GIUDICI diritto e per rovescio

GIUDICI diritto e per rovescio NON SOLO CODCI E PROCEDURE, LA GIUSTIZIA DIPENDE ANCHE DALL'ETHOS DI CHI LA AMMINISTRA: QUATTRO CASI ESTREMI TRATTI DALLA LETTERATURA GIUDICI diritto e per rovescio Gustavo Zagrebelsky LA giustizia non è sob questione di codici e procedure. E' anche, anzi, molto più, questbne di ethos dei giudici. Da questo dpendono in concreto codici e proc«dure. Prima che questione giuridica, è questione culturale. Cerchiano di stabilirne i poli, radicalizzandoli con l'aiuto della letteratura. «Ricorda particolarmente che non puoi in alcun modo essere giudice. Giacché nessuno può essere su questa terra giudice d'un malfattore, se prima non abbia egli stesso acquistato coscienza che anche lui è altrettanto malfattore quanto quello che gli sta innanzi, e che lui per l'appunto, rispetto al delitto di colui che gli sta innanzi, è forse prima d'ogni altro colpevole». L'ammonimento del Cristo - «non giudicate, per non essere giudicati; perché col giudizio con cui giudicate sarete giudicati, e con la misura con la quale misurate sarete misurati» (Mt 7, 1) - risuona così nelle parole che Fèdor Dostoevskij fa dire allo starec Zosima (1 fratelli Karamazov, libro VI, cap. Ili, 5 e). Che aggiunge; «Quando tu abbia raggiunto questa comprensione, allora potrai anche essere giudice. Per quanto abbia tutta l'apparenza d'una cosa assurda, questa non è che la verità. Infatti, se tu stesso fossi stato giusto, forse anche il malfattore che ti sta dinanzi non sarebbe tale. E seppure fosse proprio la legge a costituirti giudice suo anche allora, per quanto ti sarà possibile, opera secondo questo spirito. Quando tu abbia raggiunto questa comprensione, allora potrai anche essere giudice». E' così delineata la figura del giudice che patisce della condanna. Egli non si erge contro il colpevole; nonscava un fossato fra sé e il condannato; sa che, sanzionando il criminale, sanziona anche se stesso e soffre moralmente della pena che è tenuto a irrogare. Il giudizio, nel senso pieno di divisione del bene dal male, dei giusti dai reprobi, è prerogativa solo divina. Il vero giudizio sarà dunque solo quello finale e non sarà pronunciato da tm uomo su un altro uomo. Il giudizio di quaggiù accerta una responsabilità solidale e mira piuttosto a ricomporre che nona sancire una frattura, attraverso un comune e compassionevole riconoscimento di colpevolezza. La legge è necessaria, e così anche il giudizio, per preservarla; non per vendetta, però, ma per generale riscatto. Un facile sociologismo dice: la responsabilità del delitto è della società; dunque nessuno, ^1(1^^310^^ è responsabile, A questa idea corri! va, Dostoevskij contrappone: de/ delitto di imo, tutti e ciascuno' giudice compreso - sono responsi bili. H giudizio si svolge tra colpevj' li a vario titolo. Ma ciò non sigmi ca affatto minor rigore; signiffe maggior dolore. Il peso morale pi giudizio è enorme, forse più perj 10 emette che non per chi lo svi sce, ma è necessario come pasL, gio obbligato verso la liberaziie. 11 maggior errore del giudicep di credersi immune dalla respùrmbilità del delitto per il quale uniltro è condannato; è di credersi iembro di una società migliore, | una società di eletti. Questa presijnzione è l'ipocrisia del giudice/vizio sommo e largamente diffi», assunto da William Shakeséare a tema dominante di Misaa per misura. «Voi sapete che quasi àiattrocento persone sono in prigme, dal villaggio di Marbleheaofino a Lynn, dietro mandati ch^portano la mia fuma? E che, cf- quella firma, settantadue persfne sono state condannate alla fopa?» «Eccellenza, non avrei mai tensato di avere a che fare con un aidice così eminente». Questo picolo dialogo si trova nella storia df processo per stregoneria che nel! primavera del 1692 si svolse aJalem, una piccola comunità del Mssachusetts, raccontato nel 19a da Arthur Miller, nel CrogiuoldR giudice Danforth esprime il mpo di concepire il suo rapporto ccichi incappa