A ciascuno la sua Storia e i suoi revisionismi di Marco Neirotti

A ciascuno la sua Storia e i suoi revisionismi A TORINO SI E' APERTO IERI E SI CONCLUDE DOMANI UN CONVEGNO CHE ANALIZZA L'USO POLITICO DEL PASSATO A ciascuno la sua Storia e i suoi revisionismi Marco Neirotti .,T A Storia siamo noi». Un ''JLi verso di Francesco De Gregori è diventato slogan, titolo di trasmissioni tv, modello di dialogo. Ma «la storia siamo noi» si riferisce a qxtando la facciamo, la Storia, a quando tentiamo di intervenire, nel piccolo, piccolissimo, pur sapendo che «dalla parte sbagliata si muore». E anche da quella giusta. Ma quando non siamo noi la Storia, allora lei è quello che ci raccontano, ci insegnano, ci fanno leggere sui libri e ci vendono per verità. E anche quella che ci correggono cammin facendo. Eccola qui, la parolaccia: il revisionismo. Ma rivedere è davvero sbagliato? Rivedere non serve a capire meglio? Può darsi, ma può darsi anche che a rivedere si vada di proposito, per aggiustar le cose al servizio di una ideologia. Per questo la parolaccia «revisionismo» acquista nobiltà per come viene trattata (da ieri a domani, alla Fondazione Agnelli di Torino) in un convegno organizzato da «Historia Magistra», Associazione Culturale per il Diritto della Storia e la Fondazione Piemontese Istituto Antonio Gramsci. Per iniziativa del professor Angelo d'Orsi, si incontrano studiosi di tre generazioni, da Della Feruta a Verucci, Bravo, Macry, a Pavone, Traniello, Vivarelli, Franzinelli. Agosti, Salvadori, Della Loggia, Galasso. Rileggere la Storia è il senso delle tre giornate. E dalle parole di tutti, fin dall'inizio, emerge chiaro un punto fermo: rileggere la Storia significa, sempre e comunque, rileggere se stesso, capire che cosa si sta facendo. Si piega una realtà a un'idea? O si scopre in un documento che alle nostre idee crea problemi? In queste giornate si parla di Risorgimento, di Italia Liberale, di fascismo, di 8 settembre, di Salò e Resistenza. Sarà interessante, domani, l'incontro conclusivo, presieduto da Giuseppe Galasso, su «revisioni storiografiche e revisionismi ideologici». Perché è lì il nodo. C'è una cosa della quale il lavoro storico non può essere privato: è la visione dello studioso, è il suo lavoro sui documenti, su realtà che comunque va a leggere. Eppure l'influenza dell'ideologia, della politica, del sospetto di appartenenza proprio questa base vanno a minare, da parte di chi scava nel passato, da parte di chi giudica chi nel passato è andato a scavare. Iij apertura di convegno, proprio d'Orsi mette in risalto l'assurdo per il quale - occupandosi di fascismo e di vicinanze al fascismo di intellettuali italiani - si ritrova osteggiato, comunque nemico di una intellighenzia di sinistra cui appartiene e, insieme, si ritrova suo malgrado aspirato da una cultura di destra che avverte: avete visto? lo dicono anche loro, anche quelli non sospetti di scelte. È fango, questa fase della storiografia. Fango non nel senso che lo si tira addosso agli altri, ma fango nel senso che da un momento all'altro diventa sabbie mobili, prigione. Cioè ideologia. D'Orsi ha fatto citazioni dolorose. Quando uscì, per Einaudi, il suo La cultura a Torino tra le due guerre, gli domandavano: «Ma tu non ti sei domandato a chi avrebbe giovato il tuo libro?» (come ad accusarlo di una confessione di una parte), oppure: «Era proprio il caso di tirar fuori certe cose?». Eccolo qui, il vero dilemma dello storico, del quale stanno disquisendo con rispetto reciproco a Torino. Il centro della questione .