza e della tecnica, che sollecitano ad una collaborazione e ad una convivenza di ordine mondiale, sottolineando le caratteristiche di mobilità (di idee, uomini, cose) e l'interdipendenza se non addirittura l'unificazione delle economie nella globalizzazione. Ed è sempre essa ad avvertire come, in questo contesto, v'è un rapporto vitale fra il progresso sociale, l'ordine, la sicurezza e la pace delle diverse comunità; sicché nessuna di esse può pensare di perseguire i suoi interessi e svilupparsi chiudendosi in se stessa, in quanto il grado della sua prosperità e del suo sviluppo sono un riflesso e una componente di quello delle altre comunità politiche. Le conseguenze che l'enciclica trae - il bene comune solleva oggi dei problemi complessi, gravissimi e urgenti per la sicurezza e per la pace mondiale, di fronte ai quali occorre trovare degli strumenti adeguati (come il rafforzamento dell'Orni); mentre le controversie fra i popoli non possono essere risolte con il ricorso alla forza ed alle armi - sono di un'attualità evidente. La terza riflessione riguarda la correlazione fra diritti fondamentali e doveri che sono insiti nella natura umana, si fondano sulla dignità della persona e sull'ugùagUanza che ne deriva, e sono perciò universali e inviolabili. La pace di cui parla l'enciclica scaturisce da quei diritti e doveri. Essa viene definita come la realizzazione del bene comune: una convivenza che non sia fondata su rapporti di forza in contrasto con la pari dignità umana, ma sulla verità (il riconoscimento dei reciproci diritti e doveri), sulla giustizia (il rispetto degli uni e l'adempimento degli altri), sulla solidarietà (la promozione dei diritti altrui), sulla libertà (l'assunzione di responsabUità). L'attenzione dell'enciclica ai diritti fondamentali - ponendoli alla base del dialogo fra esseri umani e fra comunità politiche. compresa quella mondiale - è anch'essa una chiave di volta per rispondere agli interrogativi angosciosi proposti dalla globalizzazione. Interrogativi che oggi sono resi ancor più drammatici e urgenti da una guerra (quella in Iraq; ma il discorso potrebbe e dovrebbe estendersi a tutte le altre più di cinquanta guerre che in questo momento affliggono il pianeta, con minor clamore mediatico e con minor sfoggio di potenza e tecnologia), la quale rappresenta uno dei tanti possibili esiti della globalizzazione limitata e settoriale che stiamo vivendo, come il terrorismo globale espresso dall'I 1 settembre 2001, che della guerra all'Iraq rappresenta ima (anche se non la sola) fra le premesse. La quarta riflessione è certamente, oggi, la più attuale: «la Pace in terra, anelito profondo degli esseri umani di tutti i tempi», in contrasto con quello che sembra essere il destino inevitabile del disordine fra essi e fra i popoli, «quasicché i loro rapporti non possano essere regolati che per mezzo della forza». Il messaggio dell'enciclica è fortemente innovativo. La pace viene definita non già - come è tradizione; e come abbiamo inteso anche nel dibattito di questi giorni - in una dimensione esclusivamente negativa, quale assenza di guerra, ma nel suo significato positivo: il bene universale comune, che deve costituire l'obiettivo fondamentale della comunità politica mondiale; e che può essere perseguito soltanto con riguardo alla persona umana, attraverso il riferimento ai diritti fondamentali e ai doveri di ciascuno e di tutti. Con questa definizione in positivo della pace l'enciclica ripropone, per il rapporto fra le comunità politiche, la stessa base della convivenza fra persone : ima convivenza da realizzare sulla verità (dell'eguale dignità, che non consente prevaricazioni di razzismo o rapporti di forza), sulla giustizia (è quasi impossibile, nell'era atomica, pensare di usa¬ re la guerra come strumento di giustizia); sulla solidarietà (attraverso la collaborazione economica e sociale); sulla libertà (attraverso il contributo di tutte le comunità, nel rispetto reciproco, perché in ciascuna si sviluppino il senso di responsabilità e lo spirito di iniziativa). L'invocazione forte e accorata di Giovanni Paolo II - «non c'è pace senza giustizia» - e il suo appello al digiuno per la pace, riflettono l'impostazione dell'enciclica. Non possiamo acquietarci alla pace come non-guerra, nella logica del tempio di Giano bifronte, o in quella del tradizionale '«si vis pacem para hellum », da cui nasce l'incentivo per la corsa agli armamenti e per l'equilibrio del terrore, o per la legge del più forte. Si vis pacem, para pacem, attraverso l'impegno collettivo, sociale e individuale. Sostituire a una pace che è semplicemente assenza di guerra, fondata sull'equilibrio degli armamenti o sul primato della forza, la vera pace fondata sulla vicendevole fiducia e sul «disarmo integrale degli spiriti» è - secondo l'enciclica - obiettivo possibile e ragionevole: a condizione appunto che si realizzi quella convivenza fra comunità secondo verità, giustizia, solidarietà e libertà, che costituisce anche obiettivo primario e urgente della gestione della globalizzazione, per risolvere i problemi drammatici che quest'ultima propone alla nostra attenzione, per come sino ad ora si è sviluppata e sembra destinata a continuare a svilupparsi. Ora, la guerra per imporre la democrazia ed un nuovo assetto geopolitico; poi la guerra contro gli altri Stati-canaglia che appoggiano il terrorismo; ancora, la guerra fra ricchi e poveri, per il controllo delle risorse energetiche; infine, la guerra magari per l'acqua, secondo quanto sembra emergere dal summit di Kyoto: questa, purtroppo, la prospettiva di un futuro, la cui unica alternativa è rappresentata dalla Dace in positivo di cui parla 'enciclica. E' una alternativa utopistica o quanto meno fideistica? Forse, e per molti certamente: ma è una prospettiva più interessante e costruttiva, per il futuro dell'umanità, di quella che continua a vedere nella pace soltanto l'assenza di guerra, e che perciò è costretta a continuare a discutere sulle sottili distinzioni - necessarie, ma certo non risolutive fra la guerra in sé e quella giusta, quella legale, quella legittima, quella consentita. Recentemente, il cardinal Martmi ha ben sottolineato la difficoltà e la concretezza di questa prospettiva. Da un lato, la pace ha un costo; un prezzo da pagare, in termini di rinunzia e di sacrificio del proprio diritto, che coglie pienamente l'esigenza di solidarietà di cui parla l'enciclica. Da un altro lato, la pace non è mai un edificio solido e compatto, ma è da custodire e ricostruire con infinita pazienza, con il coraggio delle proclamazioni profetiche, con la consapevolezza non già di sradicare, ma più realisticamente di moderare l'aggressività immanente nella vicenda umana: ciò che appunto la ((Pacem ire Terris» continua concretamente e validamente a proporre, a quaranta anni dalla sua pubblicazione. L'enciclica avverte l'inadeguatezza degli ordinamenti giuridici e delle vie diplomatiche di fronte al dinamismo della vita sociale Papa Giovanni XXIII Al centro gli uomini «di buona volontà» Partire dall'individuo fondamentale per capire gli sviluppi patologici della globalizzazione Non basta l'assenza di guerra, è necessaria una convivenza basata non sui rapporti di forza ma sulla giustizia, la solidarietà, la libertà

Persone citate: Giovanni Maria, Giovanni Maria Flick, Giovanni Paolo Ii, Giovanni Xxiii, Giovanni Xxiu, Papa Giovanni

Luoghi citati: Berlino, Europa, Foggia, Iraq