LA VERITÀ NON FA SCOOP di Leonardo Zega

LA VERITÀ NON FA SCOOP INFORMAZIONE E IRAQ LA VERITÀ NON FA SCOOP Leonardo Zega IMPROVVISAMENTE, nelle ultime ventiquattr'ore, l'Italia si è accorta che la guerra ih Iraq è dolore e morte. Come tutte le guerre. Se ne sono resi conto, penso, anche quelli delle marce e delle bandiere, che garrivano al bel sole di primavera: sui loro volti c'era più paura che speranza. Scarne pure le parole del Papa, che ha rimesso le sorti del mondo in pericolo nelle mani di Dio e della Madonna, implorando per tutti il dono della pace. Anche la televisione dei pomeriggi domenicali, che mischia disinvoltamente sacro e profano, cronaca e sgambettamenti, giochini e pettegolezzi, è stata «toccata», reagendo però in maniera scomposta, nonostante i richiami alla moderazione di pochi saggi, tra cui il cardinale Tonini. E' bastato l'annuncio delle prime perdite umane tra gli anglo-americani, la spietata ostentazione dei morti in battaglia, la vista dei volti segnati dei prigionieri nelle mani degli iracheni per ridimensionare i sogni di gloria e di facili vittorie. Senza le loro tute mimetiche e la panoplia da rambo, questi soldati, tra cui una donna, tornano ad essere i bravi ragazzi dell'America più generosa, che fanno il loro «lavoro» con onestà e ne subiscono smarriti i terribili contraccolpi. La diatriba sul mostrare o non mostrare, dire o non dire, aumenta il disagio; che cosa si può nascondere, oggi che il mondo ci entra in casa da mille finestre e solo uno sforzo eroico di autocontrollo può metterci al riparo dall'invasione mediatica? Ed è poi giusto chiudere gli occhi per non vedere? Fosse vero che la crudezza degli eventi generi un sussulto di consapevolezza, limiti il bailamme delle chiacchiere, riconduca la cronaca nei limiti della verità dei fatti, riferiti solo se verificati. Si vorrebbe vedere per capire, non per essere «scioccati e stupiti», con la paura che ti penetra nelle ossa. Che pena l'esaltazione dello «scoop», la corsa per arrivare primi, l'enfasi di chi si serve degli inviati di prima linea (che rischiano la pelle) per dare lustro alle proprie trasmissioni. Per capire non basta registrare suoni e immagini. C'è nella Bibbia (I Re, capitolo 19) un episodio che riguarda la vita del profeta Elia. Vi si narra il suo pellegrinaggio fino al monte di Dio, l'Oreb (altro nome del monte Sinai). Elia è avvilito: le cose in Israele vanno così male che egli si sente del tutto impari alla missione ricevuta e chiede addirittura a Dio di morire. Dio stesso deve procurargli un cibo miracoloso per dargli la forza di camminare. Quando torna dal colloquio con Dio, è però un uomo trasformato, pieno di vigore: ha imparato a leggere in modo nuovo la storia, sa riconoscere le tracce leggerissime ma ferme del passaggio di Dio nelle vicende umane. Ma dove e come Dio gli ha parlato? Non in una tempesta di vento, non nel terremoto che ha scosso la terra sotto i suoi piedi, non nel fuoco che lo ha avvolto, ma in un silenzio rotto solo dal «mormorio di una brezza leggera». E' lo stile di Dio. E' stato detto in questi giorni: «Quando si da la parola alle armi, si toglie la parola a Dio». Tra tanti clamori, bisogna sapersi ritagliare qualche spazio di silenzio: per riflettere, condividere, pregare. Come ci insegna la Bibbia. leonardo.zega@stpauls.it

Persone citate: Tonini

Luoghi citati: America, Iraq, Israele, Italia