nella giustizia con leier lui ovvie parole: «queste persae non hanno nulla da temere se fanno la coscienza a posto», aggpgendo questa sua visione del nindo: «Dovete rendervi conto di ui cosa, signore. Non esistono v» di mezzo: o uno è favorevole afuesta corte, o deve esseme consaerato nemico. Viviamo un momito particolarmente difficile e bp definito. Siamo lontani, ormai,la quello stadio crepuscolare in cui il male poteva confondersi col bene, provocando smarrimento e confusione in questo nostro mondo. Oggi, per grazia di Dio, il sole splende alto e chi non ha ragione di temere la luce, non può che rallegrarsene. Spero che siate tra questi...». E al povero John Proctor che flebilmente osa chiedere «Sono santi solo gli inquisitori, adesso? Sono nati stamattina puri come le dita di Dio?» il giudice obietta minacciosamente che «nessun uomo retto può avere paura di questa Corte». E' così delineata la figura del giudice che gioisce della sua giustizia. Il giudice Danforth è mosso da ima fede nella giustizia che è agli antipodi di quella dello starec Zosima. Egli è infatti pervaso dalla credenza che il mondo sia il teatro di una battaglia tra le forze del bene e quelle del male e il giudice sia la mano provvidenziale alla quale è assegnato il compito di dividerle per schiacciare le seconde e far trionfare le prime. Se questa, nella sua forma più pura, è la giustizia divina dell'ultima ora, il giudice Danforth si sente un Dio in terra ed è gioiosamente preso dalla bellezza e dalla santità della sua missione. Si dirà: nella pratica non è così. Il giudice, per dir così, normale che troviamo tutti i giorni nelle aule dei tribunali non ci pare affatto intento a portare l'enorme fardello di sofiferenza che Zosima gli assegna; e nemmeno lo vediamo inorgoglirsi del suo compito di giustiziere. Più semplicemente ci si presenta come un onesto funzionario della legge ch'egli cerca di applicare, entro una macchina giudiziaria «fredda». Eppure, quei due opposti atteggiamenti dello spirito dì chi è chiamato a giudicare sono elementari e inestirpabili. Il positivismo giuridico ha tentato di schiacciarli sotto il motto ita tex. Da questa dottrina del diritto, il giudice è abihtato, anzi è obbligato a spegnere se stesso e la sua visione della giustizia sotto la legge da altri voluta e stabilita. Noi conosciamo effettivamente giudici che appaiono e vogliono apparire moralmente apatici. L'immagine che danno di sé non è affatto gradevole. Ma, ciò a parte, la coscienza del giudice potrebbe effettivamente annullarsi trincerandosi dietro a quella del legislatore solo se fosse possibile ridurre completamente U diritto alla legge. Ma la plurimillenaria storia del diritto dimostra che questa riduzione non è possibile. L'ordine del legislatore non è mai riuscito a spegnere completamente il lume, o il lucignolo, della giustizia che illumina i passi del giudice facendogli apparire la legge in ima luce o in un'altra. L'idea di un giudice che, meccanicamente, ripete con la sua bocca parole non sue, quelle scritte nella legge, può forse attutire e rendere sopportabile il peso del giudicare, o renderlo impercettibSe, ma non eliminare il contrasto tra le nostre due conce- zioni della giustizia, originarie e dunque non superabili. Per questo, il tentativo che sempre e di nuovo i legislatori di ogni tempo hanno fatto, fanno e faranno nei confronti dei propri giudici, di annullare la loro coscienza del bene e del male espropriandola a loro favore, in definitiva è destinato al fallimento. L'ethos del giudice continua così a essere oggetto di un profondo interrogativo che sempre si rinnova, a dispetto di tutti i tentativi rivolti a eliminarlo come problema. » « * Mettiamo in opera una seconda polarizzazione che il lettore, se lo vorrà, potrà combmare con quella finora discussa, con risultati che si preannunciano molto interessanti. Si tratta, per così dire, della giustizia in un mondo per diritto o per rovescio. Le visioni del giudice