Globalizzazione in dubbio ma la crisi è «made in Usa»

Globalizzazione in dubbio ma la crisi è «made in Usa» UNILATERAUSMO A STELLE E STRISCE ED EGOISMO EUROPEO. CHI MINACCIA IL UBERO SCAMBIO? Globalizzazione in dubbio ma la crisi è «made in Usa» Perso il match sull'acciaio, gli Stati Uniti sempre più insofferenti alle decisioni del Wto Le dispute commerciali alimentano le tensioni: «Basta con i gesti unilaterali degli americani» Stefano Lepri Ino global rischiano di non capirci più nulla. E se la globalizzazione entrasse in crisi non per la sognata (da loro) rivolta delle periferie, ma dal centro? Dall'interno nel meccanismo che regola il commercio intemazionale? Gli ultimi giorni hanno portato una serie di segnali minacciosi: presa tra unilateralismo americano ed egoismo europeo, l'Organizzazione mondiale del commercio o Wto rischia di divenire vittima delle nuove tensioni internazionali create dalla guerra all'Iraq. Dagli Stati Uniti vengono reazioni furiose all'arbitraggio Wto che dà torto alle misure protezionistiche americane sull'acciaio, prese alla vigilia delle elezioni di mezzo termine del novembre 2002. Senatori e deputati mettono in dubbio il diritto della Wto (dai no global demonizzata come cavallo di Troia dell'americanizzazione) a contraddire la legislazione americana. Nelle stesse ore, si annuncia che non potrà essere rispettato il termine stabilito del 31 marzo, dopodomani, per un accordo di massima sulla riduzione delle protezioni all'agricoltura; gli Usa accusano Europa e Giappone, cercando qui il consenso dei paesi poveri esportatori di derrate. E' molto preoccupato il direttore generale dell'Organizzazione per il commercio, il thailandese Supachai Panitchpakdi, già scettico che alla guerra possa seguire subito la ripresa economica: «Apprezzeremmo molto che gli Usa continuassero ad attenersi al metodo multilaterale». Dagli uffici di Ginevra della Wto vengono lamentele su una serie di gesti unilaterali che Washington avrebbe deciso negli ultimi tempi, il più noto dei quali è il no all'accordo per le medicine fuori brevetto a basso prezzo nei paesi poveri, non solo per l'Aids ma per altre malattie. Il ministro del Commercio canadese, l'oriundo italiano Sergio Marchi, ha accusato gli americani di obbedire «per il 1OO1}*) a motivazioni di politica interna»: gruppi di interesse, lobbies industriali, calcoli elettorali. E se invece ci fosse una logica più complessa? Secondo diversi economisti, se nel commercio mondiale alle regole multilaterali modello Wto tornassero a sostituirsi gli accordi bilaterali, la superpotenza potrebbe più facilmente utilizzarli per il divide et impera della sua politica estera, premiando gli alleati e punendo i riottosi. La tendenza al proliferare degli accordi di commercio locali e regionali non è nuova, data da prima dell'amministrazione Bush: rende più intricata la materia, ma gli esperti divergono su quali siano di fatto i suoi effetti sui flussi mondiali. «L'ordine economico del mondo riposa sulla cooperazione - scrive il commentatore economico Manin Wolf sul Financial Times - soprattutto nel commercio intemazionale. Anche gli Stati Uniti non posso¬ no conseguire la prosperità da soli; né possono attendersi che gli altri obbediscano a regole che loro stessi trasgrediscono. Quanto a lungo un paese che si abitua a essere unico giudice dei propri interessi potrà accettare i giudizi altri sulla propria vita economica?». Ecco come la crisi della globalizzazione potrebbe cominciare dal centro dell'impero. Per l'appunto il capo del sindacato americano dei lavoratori dell'acciaio, Leo Gerard, ha detto ieri l'altro che la decisione della Wto «rappresenta un attacco bello e buono alla sovranità degli Stati Uniti». Alcuni parlamentari gli hanno fatto eco con parole appena più caute. Il partito democratico all'opposizione accusa Bush di essere troppo tenero verso la Wto: «Su 15 cause mosse contro gli Usa sono riusciti a perderne 13, di cui 11 su leggi che ci proteggevano da distorsioni del commercio», sostiene Sander Levin, deputato del Michigan. Nel panorama mondiale si scorge un aumento del disordine: le consuete liti di tutti contro tutti si inaspriscono. Il Giappone, mentre fa addirittu¬ ra marcia indietro sulle barriere all'importazione di riso, accusa sia l'Europa sia la Cina (che nella Wto è appena entrata) di seguire il cattivo esempio americano in piccolo, alzando nuovi svariati ostacoli. «Il clima di guerra rende più difficili i negoziati commerciali - ha dichiarato il ministro degli esteri brasiliano Celso Amorim - con prospettive meno favorevoli per le liberalizzazioni che desideriamo noi»: proprio il Brasile di Lula, che rimprovera a Bush di «voler decidere da solo che cosa è buono e cosa è cattivo per il mondo» desidererebbe soprattutto vendere più prodotti agricoli, e qui trova l'ostacolo dell'Europa. L'Europa, anzi Chirac. E' qui il paradosso. La rinata intesa franco-tedesca partì proprio, mesi fa, dall'accordo per rimandare di 10 anni ogni taglio dei sussidi all'agricoltura europea. Oggi davanti al palazzo della Wto a Ginevra manifesteranno agricoltori francesi e di alcuni altri paesi guidati dal solito José Bove, che ieri hanno attaccato la sede della multinazionale Nestlé a Vevey. Dentro il palazzo. il capo negoziatore Usa Alien Johnson attacca «l'incapacità dell'Unione europea e la mancanza di volontà del Giappone di impegnarsi in un vero negoziato». Il piano di compromesso in discussione prevedeva di eliminare entro 9 anni tutti i sussidi direttamente mirati all'export. Quello dell'agricoltura è il secondo grosso intoppo, dopo le medicine, sulla via della conferenza ministeriale della Wto che si terrà a Cancùn in Messico dal 10 al 14 settembre. E' davvero possibile che l'espansione dei commerci venga frenata? L'economia è per sua natura multipolare; il mondo degli affari esprime un potente interesse a che il mondo sia governato con regole multilaterali, come già emergeva nel Forum di Davos due mesi fa. Diversi capi di imprese europee l'hanno detto con chiarezza al sottosegretario agli esteri Usa Alan Larson in un meeting a Bruxelles ieri l'altro. Se «la guerra all'Iraq esprime un segno molto forte di fatica della globalizzazione» per dirla con le parole dell'arcivescovo di Milano Dionigi Tettamanzi, non è un buon segno. C La disputa sull'acciaio allontana l'America dal Wto