«La lezione di un grande editore»

«La lezione di un grande editore» GLI INTERVENTI SUL PALCO DEL TEATRO CARIGNANO IL RICORDO DEI GIORNALISTI CHE L'HANNO CONOSCIUTO E HANNO LAVORATO CON LUI «La lezione di un grande editore» direttori raccontano: ci ha lasciati sempre liberi ARRIGO LEVI «Per il suo tirocinio volle lo scorbutico Ronchey» PECCATO che non sia qui Alberto Ronchey. Lui rappresenta il momento in cui Giovanni Agnelli diventa editore, dopo l'epoca di Valletta e di «ciuffettino» cioè il grande De Benedetti. Sorgi ha scritto sul tirocinio dei direttori, Ronchey fu il tirocinio di Agnelli come editore. Prendendo in mano il giornale scelse i come direttore uno come Alberto, ' scorbutico, difficile, duro. Ce n'erano di più facili. Ma Agnelli stava creando un salto generazionale. Sceglieva una generazione coetanea, che aveva condiviso con lui le esperienze centrali, come la guerra e la Resistenza. Quando Carlo Casalegno intitolava la sua rubrica «Il nostro Stato» non si riferiva allo Stato in cui vivevamo, bensì a quello che avevamo fatto. I giovani, anni dopo, hanno trovato una casa già costruita. Agnelli e Ronchey alla prova. Quando Gorresio scrive i suoi ritratti e Fanfani si offende, l'uomo politico va a protestare direttamente dall'editore. E come dire, si verifica se le ha le...? L'editore le aveva, sì, perché Gorresio continuò a scrivere. Erano stati messi alla prova ambedue. I politici italiani capirono che c'era poco da insistere, gli stranieri meno. E' il caso di Gheddafi, quando una prima volta chiese il mio licenziamento. Mi chiamò Renato Ruggiero, dalla Farnesina, e mi disse: «Non rida. Gheddafi vuole che lei se ne vada. Ne parli all'Avvocato». Gli telefonai e gli dissi: «Non rida: Gheddafi vuole che me ne vada». E lui rise. «Non rida», gli dissi. Gheddafi si prese la rivincita quando entrò nella Fiat come azionista. Rifece la sua richiesta. L'Avvocato rispose di no: e non quando il contratto era già fatto, ma solo siglato. In ogni caso scrissi un editoriale, anonimo, e domandai ad Agnelli di accompagnarlo con una dichiarazione di fiducia dell'editore. Mi rispose; va bene, ma la mia fiducia la pubblichiamo lunedì, non sotto l'articolo. Perché? Perché altrimenti sembra che l'articolo lo firmi io. Altro capitolo è quello del terrorismo, delle Br. Molti di quelli che si sentivano minacciati si allontanavano. Agnelli rimase qui, perché un Agnelli non se ne va. Ripensandoci, mi viene in mente il dibattito su editore puro e impuro. Io allora imparai a distinguere, invece, fra maturo e immaturo. Rispettava troppo le proprie idee per non rispettare quelle degli altri. E' stato il più grande editore che io abbia conosciuto. In tutte le battaglie noi che credevamo nella Stampa sapevamo che lui era lo scudo. E questo avveniva anche in politica. Proprio negli anni del dolore, del sangue, delle Br, stavamo tutti dalla stessa parte della barricata. E cito fra tutti la serata fredda e dolorosa a parlare con Diego Novelli di Carlo Casalegno appena colpito. E poi la battaglia per le nuove tecnologie, guidata da Giovannini. Stavamo salvando il giornale, la redazione prima contestò, poi capi che si doveva schierare con l'editore. Il mio rimpianto è grandissimo. Per un uomo di principi, di valori. Li ha lasciati intatti a ognuno di noi e soprattutto alla sua famiglia, a chi prende in mano questo bene. Perché anche loro sanno che Torino ce la farà, la Fiat ce la farà. La Stampa ce la farà. Arrigo Levi PAOLO MIELI «Con noi cambiò generazione E il suo azzardo fu premiato» A differenza dei colleghi direttori che ci hanno preceduto alla guida deUa «Stampa», io, Ezio Mauro, Carlo Rossella e Marcello Sorgi siamo un gruppo unico, compatto. (...) Quando io ed Ezio abbiamo assunto la direzione della Stampa non avevamo quasi nessuna idea di cosa significasse dirigere un giornale. Scegliendoci l'Avvocato aveva compiuto un azzardo, e noi gh dobbiamo una particolare gratitudine: non la semplice gratitudine verso chi ti nomina direttore di un giornale, ma