compassionevole e del giudice giustiziere, pur antitetiche, sono state sostenute entrambe secondo un modo di vedere la giustizia «per diritto». Il mondo costruisce la sua legalità poggiandola sulla normalità dei rapporti tra gli esseri umani che lo costituiscono. Il delitto è l'eccezione, il rovesciamento di questa normalità. La difesa della legalità da parte dei tribunah è la garanzia del mondo in cui stiamo e del suo ordine. Il compito del giudice è conservare questo ordine e, se lo vogliamo conservare, è perché lo consideriamo degno di èssere preservato nel presente, per valere anche nel futuro. Ma'talora la giustizia a buon diritto ci appare «a rovescio». Se il mondo in cui stiamo è indegno della nostra buona considerazione; se l'humus di cui si nutrono la sua legalità e i suoi giudici è arbitrio dei più forti, inganno e umiliazione dei più deboli, la giustizia autentica dovrà essere forza che protegge non dall'illegalità ma dal¬ la legalità. Il giudice fedele all'arbitrio addobbato da legalità è destinato a produrre ingiustizia. Solo il giudice fuori degli schemi consolidati, il giudice a gambe all'aria potrà, caso mai, fare giustizia. Il conformismo innestato su un mondo di relazioni ingiuste non è giustizia ma perversione della giustizia. Per mettere le cose nel verso giusto, occorrono giudici strampa ati, come il giudice Azdak [di II cerchio di gesso del Caucaso di Brecht). Anch'egli ha da dire una sua parte di verità. Azdak era lo scrivano di un villaggio in un paese del Caucaso divorato dalla guerra civile, il quale per circostanze fortuite si trovò a rendere un giudizio sull'affidamento di un bimbo, abbandonato o strappato (secondo l'opposta prospettazione delle due parti) alla madre. La storia è quella di un bimbo, figlio della moglie del governatore, prima da questa abbandonato e accolto come figlio proprio da Gruscha la serva, poi conteso in nome della legge dalla madre carnale contro la madre affettiva. Tutto questo non è che la premessa da cui Bertolt Brecht procede per mettere in scena il giudizio del cerchio di gesso davanti a un giudice che i benpensanti della «giustizia per diritto» direbbero essere il contrario di quello che un giudice dovrebbe essere: «Il giudice della Corte suprema, il nostro Ilio Orbeliani, è stato appena impiccato dai tessitori in rivolta. Chi risolverà il caso, a chi sarà assegnato il bambino? Chi sarà il giudice, sarà buono, sarà cattivo? La città era in fiamme. Sul seggio di giudice sedeva Azdak. Ascoltate ora la storia del giudice» che, per uno scherzo, viene scelto al posto di quello che era il predestinato, il caro Bizeigan Kazbeki, nipote del principe obeso, una persona valente [...]. Questo Azdak era uno che si serviva del codice, ma per sedercisi sopra; uno che si faceva pagare a caro prezzo (mai abbastanza) e che, come formalità di apertura dell'udienza, allungava la mano dicendo «io ci sto» e i potenti capivano al volo che c'era da pagare (la gente semplice, invece, restava interdetta); uno che al denaro dava un valore morale, come manifestazione di umanità; uno per il quale tutto finiva nel mangiare e bere e che una bella bevuta non disdegnava nemmeno a giudizio in corso; uno che apprezzava le grazie di quelle che venivano tratte in giudizio; uno che aveva paura dei potenti e non lo nascondeva; uno che non avrebbe fatto loro il piacere di dimostrarsi un eroe. Insomma, l'indole di Azdak è quanto di più comune ci sia nella natura umana e quanto di più contrario all'immagine del giudice che non guarda in faccia nessuno, specchiato nelle sue virtù, nemico giurato di quelle che chiamano le umane debolezze, rigoroso esecutore della legge contro i vizi dei comuni mortali. Come dice un avvocato della moglie del governatore, è il più ignobile soggetto che si è mai visto in toga. Eppure, anzi, proprio per questo «hai fortuna, tu, - la cuoca a Gruscha - che non è affatto un giudice autentico, è Azdak. E' un ubriacone e non capisce niente, e i