BAGHDAD Una città rassegnata in fuga dalla paura di Giuseppe Zaccaria

BAGHDAD Una città rassegnata in fuga dalla paura UNA METROPOLI COI NERVI A PEZZI E UNA POPOLAZIONE STREMATA BAGHDAD Una città rassegnata in fuga dalla paura reportage Giuseppe Zaccaria inviato a BAGHDAD LA linea che divide l'orgoglio dalla dissoluzione oggi appare sottile come il corso del Tigri, che in vista delle secche estive riluce al tramonto come a sottolineare separazione fra la metropoli antica e la città del regime. Dall'altra parte del fiume c'è la Baghdad secolare che spandeva civiltà nel mondo, da questa c'è Al Rasafa, la zona dei grattacieli e dei ministeri, dei mausolei ipermodemi, delle scimitarre incrociate in archi di trionfo, delle statue che dominano i «boulevard» raffigurando un Leader plastico e superdotato. Non c'è più spazio per la speranza, quello della diplomazia si era prosciugato da tempo: la prima guerra per il dominio del pianeta sta per abbattersi su una città coi nervi a pezzi e una popolazione stremata, semina una sorta di panico preventivo che si esprime in rudi aggressioni come in sorrisi immotivati, in atteggiamenti minacciosi come in gesti servili. Il ciclone che sta per abbattersi su questa città, su questo Paese, travolgerà un regime e moiServite^ppraUut^caajinerà U!tìi«s»P»*w^ w,^ . Oggi st Baghdad ci sono sono sui marciapiedi, intomo al centro stampa, a ridosso dftutti gli edifici pubblici e che, sudati e nervosi, aspettano non si sa che. E quegli altri che in qualsiasi ufficio, dalla dogana all'ultimo sottoscala munito di scrivania, domandano il «bakshish» senza più alcun pudore. Dieci dollari, cinque dollari ma anche una manciata di poveri dinari locali per ottenere un timbro, una dichiarazione, un' autorizzazione che avrebbero il dovere di rilasciarti subito. Meno di un anno fa il lungo sguardo di Saddam avrebbe raggiunto e incenerito chiunque si fosse comportato così, ma adesso la disperazione è più forte della disciplina, sotto le falangi della Guardia Repubblicana e le sezioni del Baath il Pa(gffìM^aM)*Ejte^fefaldarsijiwwFa caldo, a Baghdad: la città sembra ancora più caotica e ^umorosa del solito, ma quello di oggi è un traffico diverso, ^dirizzato verso l'esterno, le città o i villaggi nei quali appare più probabile trovare scampo, o almeno si riuscirà a prendere sonno. Le «troupes» televisive americane se ne vanno, i funzionari pubblici hanno spedito le famiglie fuori città, i negozi chiudono: ripetizioni di un film già visto dodici anni fa, ma questa volta il finale sarà diverso, e la sceneggiatura molto più convulsa. C'è un senso di déjà-vu, in momenti come questo, e assie-jme il confuso avanzare di sentifmenti del tutto nuovi. Per unverso è come assistere al «re-make» di una vecchia e non memorabile pellicola, con qualche personaggio rinnovato e il vecchio eroe riproposto in versione più lucida. Perfino Peter Amett, il giornalista della «Cnn» che sull'altro bombardamento di Baghdad costruì il suo mito, adesso è un maturo signore che alle sei di sera lascia di fretta l'albergo «Rasheed», il palcoscenico dei suoi antichi trionfi, e sgattaiola via perchè teme che le bombe di Bush questa volta non abbiano riguardo per i Miti. Arrivederci, mister Arnett, questa è una guerra nuova, chissà di quali strumenti ci sarà bisogno per raccontarla. Comincia a farsi sera e i «controllori» iracheni, quelli incaricati di seguire i giornalisti stranieri, diventano via -via sempre più gentili o si dileguano del tutto. Le notizie sgocciolano come in una tortura cinese: gli Stati Uniti impongono di mandare via gli ispettori Onu, entro oggi il loro capo, Hans Blix, potrebbe ordinarne lo sgombero, quelli che erano al Sud del Paese se ne sono già andati, Francia, Russia e Cina, le ultime speranze di Saddam, chiudono le ambasciate e ingiungono ai propri cittadini di uscire dall'Iraq. Nel senso di angoscia che monta a tratti si affacciano anche elementi di grottesco: una delegazione di «scudi-rUfljtìBi», quei bizzÉUxi signori cfSSj..: qui un po'-da tutto il rapndp, chiede al governo