D'Alema non cambia idea sul Kosovo

D'Alema non cambia idea sul Kosovo D'Alema non cambia idea sul Kosovo «Fu azione di polizia Nato, ma sull'Iraq affidiamoci all'Onu» ROMA «La guerra? Diciamo che da un lato c'è chi la vede come i pacifisti e Berlusconi, dall'altra chi la pensa come me Chirac, come Schroeder». Ecco: magari sfila nelle piazze, magari con l'autorità di un ex presidente del Consiglio suggerisce al successore di «ricucire con la Francia, e in fretta», magari per via dello stesso ruolo insiste, «0 governo itahano farebbe bene a chiedere il cessate il fuoco, e a rimettere la questione nelle mani deh'Onu», però certo Massimo D'Alema non smette di essere Massimo D'Alema. Preoccupato ma salace, accorato per le vie oscure che va prendendo il nuovo ordine mondiale, visto che «una forza non contestabile è un pericolo per se stessa e per gh altri», in riferimento ovviamente allo strapotere dell'Occidente, ma sempre molto molto lucido. L'occasione, poi, era perfetta: la presentazione del libro di Marina Catena, assistente Onu di Bernard Kouchner nella crisi del Kosovo, libro che s'intitola «Il treno di Kosovo Polje», e il treno esiste veramente, la locomotiva nominata «Catherine Deneuve» trasporta davvero, a Kosovo Polje, i serbi: ancora sotto scorta. Solo in tralice durante la discussione sul libro si legge il paragone coh'oggi. Perché il co-piresentatore del volume, Ennio Remondino, di certo non risparmia dubbi e punzecchiature. Per esempio: «Con la guerra in Kosovo, noi abbiamo commesso l'errore di scambiare Karazdic con la Serbia, e di sottovalutare l'impatto dei bombardamenti: è quello che ha tenuto in vita e al potere per un anno e mezzo Milosevic». E poi, incalza Remondino, «adesso ci sono: focolai accesi in Bosnia; un terzo della Macedonia non sotto il controllo del govemo nazionale; la Serbia disgregata; il Kosovo che è un'enclave etnica. Il tutto, consentito da noi, affermato con le bombe: anche quello del Kosovo era un Far West, anche lì c'erano buoni e cattivi». D'Alema ha apprezzato l'affondo. No, queha guerra era giusta. All'epoca, il presidente serbo Milutinovic cercava di convincere il presidente del Consiglio itahano che «i serbi dovrebbero stare nella Nato, perché noi siamo nei Balcani l'avamposto di sicurezza dell'Occidente». E lasciar perdere, insomma, massacri e pulizia etnica. Non c'è nemmeno bisogno che D'Alema ricordi, davanti a una platea stipata di generah e ammiragli pluridecorati tanto che sembra di essere non in una libreria ma in una riunione di Stato maggiore, che l'azione in Kosovo era più che legittima, essendo tecnicamente un'operazione di pohzia mihtare su mandato Nato. D'Alema ricorda solo che per l'intervento a difesa degh albanesi del Kosovo non si ricorse all'Onu perché c'era un veto della Russia, «ma la Russia sapeva che la Nato sarebbe intervenuta, e che poi la questione sarebbe tornata all'Onu, tanto che poi alla fine della guerra fu Cernomyrdin a volare a Belgrado per trattare coi serbi, facendo prima tappa a Roma». Piuttosto, gli preme ricordare «la preoccupazione di Clinton: quando venne informato da me che l'Italia stava portando a Roma il leader albanese Rugova capi benissimo che per la democrazia in Kosovo non si puntava sull'Uck gradito agli americani». Kiigova, com'è noto, era un'ospiteprigioniero di Milosevic, venne prelevato in Macedonia dà uh aèreo del Cai e portato a Roma dai servizi segreti itahani. «In quel momento» racconta Catena «era il leader meno amato in Kosovo». Già, conviene D'Alema, «ma poi quando s'è trattato di votare, ha fatto il pieno dei consensi». Una storia di non molti anni fa, la storia di una guerra molto diversa da quella in Iraq. «Su Baghdad, io la penso come Schroeder, Chirac e il Papa: il conflitto cambierà drammaticamente le relazioni internazionah e i rapporti tra ipopoh». [ant. ram.] Massimo D'Alema, presidente dei Ds e premiei* all'epoca della guerra in Kosovo