Riina: il mio arresto fu una trattativa

Riina: il mio arresto fu una trattativa FRA I BOSS DI COSA NOSTRA E GLI INVESTIGATORI Riina: il mio arresto fu una trattativa Urlo Abbate corrispondente da PALERMO Totò Riina, capo di Cosa nostra, lancia un messaggio al suo «popolo» dal carcere di Ascoli Piceno, nel quale è detenuto. Il boss corleonese parla in video conferenza ai giudici della Corte d'assise d'appello di Firenze, che lo stanno giudicando insieme con un altro capomafia, Giuseppe Graviano, per il fallito attentato a un pullman carico di carabinieri. Il mezzo sarebbe dovuto saltare a Roma, nei pressi dello stadio Olimpico, il 31 ottobre 1993. La strage per fortuna venne evitata, a causa del cattivo funzionamento del telecomando utilizzato per far esplodere l'autobomba. Riina, ieri, ha fatto «spontanee dichiarazioni», e le frasi che ha pronunciato sono macigni che sembrano arrivare dritti allo stomaco di alcuni apparati istituzionali. 11 capo di Cosa nostra ipotizza una «trattativa» che si sarebbe verificata fra i boss e gli investigatori per arrivare al suo arresto, avvenuto il 15 gennaio 1993. Il padrino di Corleone esce dal lungo silenzio, durato quasi dieci anni, e decide di parlare. Aproposito delle autobomba, «Sono innocente - afferma - dal giorno del mio arresto sono sempre stato in isolamento e non potevo avere contatti nemmeno con i miei parenti». 11 boss affonda il veleno anche su un altro aspetto: «Ho letto su un quotidiano che qualche giorno prima del mio arresto il ministro Mancino aveva più volte annunciato che era imminente la mia cattura. Quindi c'era stata una trattativa, cercate di informarvi. E informatevi pure - ha aggiunto il boss - sulla vicenda Di Carlo (quest'ultimo è un ex boss arrestato in Inghilterra e adesso collaboratore di giustizia, ndr), che mi risulta sarebbe stato contattato Sulle autobdel 1993: «Sono innEro in galee sono sestato in is bombe ocente ra mpre olamento» dai servizi segreti per gli attentati con autobomba». Per il capo della mafia sono parole che pesano come macigni. Un boss dello spessore di Riina non denuncia presso le forze dell'ordine un'altra persona. Loro si fanno giustizia da soli, chi denuncia viene bollato come «pentito» o ancora come «infame». Le affermazioni di Totò Riina sono stupefacenti. Potrebbero essere un segnale inviato a Bernardo Provenzano, latitante da oltre quarantanni e indicato dagli investigatori come il boss incaricato di portare avanti le richieste della mafia, in particolare quelle dei boss detenuti. Richieste che potrebbero essere contenute in una sorta di trattativa segreta. L'ex presidente del Senato ricostruisce la sua previsione, poi avveratasi, e replica al boss: «All'inizio del gennaio 1993 - dice intervistato dalla televisione nazionale al termine di una colazione di lavoro offerta a rappresentanti della stampa estera, alla domanda di una giornalista "chi sarà il prossimo latitante arrestato", tra la speranza e l'auspicio, risposi "Riina"». La Corte, intanto, ha respinto le richieste contenute nella citazione avanzata dall'avvocato Pepi, che chiedeva di sentire il Presidente Ciampi per spiegare se la notte del 27 luglio 1993 (autobomba di Roma e Milano) «espresse il timore che fosse in atto un colpo di Stato», e se, «temendo un golpe, avesse pronunciato la frase: "Chissà dove ci porteranno stanotte"». Quanto ai senatori Nicola Mancino, Giulio Andreotti e Oscar Luigi Scalfaro, il legale avrebbe voluto che venissero sentiti su eventuali «interferenze di servizi segreti stranieri nelle stragi in Italia dal 1969 a oggi». I giudici sentiranno, invece, il pentito Nino Giuffrè. Mancino Sulle autobombe del 1993: «Sono innocente Ero in galera e sono sempre stato in isolamento»

Luoghi citati: Ascoli Piceno, Corleone, Firenze, Inghilterra, Italia, Milano, Palermo, Roma