la gratitudine verso chi, facendolo, rischia. Facemmo anche degli errori clamorosi, nell'impaginazione, a volte neUa scelta delle notizie. (...) Ma il punto è che noi abbiamo avuto il privilegio di poter fare un giomale con la libertà di compiere enrori. Abbiamo preso dall'Avvocato Agnelli - che oggi non c'è più, ma la sua famiglia,resta - uno stile, e l'abbiamo trasferito nel giomale. È uno stile che consiste in una certa eleganza nel modo di comandare; nel fare U proprio lavoro con intensità e abnegazione ma sempre fingendo di fare un'altra cosa. Uno stile che consiste in un tono, una sprezzatura, qualcosa che fosse Ueve nel tratto. Tutti l'abbiamo portato dietro nelle esperienze che abbiamo avuto successivamente. Dall'Avvocato abbiamo preso dei valori, per esempio l'amore per Torino: proprio perché nessuno di noi è stato torinese, tutti ci siamo dovuti far carico di che cos'era Torino per lui. (...) La Stampa era, e continua a esser fatta, in una maniera nazionale, europea, mondiale. Con un'attenzione assolutamente non provinciale alla politica estera, aUa cultura, all'economia, che ne fanno l'autorevolezza e anche la fortuna economica. È un'altra delle doti lasciate dall'Avvocato. L'Avvocato ha avuto un grande potere in altri giornali, posso dirlo proprio io, che poi mi sono spostato al Corriere della Sera; ma La Stampa è rimasto l'unico amore vero, profondo. Il modo migliore per rendergli omaggio è non perdere questo patrimonio, non trattare mai La Stampa come un giomale, ma come il giomale attraverso il quale si esprimono i valori liberali di questa città. Se dovesse esserci anche un impegno economico fortissimo, ma dovesse venir meno questo valore fondamentale - che era molto legato all'Avvocato e aUa sua famiglia quello, sì, sarebbe grave. Non dimentichiamocelo mai. Paolo Mieli EZIO MAURO «Lo diceva quasi con imbarazzo: tutti parlano bene della Stampa» GAETANO Scardocchia aveva fatto un esperimento, portare dentro il giomale un gruppo di giovani che considerava i migliori della sua generazione; Paolo Mieli, Marcello Sorgi, Gianni Riotta, Pierluigi Battista. L'Avvocato non per caso ha sempre avuto presente il carattere particolare della presenza di Scardocchia nella Stampa. (...) Ora, ritrovando a Torino tante persone, vedendo un uomo come Giorgio Fattori - che credo abbia fatto il più bel giomale nel quale ho lavorato - incontrando Paolo Mieli, MarceUo Sorgi, Carlo Rossella, ho ripensato a quel gruppo di persone che erano partite insieme, che stavano insieme il giomo, che la sera andavano in pizzeria insieme e continuavano a parlare della Stampa. Era un gruppo di persone davanti a un esperimento guidare il giomale - che sembrava troppo grande per la nostra età, e tuttavia sembrava che potesse funzionare, con l'Avvocato che ci dava corda, ci lasciava lavorare, ci stava dietro, si faceva sentire al nostro fianco. Non ha mai fatto un complimento o un rimprovero, il massimo che gli abbia sentito dire è stato questo; «Sono quasi imbarazzato, in giro tutti mi parlano bene della Stampa» (...) L'Avvocato i giornali li sapeva leggere, riconosceva il talento. Però conosceva anche il tesoro di quel lavoro fatto da chi rimane magari fino all'una di notte a cambiare un titolo o un occhiello perché il pezzo di quella grande firma venga megUo. (...) C'era un triangolo di Torino che lo appassionava: Fiat, Juve, Stampa. Naturalmente, la Stampa al centro di tutto, «un posto pulito, illuminato bene», che ha riflesso la civiltà del fare del nord-ovest, si è fatta carico di darle una rappresentanza. (...) Uno dei miracoU-Sfampa è continuare ad essere un'affermazione di regole come il rispetto deU'autonomia della politica e il senso dello stato. Non è un caso che in questo giomale siano confluiti i padri del Partito d'Azione, Bobbio, Galante Garrone, Jemolo, Mila, Gorresio, Antonicel11. U Il 1 maggio 1996, il mio ultimo giomo a Torino dopo la nomina a direttore di Repubblica, l'Avvocato mi chiamò a casa sua. Mi domandavo quale mandato