più grandi ladri con lui l'hanno già fatta franca. Poiché rimescola tutto e la gente ricca non lo corrompe mai abbastanza, certe volte, con lui, ce la caviamo bene, noi». Azdak è sì un briccone, ma di un genere particolare. Non dello stesso genere di quello del governatore, del principe obeso, del granduca, dei grandi proprietari; è anzi del genere opposto. E' uno che, avendo salvato per danaro il granduca, grandelinquente, gramadro e granstrangolatore, chiede di esse¬ re processato e che, una volta fatto giudice, vuole che la sua poltrona sia messa all'aria aperta, «così si ha un po' d'aria, almeno, e un po' di profumo dal boschetto di limoni, laggiù. La giustizia va meglio, se agisce all'aria aperta. Il vento le soffia sulla gonna, su, e si può vedere cosa ci ha sotto»; uno che conosce l'ipocrisia del rituale giudiziario, dei tocchi e delle toghe; uno che ai cinquecento (cinquecento) avvocati schierati dalla moglie del governatore chiede quale sia la parcella, per decidere che attenzione deve prestare loro, loro che certamente si sono accordati per sfotterlo; imo che, a sua volta, esige denaro dai ricchi ma quel che gli danno non è abbastanza per corromperlo; uno che chiede alla mammina della Georgia, l'addolorata, una donna di quelle che si meravigliano se non la picchiano, di giudicare tutti noi dannati e che caccia via i grandi proprietari, miscredenti che non credono ai miracoli, condannandoli a 500 piastre d'ammenda per empietà. Un corrotto benedetto dai bricconi e dai poveretti che, se ha paura, è per essere stato indulgente con i miserabili, per avere aiutato la povertà a tenersi su con le sue deboli gambe e per avere guardato nelle tasche dei ricchi. Da questo giudice indegno (o degno, a seconda che lo si guardi di diritto o di rovescio), viene una decisione che, a sua insaputa, eguaglia in saggezza e giustizia quella del grande Salomone, anche se ne ribalta il verdetto (/Re 3,16-28): il bimbo conteso viene messo dentro il cerchio di gesso e le due pretendenti-madri sono invitate a strapparselo di mano, tirando di qua e di là. Finisce come ci si poteva aspettare, con una decisione che umilia la legalità dei potenti e premia l'umanità della povera gente. La morale della storia è che solo da un giudice alla rovescia, come è il giudice Azdak che mette il diritto sottosopra e porta in scena una parodia della giustizia, può venire una sentenza giusta, quando la legalità esprime a sua volta un mondo alla rovescia, dove la superbia e il sopruso si sono fatti legge. Negativo per negativo fa positivo. Dal giudice che, secondo gli standard dei potenti, è degno di questo nome, non potrebbe invece venire altro che la prosecuzione dell'ingiustizia. A questa piuttosto scontata conclusione se ne deve però aggiungere un'altra, più nascosta, forse più profonda, che Brecht suggerisce più come un dubbio molto inquietante che non come un'affermazione certa. Che rapporto c'è tra l'ordine e la giustizia? ...1 Forse la morale meno ovvia della storia non sarà allora che far giustizia è possibile solo nelle situazioni che non sono né diritte né rovescie ma basculano, cioè nelle situazioni instabili di vuoto di potere? Non sarà forse che ogni consolidamento sociale e politico non produce che prepotenza e oltraggi mascherati da giustizia? La fine di Azdak sconvolge le nostre certezze. Contro la convinzione che la giustizia presuppone l'ordine sociale, ci dice che la giustizia è forse possibile ma solo in momenti eccezionali di trapasso e quasi per errore, quando il potere non si è ancora posato e non ha ancora creato le sue gerarchie, i suoi privilegi, le sue immunità, la sua corruzione. L'ordine, al quale tutti aspiriamo nei tempi del disordine, è allora dunque incompatibile con la giustizia? Se nell'ordine c'è potere e non giustizia, gli uomini vogliono due cose incompatibili. Solo nei momenti aurorali o crepuscolari delle società umane può foise allora sorgere la giustizia, come la stella del mattino o la