Perdersi nell'incubo arabo, trovare le sorgenti del Gange di Alessandro Monti

Perdersi nell'incubo arabo, trovare le sorgenti del Gange Perdersi nell'incubo arabo, trovare le sorgenti del Gange AVVENTUROSO e avventurato lettore che si inol- 1 tra nei meandri tortuosi iLmm del romanzo L'Incuio Arabo di Robert Irwin, un tempo docente di studi medio orientali anche a Cambridge e a Oxford, rischia di smarrirsi in un vortice di storie a perdere e di ritrovarsi al punto di partenza, come succede al sempre più stordito ed esausto protagonista del romanzo. Costui cerca più e più volte, con incrollabile ostinazione degna di ima formica, di lasciare il Cairo, ma la città orientale continua a ringhiottirlo, a dilatarsi in orizzontale, oltre la cerchia di quartieri affollati 0 in rovina, duplicandosi di continuo in un'estensione che riproduce i propri, immaginari, confini. Siamo dunque al Caùo, nel 1486, e da una comitiva di pellegrini franchi (europei) si distacca e si perde, sino a diventare vagabondo ramingo nel metafisico labirinto orientale, l'inglese Vane, anche spia per il re di Francia, il vagare senza fine dell'ingabbiato viaggiatore è raccontato da un narratore di strada, che «immagina» e introduce capitolo dopo capitolo la storia, di cui è anche personaggio, di modo che il racconto è commento a vicende forse sognate, del resto nel romanzo si dice che la realtà è l'interpretazione sognata di un sogno, e che si dilatano nei cerchi concentrici, ed evanescenti, di storie inconcludenti a incastro: ritorniamo sempre al punto di partenza. Tale è l'effetto dell'incubo arabo: un male (o demone 0 insufflata pestilenza) che ti squassa il corpo con emorragie notturne e ti logora la mente con l'urgenza di un'altra vita, da noi sognata e quindi altrettanto vera di quella che crediamo reale. Nella prima parte il romanzo sembra riproporre l'Oriente come luogo per noi indecifrabile e claustrofobico, al pari di un muro senza RECENAlessM IONE ndro ti porte 0 finestre. Tuttavia la scrittura s'ingarbuglia poi in grovigli metafisici, a malapena sostenuti da un'impalcatura concretamente narrativa, ovvero la lotta tra il Padre dei Gatti, che non è un mite pensionato che ha cura dei randagi, e un ordine di cavaheri cristiani lebbrosi. Attorno ai due antagonisti, e a Vane, ruota una corte dei miracoli post-orientalistica, con scimmie antropomorfe, geni (djin), doppi femminili (eidololon) e le immancabili fanciulle recluse e vogliose. Più quieto è il pellegrinaggio contemporaneo, e reale, compiuto da Stephen Alter in Acque sacre, su per la regione montana di confine del Garwhal (India), verso le sorgenti del Gange. Alter si riallaccia idealmente ai grandi viaggiatori/ esploratori ottocenteschi, in quanto percorre tutto l'itinerario a piedi, mentre oggi i fedeli induisti si avvalgono di autobus. Tale scelta eccentrica, ma non affatto nostalgica 0 intrisa di troppo facile misticismo, gli permette la visione di stupendi paesaggi (più 0 meno incontaminati, purtroppo, visto lo sbancamento di intere montagne per erigere dighe 0 strade) e di variegati personaggi umani. Un viaggio, dunque, in un'India arcaica, ma non necessariamente arcadica, sulla quale si sovrappongono, estranee e senza modificarla, le opere di un'affrettata modernizzazione. RECENSIONE Alessandro Monti Robert Irwin L'Incubo Arabo, Meridiano Zero, pp. 256. e 76 Stephen Alter Acque sacre, Ponte alle Grazie, pp. 328, 6 16 ROMANZO E REPORTAG

Persone citate: Alter, Robert Irwin, Stephen Alter

Luoghi citati: Cairo, Cambridge, Francia, India, Oxford