volesse affidarmi, lui invece mi chiese: «Senta, quante volte lei è andato nei salotti torinesi?». Io risposi; «Tre, forse quattro volte in tutto». Lui ribatté; «Beh, diciamo sei volte, lei è stato qui sei anni, una per anno. Ecco, mi faccia un favore; faccia la stessa cosa a Roma». Lui se lo sarà subito dimenticato, per me è rimasto una specie di patto al quale ho cercato di rimanere fedele. Ezio Mauro CARLO ROSSELLA «Curioso come pochi, mi chiese com'era la Gruber» MA com'è Lilli Gruber?». L'Avvocato me lo chiese aU'improvviso, il giomo in cui firmai U contratto con la «Stampa», fino a due ore prima ero ancora nel mio ufficio di direttore del Tgl. Rimasi sorpreso. Quando finii di parlare, commentò: «Dev'essere un3 donna abbastanza interessante». E queU'«abbastanza» lasciava nell'aria qualcosa di incognito. Evidentemente, la mia presentazione non lo aveva del tutto soddisfatto... I ricordi sono tanti, troppi: un giomo gh regalai un libro, una biografia del generale Me Arthur intitolata «Old Soldiers never die». Lui subito aggiunse; «They just fade away», completando una frase tipica del mondo militare americano. Un mondo che conosceva benissimo, così come conosceva benissimo U mondo mUitare itaUano. L'Avvocato si è «dissolto», ma è come se ci fosse ancora, come i grandi Eroi. E' una presenza immanente. Ricordo la sua immensa curiosità: chiedeva «che succede?», ma la risposta la conosceva già. Sempre: aveva un network di informazioni davvero straordinario... Quand'ero a Washington, e andavo aUa Casa Bianca, al Pentagono, al Dipartimento di Stato, tutti mi chiedevano sempre dell'Avvocato. Una volta, e fu per me un onore grandissimo, mi portò a una riunione del Wittenberg, ad Atlanta. C'erano HiUary Clinton e Colin PoweU, c'era Wolfowitz, che oggi è U numero due del Pentagono. Tutti volevano U suo parere, perché l'Avvocato, anche grazie aUe firme della «Stampa» come Enzo Bettiza e Igor Man, aveva una visione deUa pohtica intemazionale da ministro degh Esteri. E su questi temi si faceva sentire spesso. SuUa poUtica intema, invece, era più distaccato. Ricordo però nel mio ufficio tre suoi incontri molto interessanti. Il primo con Romano Prodi, che a un certo punto cominciò a parlare di automobih. «Noi facciamo deUe macchine bellissime», tagliò corto l'Avvocato, ricominciando a porre le sue domande. U secondo con Massimo D'Alema; l'Avvocato chiedeva, e D'Alema rispondeva come uno scolaro. Era come una persona depotenziata deUa sua supponenza, del suo carattere spesso difficUe... Il terzo con Sergio Cofferati. In queU'occasione assistetti a un vera lezione di storia raccontata: l'Avvocato raccontò U suo rapporto con Lama, e le sue parole mi fecero capire gh anni delle tensioni sindacaU e degU scioperi. E devo dire che, di quegli anni. Lama e AgneUi avevano in fondo la stessa visione. Vorrei concludere con ima confessione personale. Io, da lombardo, ho sempre avuto un rapporto difficUe con Torino. Fu lui a insegnarmi ad amare questa città, e adesso posso dire che Torino mi è rimasta nel cuore. Così come porto ancora nel sangue l'esperienza aUa «Stampa»; un giomale che, grazie a lui, è conosciuto in tutto U mondo. Quando mi presentai a BUI Clinton e gU dissi che ero deUa «Stampa», lui disse; «Lo conosco, è U giomale deU'Avvocato AgneUi». Una cosa sola mi dispiace: ogni volta che prendo in mano le memorie di Katherine Graham, l'editrice del «Washington Post», penso che è stato un peccato che Giovanni AgneUi non abbia avuto U tempo di scrivere un libro del genere. Sarebbe stato uno straordinario manuale di volo per tutti i giornalisti itahani. Carlo RosseUa MARCELLO SORGI «Il nostro tirocinio in una palestra di libertà» LI AVVOCATO AgneUi ha lasciato a noi i direttori una grande lezione di Ubertà, di sicurezza e di impegno. Anche per questo dobbiamo guardare con gratitudine aUe dichiarazioni di Umberto AgneUi. NeUa sua prima intervista, U dottor AgneUi ha ribadito che è la libertà dei giomaUsti a contraddistinguere un paese democratico. Parole