ANKARA il Grande Gioco dei generali

ANKARA il Grande Gioco dei generali I RrmOSCEMA DEL DELICATO FRONTE SETTENTRIONALE ANKARA il Grande Gioco dei generali analisi AldoCazzullo QUANDO a Istanbul arrivò un nuovo viceconsole italiano si racconta na^jli ambienti diplomatici - par prima cosa assistette alla parata per l'annivarsario della Repubblica, il 29 ottobre. Impressionato alla vista dai soldati truci a baffuti e dalla loro armi, chiese all'addetto mihtara: «Sa questi ci attaccassero, in quanto tempo sarebbero a Roma?». «Dipanda dal traffico sull'autostrada dal Sole», fu la risposta. Quando il leader islamico Erbakan vinse la elezioni dal dicambra '95 a dopo trattativa bizantina durata sei masi divenne primo ministro, tanto di ingraziarsi i generali ostili invitandoli a un ricavimanto. Al momento del brindisi offrì acqua a spremute di frutta. I mi'itari si guardarono nagh occhi. Poi uno di loro disse; «Par ma un raki», il liquore di anice. «Par ma un bicchiere di vino bianco». «Per me un cognac». Fu una scena da film hollywoodiano edificante, anche sa era il vizio a prevalere sulla virtù. Erbakan capì. Si dibatté par qualche mesa, ostaggio dai generali cha lo costringevano a continui gesti di sottomissione, tipo salire a piedi ansimante e sovrappeso sotto il sola di mazzogiorno al mausoleo di Atatùrk. Finché un golpe bianco non lo destituì. Secondo nella Nato, mezzo milione di fanti, 3500 carri armati, 60 mila aviatori, 1200 aerai, 64 mila marinai; un bilancio separato da quello dello Stato, una tradizione secolare di vittorie dai giannizzeri ai barratti amaranto, da Maomatto II ad Atatùrk, dalla presa di Bisanzio alla difesa di Gallipoli (a alla disfatta greca del 1921); impegnato nei Balcani, alla tasta della forza alleata in Afghanistan, l'esercito turco è il nuovo, formidabile attore a entrare in scena sullo scacchiere iracheno. Non è senza orgoglio che Ankara lo muova. Non è senza un brivido di potere e timore insieme che il nuovo primo ministro Erdogan dà la parola ai suoi tutori, i generah. Non è senza un fremito di preoccupazione cha curdi, americani, iracheni, europai si predispongono a osservarli o fronteggiarli. Nel paese più sottovalutato dal resto dal mondo - si bestemmia coma turchi, si fuma coma turchi, si fanno cosa turche l'esercito è la sola cosa universalmenta stimata, forse parche è quella cha funziona maghe. E non soltanto sotto il profilo operativo. L'esercito è la Turchia, quella antica a quella modama. Nella sua mentalità, legge e ordina, severità e orgogho, i turchi si riconoscono da sempre; il turco è l'unica lingua in cui si brinda dicendo «al nostro onora» (Sharefal), in cui la formula per ringraziare sono quasi desueta sa non l'importata «marci» e la sbrigativa «sag ol»; cha tu possa restare vivo. Arbitro dalla pohtica, bastione dalla laicità, garante dall'alleanza con l'America a l'Europa, l'asarcito si trova in queste ora a intarpratara un ruolo delicatissimo. Evitare la nascita di un Kurdistan indipandante, franare l'ondata di profughi, proteggerà la minoranza turcomanna, disarmare i terroristi islamici o indipendentisti cha siano, tenera un occhio alle mosse dagh americani a un altro ai pozzi petroliferi di Mosul a Kirkuk. Questo il compito immediato dai raparti turchi penetrata in Iraq; un migliaio di uomini, l'avanguardia dal secondo corpo d'armata (100 mila uomini; ma Ankara prevede di schierama 10 mila, armati di carri T60 e Laopard e dotati di ponti mobili a cantrah telefoniche). In prospettiva, i mihtari potrebbero giocare un ruolo chiava in una chiave strategica inimmaginabile sino a qualche mese fa, e anzi rovesciata rispetto alla tradizionale ripartizione dei ruoli a alla alleanza consolidata. La storia del dopoguerra turco procede al ritmo di un golpe ogni dieci anni. Nel 1960 venne deposto (a poi giustiziato) Adanan Mendérès, l'uomo cha aveva aperto l'economia ai capitali stranieri. Nel 1971 dovette dimattarsi Sulayman Damirel, futuro presidente della Repubblica. Quello del 1980 fu l'ultimo golpe cruento. L'autore, il generale Evren, vive ancora. Dipinga paesaggi. I colpi di Stato turchi vengono definiti «postmoderni». Non mirati, se non par un brava periodo, alla conquista dal potere, quanto all'eliminazione, temporanea p definitiva, di un elemento che potrebbe destabilizzara il sistema. E' toccato pure alla signora Tansu Qiller, a suo tempo. E a Erbakhan. Racap Tayyip Erdogan, ax venditore di pistacchi, ex calciatore, a;x impiagato comunale di Istanbul divenuto sindaco, ex carcerato par motivi politici, è stato più accorto dai pradacassori. Ha stratto un patto con i generah, cha hanno riconosciuto in lui a nel suo partito islamico moderato il vincitore annunciato dalla alazioni, e gh hanno aperto una linea di credito. «L'esercito è la pupilla dai nostri occhi» è stata una deUe prima dichiarazioni di Erdogan dopo il trionfo dal novambra scorso. Dopo il compromesso con i mihtari di casa, c'ara da trovare un accordo con gh americani. Gh specialisti occidentah erano certi che l'intasa non sarebbe mancata. Non offriva forse Bush sai miliardi di dollari, più altri vanti miliardi di prestiti, par potar disporre libe- ramante dalla basi? Non erano già in attesa da settimana 