è molto più basso, e Un'immag insieme più profondo, dei dibattiti saccenti o delle grandi rivelazioni. È tutto nella differenza fra «revisione», intesa come «andare a rileggere» situazioni ed episodi e collegamenti, e «revisionismo», inteso come intervento ideologico, cioè asservimento del lavoro dello storico a una ideologia. Qui si citano Furet, Nolte, De Felice. E si citano anche quali autori talora di provocazioni. In realtà la questione è spostata di lato, è agganciata a due piani di rilettura. Non a caso sono state invitate tre generazioni di storici, quella formatasi negli Anni 50 e quella che in quegli anni è nata, poi ancora quella che della seconda generazione è diventata allieva. Se ne accorgono discutendo, gli storici, di come cambia quella frase che dice «la storia siamo noi»: siamo noi anche mentre la raccontiamo, non soltanto mentre la viviamo. Siamo la Storia perché alla Storia aggiungiamo qualcosa di nostro,' per esempio l'occhio con cui andiamo a rivedere brandelli di passato. Se ascolti con pazienza gli storici che si raccontano, scopri di tutto: «La Storia serve? Non lo so, ma è divertente» (citazione da illustre maestro). Invece sanno che serve: «È democrazia». Però è un cammino pilotabile, aggiustabile. Il centro del dibattito sta tutto lì, nell'onestà di chi va a rileggere. Ha ragione d'Orsi quando dice che uno storico che si limiti a prender per buono quello che gli hanno passato quelli più anziani è più un facchino che uno uno studioso. Il ricercatore ha diritto ad andare a rivedersi ciò che gli hanno passato. Ma come lo fa? Con la sua cultura, la sua preparazione, i suoi modelli, i suoi confronti. E qui tutto può mutare. Eccola, là revisione, ed ecco perché tre generazioni di storici. Che cos'è Stalin, che cos'è Hitler di fronte a Milosevic? Come il passato condiziona la lettura di un presente che è ancora cronaca e già storia, ma come questo presente di cronaca condiziona la Storia? Il dibattito della storiografia «revisionista» nel senso peggiore è un esempio di battaglia ideologica dove talora i morti sono più palline da ping pong in una gara che vittime cui portare rispetto: la Risiera di San Sab¬ ba? Vuoi mettere le foibe? Questo insegnamento vien fuori da questi tre giorni: un conto è la Storia, un conto è la lettura personale e onesta della Storia, un terzo conto è il gioco delle tre carte con la Storia, fino a ribaltare, ingannare, nascondere, far ricomparire. Si parlava ieri di «pratica rigorosa della ricerca documentale, fuori da ogni autocensura in nome di una qualche cautela politica, o di intenti cripticamente agiografici»'e altrettanto lontana da «qualsivoglia intendimento accusatorio». Ottima intenzione. Quello che ci si aspetta dall'ultima giornata è sentirsi dire «come si fa» a seguire quei buoni propositi. Coltiviamo tutti un'idea, se non un'appartenenza, una simpatia. Lo storico riesce davvero ad avere un unico amore, una moglie senza amanti chiamata Storia? A sentir loro è possibile. Ma è altrettanto vero che chi ama ha slanci. Per questo è giusto il richiamo che esce da questo convegno, pur nel rispetto delle idee, delle generazioni: si metta in campo il proprio vissuto storiografico, che coincide con il proprio tragitto esistenziale, intellettuale, politico. Però lo si faccia scoprendo le carte. La Storia deve essere racconto e spiegazione e invece sì avvita, almeno in parte si avvita. Si avvita sul gusto della rilettura da biografia popolarbest seller, si avvita sull'aggiustamento ideologico di chi quel giorno ha deciso quella rilettura, si avvita anche sul momento più faticoso, che forse è quello degli storici più giovani: io rileggo così perché così io sto leggendo così, e così mi misurerò con i miei maestri. La Storia è chi la fa, ma è anche chi la scrive. Per questo - nemici o cultori di una revisione che non deve essere revisionismo come ideologia - vai la pena di ricordare la raccomandazione del professor d'Orsi: «Il silenzio è comunque la più crudele e ingiusta della armi». j j.i uy-i ,\ In discussione Risorgimento Italia Liberale, fascismo, 8 settembre. Repubblica ' di Salò e Resistenza Un'immagine della Risiera di San Sabba

Luoghi citati: Italia, Pavone, Salò, Torino