che hanno un valore importante, per noi deUa «Stampa» e per tutti coloro che fanno U nostro mestiere. Il giomo in cui Paolo Mieh fu nominato direttore, nel 1990, nel mondo del gioptiahsmo itahano ci fu come un brivido. Sentimmo tutti una specie di scossa, perché tutti avemmo la sensazione che stava cominciando un periodo nuovo. Alla generazione dei quaranta-cinquantenni coevi deU'Avvocato AgneUi, quelh che avevano maturato insieme con lui un patrimonio di esperienze comuni (U fascismo, la guerra, la Iterazione, il dopoguerra) subentrava - dopo la direzione cerniera ma profondamente innovatrice di Gaetano Scardocchia - una nuova generazione di giomaUsti. Si ripeteva U forte «salto» che l'Avvocato AgneUi aveva fatto nel 1968, quando aUa ventennale e storica direzione di GiuUo De Benedetti, fece seguire la nomina di Ronchey. Alberto Ronchey, Arrigo Levi, Giorgio Fattori e Gaetano Scardocchia erano stati i nostri maestri, i direttori che ci avevano assunto, che ci avevano formato trasmettendoci i loro valori, che ci avevano assegnato ancora giovani a incarichi e ruoh che negU altri giomah erano riservati a coUeghi più esperti e maturi. Noi abbiamo iniziato a lavorare con loro che non avevamo ancora trent'anni. Devo dire che, quando cominciai questo mestiere come cronista in un giomale di provincia, non avrei mai immaginato di poter un giomo essere qui, su un palco come questo, insieme a coUeghi come questi. L'Avvocato aveva condiviso con la prima generazione del «suoi» direttori una stagione molto formativa; U difficUe ritomo dell'ItaUa aUa democrazia, la guerra fredda, la cortina di ferro, U nuovo molo intemazionale deU'America. Ma anche i contrasti sociaU degU Anni Settanta, l'esplosione deUa violenza giovanUe, U terrorismo che colpì duramente la «Stampa» con l'assassinio di Carlo Casalegno. Tutto questo riletto aUa luce di Torino, una capitale industriale, ma anche una città particolare, che ha sempre avuto diffidenza per un certo modeUo di ItaUa e che ha avuto la forza di metterlo in discussione con i suoi inteUettuaU, a partire da Norberto Bobbio e Alessandro Galante Garrone, e con gU editoriali deUa «Stampa». E' quest'insieme ideale, questa chiara visione deUe cose che, con l'Avvocato Agnelli, ci manca: ci mancano la sua visione laica dei rapporti con gh Stati Uniti, la sua visione preoccupata di questa Europa che si va sgretolando. Ci manca la sua visione deUa poUtica intema, da guardare sì con divertimento - perché chi l'ha osservata da vicino sa bene che la poUtica itahana è divertente - ma da osservare e giudicare con la serietà che meritano le cose importanti. Ma ci mancano anche le sue curiosità sui fatti di cronaca. Le sue domande acute sui particolari, sui dettagh, suUe motivazioni che stanno dietro agU avvenimenti. Ricordo molte giornate passate a discutere con lui notizie di cronaca importanti: U deUtto di Novi Ligure, Marta Russo, Cogne, per non parlare deUe cose di mafia. E devo dire che sapeva mettersi daUa parte di chi legge; le domande che lui si faceva erano queUe che avrebbero reso im pezzo «gustoso», completo, dedicato al lettore. Marcello Sorgi GIORGIO FATTORI «Giovanni Agnelli e il suo giornale hanno un posto speciale nella mia vita» cato. Giovanni Agnelli e La Stampa hanno un posto speciale nella mia vita, mille sono gli incancellabili ricordi, così come è incancellabile il rapporto con chi ha lavorato con me al giornale. Loro mi chiamano ancora direttore, e facendolo leniscono il mio grande rammarico di non esserlo più. Grazie per avermi voluto oggi con voi per ricordare un uomo speciale. Giorgio Fattori Giorglo Fattori HO avuto un'anticipazione della grande commozione che avrei provato nel ricordare in questo teatro uno straordinario Editore, vedendomi sul Corriere della Sera con lui. Vorrei poter raccontare i miei anni di inviato, quelli da direttore e il mio rapporto con l'Avvocato Agnelli, professionale e personale. Purtroppo non sono in grado di farlo, ma la mia presenza ha un inequivocabile signifi-