irach'enoftfearanzie stìll'uso degIi «sCnaf- umani» K pensare ad uno che si abbarido- ni su una sedia elettrica pretendendo che il direttore del penitenziario stacchi la corrente. Perfino nelJa facciata del regime sembraci poter cogliere le prime crepe. Voci non confermate parlano di una strage di sciiti dinanzi alla moschea di Karbala, che assieme con al Najaf è considerata luogo sacro dell'Iraq: dopo una cerimonia religiosa alcuni fedeli avrebbero cominciato a scandire frasi contro il regime e la reazione dell'esercito sarebbe stata brutale. D'un tratto anche Saddam .Hussein ammette che davvero l'Iraq ha posseduto armi per la distruzione di massa ma che oggi le ha distrutte compieta mente. Lo fa con una dichiara zione alla tv diretta dal figlio. tome unamBmo: che' temendo la punizióne confessasse infine: «Sì, sono stato cattivo, ma non lo farò più...». All'altro e pi^'fidato rampollo, Qusay, è stSjta affidata invece la difesa di uno dei quattro distretti militari in cui è stato diviso il Paese, proprio quello di Baghdad, luogo che probabilmente s'immagina come ultima ridotta. Eppure anche se la presenza dei militari si è improvvisamente infittita non pare che l'Iraq sia in grado esprimere grande capacità di resistenza: al contrario, il regime sta tentando di tenere ferma una struttura che comincia già a scollarsi. Si raccontano mille storie, a Baghdad, che più nulla hanno a che fare con i notti incantate. Storie di pressioni e intimida- -SKtfCEsdaaBbte un'offltóaaéaié; di commissari del Baath trasformatisi esattamente nella copia di coloro che avevano combattuto trent'anni fa, cioè i comissari politici comunisti o gli sgherri del presidente Kassem. Questa guerra scatenerà conseguenze inimmaginabili: una delle meno trascurabili sarà quella di far scomparire anche la parte residuale dell'unico movimento politico laico mai affermatosi in questa parte del mondo. Un funzionario pubblico che avrebbe dovuto controllare chi scrive, ieri dopo un incontro dal tono formale d'un tratto ha cambiato registro e ha chiesto, quasi implorante: «Voi giornalisti sapete più di noi... Che cosa mi consiglia, restare o partire?». In quel «partire» privo di : lincili azione SSaGZESffpoF'tB? speranze e di mezzi (Baghdad da ieri è città stretta da un anello di posti di blocco) c'era tutto lo smarrimento di quest' attesa. Un attimo dopo l'uomo farfugliava qualcosa anche sul timore di rappresaglie che lo invade, sul fatto che dopo le bombe sulla testa di molta gente piomberanno le vendette, non meno pericolose, e dopo le vendette le faide, gli scontri religiosi e quelli tribali. Della guerra che sta per abbattersi sull'Iraq e sul resto del mondo si possono prevedere solo alcune cose. La prima è che probabilmente non durerà troppo a lungo, la seconda che sicuramente dopo bombe e avanzate richiederà un intervento ancora più massiccio ed efficace, per evitare che l'anti¬ ca terta di BabllrmiaisLtrasflaE» mi in ciò che la gente comune intende con questo termine. Nel quartiere di Hay Al Muhandsin, al di là del povero quartiere cristiano, ieri il vescovo caldeo Warduni, un omino rotondo e gioviale, rispondeva così alle domande su che cosa potrebbe scatenarsi nel dopoSaddam nei confronti della minoranza a cui appartiene: «Per il momento è vero soltanto che cristiani e musulmani sono accomunati dallo stesso destino, perchè le bombe non faranno differenza... Mi dite che questa è una guerra contro la dittatura, ma vorrei chiedere a voi: e Bush, lo considerate un democratico? Ascolta forse i milioni e milioni di persone che in tutto il mondo continuano a chiedere la pace?» La capitale sembra ancora più caotica e rumorosa del solito ma il traffico va verso l'esterno, le città e i villaggi nei quali pare più probabile trovare scampo o riuscire a prendere sonno C'è un senso di déjà-vu e nella facciata del regime si colgono le prime crepe. Si parla di una strage di sciiti davanti alla moschea di Karbala, mentre Saddam ammette che davvero l'Iraq ha avuto

Persone citate: Arnett, Bush, Hans Blix, Kassem, Peter Amett, Warduni