62 mila uomini al largo dalla costa turche, jronti a scaricare armi a matariai? La logica dal pragmatismo, dalla convenienza economica, forse anche dall'interasse nazionale avrebbe dovuto indurre i ministri a i parlanientari turchi a cadere. Ma un integralista islamico non fa politica con i parametri occidenta11 II Parlamento ha clamorosamente bocciato il decreto con cui il premiar provvisorio Abdullah Gùl, chiamato a tener caldo il posto a Erdogan bloccato par masi da una condanna par incitamento alla rivolta (islamica), apriva la porta agh americani. E ancora gh spaciahsti davano par scontato cha il neopramier riproponessa il decreto e scioghassa il nodo. Si sbaghavano. La Turchia di Erdogan ha detto no. Non ha concasso la basi alla guerra di Rumsfeld, ha costretto il Pentagono a cambiare i piani, si è limitata ad aprirà lo spazio aereo a guerra iniziata, dopo un'estenuante trattativa cha ha fatto dira allo stasso Bush; «Non capisco, nessun alleato ci ha posto tanta condizioni» (indicare tipo, destinazione e armamenti di ogniaarao). I generali hanno assistito ai lunghi negoziati con calma appa- rente. Si sono schierati a favore del decreto del governo, argomentando che la scelta non era «tra il bene a il mala, ma tra il mala a a il peggio». Anche il fronte del no, del resto, era impaziente di intervenire in Iraq. Da soli però, e non al fianco degli americani. Ecco perché l'esercito ora si è mosso, nonostante il veto di Powell. Da mesi i turchi sconfinavano in Iraq per tener d'occhio i movimenti di curdi, angloamericani e iracheni. Li guida il generale Hilmi Òzkòk, da sei mesi comandante delle forze armate. Piccolo, calvo, carismatico, formatosi nelle istituzioni tradizionali dei militari - il liceo di Bursa, l'Accademia nella Istanbul asiatica -, si è occupato della saziona Armi Speciah delle forze Nato nel Sud Europa. Ama sfoggiare le sue onorificenze; Legion of Merit americana, Medaglia di Nisan Imtiaz pachistana, Gran Croce al merito militare di Spagna a Medaglia Tong II della Corea (del Sud, ovviamente). Il suo esordio è stato però sfortunato. Alla festa per l'insediamento, il 28 agosto scorso, un para che avrebbe dovuto prendere placidamente terra ai suoi piedi si è sfracellato. Presagio infausto. Il generale Òzkòk si ritrova infatti a raggerà più fronti. I govamanti islamici, finché regga il compromesso. Gli altri paesi mu- sulmani, timorosi dal molo crescente giocato da Ankara. Gh americani indispettiti da tanta autonomia. I curdi che ancora l'altro ieri si sono divisi tra sostenitori di Barzani, secondo cui turchi in Iraq non ce ne sono, e uomini di Talaba- ' ni, convinti invece che i berretti amaranto siano già in aziona. Uno stato curdo in Iraq renderebbe insicuri i confini e anche il fronte intemo, proprio ora che i curdi sono stati promossi nella legislazione di Ankara da ((turchi delle montagna» a «non turchi». Segni della recrudescenza della crisi, la messa al bando dal partito Dahap a il divieto dei festeggiamenti par il Newroz, il Capodanno curdo, che cadeva il 21 marzo. Già gli speciahsti prevedono che le porte dell'Europa resteranno sbarrate ancora a lungo per la Turchia. E ancora una volta potrebbero sbagliarsi. Finora i grandi sponsor di Ankara sono stati i paesi meno interessati all'integrazione comunitaria, più legati alla visione dell'Unione come area di libero scambio. Innanzitutto, la Gran Bretagna. Ostile all'ingrasso della Turchia è Giscard. Perplessi Chirac e Schroeder. Favorevole con cautela Prodi. Entusiasta Berlusconi. Il terremoto provocato dallo strappo americano potrebbe indurre gli europei più refrattari a rivedere le loro posizioni nei confronti di una Turchia capace di tenere testa al tradizionale alleato di Washington. I generali hanno già dimostrato di saper sacrificare il proprio orgoglio alla causa euroDea. Richiesti di un parere sull'aboizione della pena di morte, hanno risposto nella seda del Consiglio nazionale di sicurezza (il gabinetto che si riunisce l'ultimo venerdì del mese per arbitrare la politica) cha Ocalan l'avrebbero impiccato volentieri con le proprie mani; ma siccome Bruxelles avrebbe trovato da eccephe, sarebbe stato meglio che su questo punto l'esercito non venisse consultato. L'Armata è oggi una delle forze che spinge perTingresso dalla Turchia in Europa, che avrebbe così ai propri confini maridionah una grande potenza militare, un paese giovane (metà dei 67 mihoni di turchi ha meno di 27 anni), un ponte naturale proteso verso l'Asia centrala a il Medio Orienta. E che, se necessario, sa dire no agh Stati Uniti. La strategia punta a evitare la nascita di uno Stato curdo, bloccare i profughi, disarmare i terroristi, tener d'occhio il petrolio di Mosul Il burattinaio è il comandante delle forze armate, generale Òzkòk, piccolo, calvo carismatico e superdecorato CQda Cannoni semoventi turchi schierati sul confine con Per le forze armate ottenere il via libera è fondamentale per il futuro A questo obiettivo sono disposti a sacrificare anche il proprio orgoglio Sono loro che hanno dato ordine di rinunciare alla esecuzione di Ocalan per non far arrabbiare Bruxelles Acuì hanno regalato un bel no agii Usa Alti ufficiali turchi al mausoleo di Atatùrk ad Ankara