Le disavventure dì un marito americano

Le disavventure dì un marito americano VIENE ABBANDONATO IN BEN TRE FILM NELLE SALE: «CHICAGO», «THE HOURS» E «THE GOOD GIRL» Le disavventure dì un marito americano Reilly, una faccia, un destino: incarnare lo smarrimento maschile Raffaella Silipo HANNO un volto in comune, «Chicago» e «The Hours», i due per altro diversissimi film che si sono contesi gli Oscar l'altra notte: l'uno musical abbagliante sul desiderio di celebrità a tutti i costi, l'altro racconto a tre voci sul male di vivere filtrato dalle pagine di Virginia Woolf. Due apologhi sulla modernità che non potrebbero essere più distanti, per premesse, conclusioni, stile narrativo. Se non fosse per la faccia di John C. Reilly. Faccia solida, squadrata, occhi piccoli con lampi di fragilità e un corpo massiccio difficile da gestire, Reilly è il simbolo del marito americano medio, semplice e fattivo, sgomento di fronte all'ambiguità imprevista della vita e della donna al suo fianco. In «Chicago» è un meccanico sposato a RoxieRenée Zellwegger, aspirante ballerina intrigante e senza scrupoli, pronta a tutto per diventare famosa. Lei lo tradisce, lo inganna, lo usa, lo manipola. «Mr. Cellophane» canta lui, truccato da clown, in ima citazione in forma jazz di «Ridi Pagliaccio», quando si accorge della meschinità di lei. Salvo indebitarsi per pagare l'avvocato, commuoversi e cascarci di nuovo davanti all'annuncio di una (falsa) gravidanza. In «The hours» Reilly è sposato a Laura-Julianne Moore, inquieta casalinga Anni Cinquanta in un sobborgo borghese di Los Angeles. La prima inquadratura lo mostra impacciato, un mazzo di fiori in mano per lei. «Mentre ero in guerra, laggiù, nel Pacifico - spiega poi a cena al suo «ometto», il fighe che non ne seguirà le orme - sognavo proprio ima ragazza così, sognavo di regalarle una casa». Una casa da cui lei non vede l'ora di fuggire. Non basta; è uscito ieri nei cinema «The good girl», desolato poema di periferia in cui una malinconica Justine-Jennifer Aniston, sorta di Emma Bovary del Texas, sogna di fuggire dal monotono lavoro in un grande magazzino e dal consorte, imbianchino senza passioni né qualità. Il quale marito è interpretato, ancora una volta, da Reilly. Una faccia, un destino: quello di incarnare lo smarrimento dell'americano medio di fronte alla vita e alla storia. Nell'attesa di informazioni sulla vita coniugale di Reilly, va detto che l'americano tranquillo ha anche un volto oscuro, e il cinema ce l'aveva già insegnato. L'uomo dal vestito grigio e dal volto di Gregory Peck aveva più di uno scheletro nell'armadio e nel suo giorno di ordinaria follia Michael Douglas riusciva a fare una strage. Ma il viso di John C. Reilly ha una grandezza tragica tutta sua, quasi a suggerirci che oggi non è tempo di eroi, nemmeno in grigio. E nel film di Stephen Daldry ben più del suicidio di Nicole Kidman-Virginia Woolf commuove il suo semplice sorriso davanti alla torta di compleanno, completamente (volutamente?) ignaro dell'angoscia nascosta, della tragedia futura: «La immaginavo così, la mia vita, perfetta». John C. Reilly è il simbolo de! marito americano medio, semplice e fattivo, sgomento di fronte all'ambiguità imprevista della vita e della donna al suo fianco

Luoghi citati: Los Angeles, Texas