stella della sera che brillano per poco, prima di essere oscurate dallo splendore accecante e irridente o dalle tenebre (il che è lo stesso) dell'ordine costituito? Sono questioni capitali, sia sul piano teorico sia su quello pratico della politica e della giurisdizione. E' paradossale che esse siano sollevate dalla letteratura, ma siano ignorate nelle scuole di diritto. Anzi, non è affatto paradossale: è la logica conseguenza della pretesa riduzione della giustizia e del diritto alla legge positiva. I positivisti giuridici si saziano di leggi, leggine, regolamenti e finanche drcolari ma non sanno che farsi di Dostoevskij, Miller, Shakespeare e Brecht, per ripetere soltanto i nomi che qui hanno fatto la loro comparsa. Misu r, per misura, titolo preso dal Vangip(MatteoVII,2)èun dram/ia in cinque atti, compsto circa nel 1604, rappésentato lo stesso anno, che^tta il tema assai diffso dei giudice che conede la grazia a un cotdarinato in cambio dei fayri della donna che glila implora. Nel caso di SUkespeare, il giudice è /Vgelo, probo magistrato sonvolto dalla bellezza illa novizia Isabella, che petra la grazia per il fratello audio, condannato per duzione. Dopo macchinose icende, con travestimenti e scambi di persona, l'ordine sarà ricomposto da chi ne ha l'autorità. Dal .. dramma shakespeariano Wagner trasse ,! l'opera comica//d/V/eto d'amore e Puskin il poemetto Ange/o. o preso dal èun , anno, ei di to e atello r nose nti e ne sarà l'autorità. Dal o Wagner trasse Il cerchio di gesso del Caucaso è un dramma in 5 atti scritto da Bertolt Brechttrail1943eil1945.Nel prologo, la lite tra due kholchoz che si contendono una valle dà lo spunto per una rappresentazione allegorica ispirata al Cerchio di gesso del cinese Li Hsing Tao. Al centro della vicenda, la contesa per un bambino fra due madri della Georgia, quella naturale e quella adottiva. La situazione è risolta da Azdak, un ladro ubriacone divenuto giudice nel caos della rivoluzione, che dopo avere proposto una prova «salomonica» assegna il bambino alla povera donna che lo aveva adottato quando l'altra, la moglie del governatore, lo aveva abbandonato. Morale: le terre contese dai due kolchoz, come il bambino georgiano, devono essere assegnate a chi ha saputo dedicaivi tutto se stesso. o è un tolt oz à lo l o ino alla ottato overnatore, e: le terre e il bambino FEDOR DOSTOEVSKIJ I fratelli Karamazov è un romanzo pubblicato da Fèdor Dostoevskij nel 1879-80. Fèdor Karamazovèun vecchio cinico e dissoluto, poco amato dai figli. Quando viene trovato ucciso, tutti i sospetti cadono sul figlio Mìtja. Anche l'altro figlio Ivan, raffinato intellettuale, è convinto della colpevolezza di Mitja, fino a quando un altro fratello, l'illegittimo Smerdjakov, malato e trattato dal padre come un seivo, non confessa: è lui l'assassino, plagiato dalle idee atee di Ivan. Subito dopo avergli rivelato la verità, Smerdjakov si impicca eal processo Ivan non può servirsi dellasua confessione per scagionare Mitja, che viene condannatoai lavori forzati. Ivan cade nel delirio, mentre la sorella Alesha, novizia nel conventddi padre Zosima, prosegue nel suo camminidi carità cristiana. SKIJ nzo j nel ee i n può n cade sha novizia ARTHUR MILLER Il dramma II crogiuolo è stato scritto da Miller nel 1953. La storia del governatore Danforth che per rafforzare il suo potere scatena una serie di processi per stregoneria presentava una trasparente analogia con le inchieste di quegli anni condotte dal senatore Joe McCarthy contro intellettuali liberal e funzionari pubblici accusati di comunismo. Dal -^.;,-. dramma di Miller, nel 1957, è stato tratto il film francese Le vergini di Salem, sceneggiato dal filosofo Jean-Paul Sartre, per la regia di Raymond Rouleau, con Yves Montand e Simone Signoret. Una nuova versione cinematografica è stata girata da Nicholas Hytner nel 1995: La seduzione del male, con Daniel Day LewiseWinona Ryder. a

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