«Tra schianti e fiamme mi hanno steccato la gamba con la targa»

«Tra schianti e fiamme mi hanno steccato la gamba con la targa» I RACCONTI DEI SOPRAVVISSUTI «Tra schianti e fiamme mi hanno steccato la gamba con la targa» Un chilometro di lamiere accartocciate, frastuono di elicotteri e di cesoie che liberano i feriti dalle carcasse. Un vigile ventenne estrae un cadavere e scoppia a piangere: «È il primo che vedo» reportage Brunella Giovara inviata a CESSALTO (Venezia) CI E un vigile che piange. E' giovane giovane, vent'annì o giù di lì. «Ha tirato fuori un morto, credo fosse il primo della sua vita», dice il collega che gli passa davailti e gli dice «ma dai, mona, che ne hai anche tirato fuori uno vivo...». Ma l'altro ha ancora le mani che tremano, e il casco appoggiato per terra come se non fosse neanche più suo. La faccia sporca, chiede un fazzoletto, ma nessuno ne ha. 1 Seduti su un pezzo di guardrail traballante, si guarda questo chilometro di macerie metalliche, nel frastuono degli elicotteri e delle cesoie che tagliano le lamiere. Si deve liberare almeno una corsìa, e bisogna lavorare, e sì deve fare in fretta, e bene. Entro la mezzanotte il grande flipper dell'autostrada deve ripartire. Due giorni fa ne è successo uno sulla Transpolesana, sempre della categoria maxitamponamenti. Ieri questo di Cessalto, domani da un'altra parte, è sicuro, è sempre così. E' stato «un inferno», dice un ragazzo con la mano fasciata e un mazzo di chiavi in mano, inutili perché «la macchina è bruciata, ma io ero già sceso e non so perché ma avevo tolto le chiavi». «E' uno scenario apocalìttico», dice un altro, un camionista grande e grosso e con grossi baffi, al quale non vengono in mente altre parole, e allora se le ripete da solo, «apocalìttico, apocalittico», anche quando nessuno lo ascolta più. Si va per definizioni di rito, persino banah, quando ci si ritrova atìcora con i piedi sui vetri e nel puzzo di gasolio, di carne bruciata, di asfalto che brucia. Passa una ragazza della Protezione civile e dichiara pronta alla tv locale: «E' un inferno dì lamiere». Senza aspettare la domanda, aggiunge che «poteva anche andare peggio». Peggio o meglio, c'è questo grande odore tremendo: carne bruciata, di «maiali, un intero carico di maiali che vede, erano su quel camion che è bruciato e così sono bruciati anche loro». E carne umana, spiace dirlo e scriverlo ma solo sei dei quattordici morti sono stati identificati: gli altri sono carbonizzati, e i vìgili che fanno il recupero stendono dei lenzuoli bianchì per impedire alle telecamere curiose di riprendere lo scempio. Un vigile grida «Via! Via tutti!». Trascinano un fagotto, lo consegnano a due becchini della ditta Bustreo, che non fanno una piega - uno dirà «noi queste cose le facciamo tutti i giorni, ci abbiamo fatto il callo, ormai» - e lo depositano con una certa delicatezza nella bara d'acciaio. E vìa, verso l'obitorio di «Mestre, o San Dona, fate voi». Chi fosse, quell'uomo o quella donna, tizzone nero raccolto come si raccoglie una porcellana preziosa, ancora non si sa. «Irriconoscibile», decretano i necrofori. Gli dispiace, «dover sempre fare queste cose, ma la gente corre, corre... E noi siamo qui per questo». Passano gli ehcottèri, e sganciano migliaia di litri d'acqua al colpo, centrando il Tir delle bombole di idrogeno liquido. Per un semphce miracolo questi siluri pronti ad esplodere - neU'incendio che li aveva avvolti - non sono esplosi. Roberto TenteUini, del nucleo elicotteristi dei vigili veneziani, ha pensato bene di usare lo stesso metodo sperimentato con il teatro La Fenice. Ha funzionato, «sennò saltava in aria tutto, compresi ì socccrrìtori che erano già al avoro lì intorno». Una gru solleva una macchina rossa - ì rottami di una macchina rossa - con la scritta Vigili del Fuoco sulla portiera. Ci viaggiavano Mauro Savron, ispettore amministrativo della caserma di Trieste, assieme al collega Minnìellì. Savron è morto, l'altro è fuori pericolo all'ospedale di Oderzo. Ha raccontato «eravamo fermi in colonna, poi siamo stati tamponati e sbattuti contro il camion che ci precedeva». E' il racconto di tutti questi reduci, ricoverati negli ospedali dì mezzo Veneto: «Ero fermo lì, poi mi hanno colpito da dietro». «Non ho visto niente, né fumo né fiamme. Poi sono stato sbattuto in avanti da chi mi seguiva». E a ripercorrere il chilometro del disastro si vede proprio e solo questo: un'auto infilata in un furgone, a sua volta entrato in un camion, che ha centrato un altro Tir, su su fino al primo della fila, camminando tra sagome calcinate che le gru agganciano come se fossero leggerissime, e lì appoggiano nella scarpata. Una sfilata di mezzi accartocciati e irriconoscibili come gli uomini che lì hanno guidati fino a questa mattina, ore 7,15, il momento del primo impatto, e poi giù a catena, uno dentro l'altro, nel flipper impazzito. . «Questa era una Golf, forse», dice un uomo che ancora non se ne è andato da questo posto, dopo così tante ore, perché aspetta di fare il verbale con la Polstrada. Un altro ha recuperato l'ombrello dalla macchina, «seriamente danneggiata». Si cammina sui vetri, sì arriva alle bombole e sì guarda sbalorditi l'asfalto liquefatto dal calore dell' incendio. Il Tir sta in piedi sui cerchioni nudi, la gomma degli pneumatici si è fusa con la strada. Più avanti ci sono delle bobine d'acciaio volate vìa nell'impatto da un carico che sì è sganciato e ha colpito ovunque, fino nei campì. Frammenti di plastica, una portiera blu, quasi perfetta. Un tagliando dì assicurazione, una sciarpa colorata, un pezzo di stoffa che forse era una bandiera della pace. All'ospedale dì San Dona c'è don Agostino Bobetto, salesiano che viaggiava sul pulraann verde in gita scolastica verso Vienna. Dice «eh, me la son vista brutta, ma l'importante è che i ragazzi son tutti salvi». Ha un braccio rotto, la faccia escoriata e stravolta, eppure sembra così felice, don Bobetto. Nella stanza vicina ci sono quattro muratori dì Padova. «Andavamo verso Trieste, per lavoro, certo. C'è stato lo schianto, ho sentito i miei amici che gridavano, io sinceramente non ho capito niente». Il capo, che di cognome fa Carraro, racconta «sono uscito dal finestrino, ricordo solo si aver battuto contro il pullman». E la pensionata triestina, che piange di felicità «perché Iho scampata, sono vìva, e mìo fratello e mia cugina anche, son vivi. Pensi che ho una gamba rotta fracassata, eppure sono qui a raccontarlo: mìo fratello ha tirato vìa la targa della macchina, che tanto era mezzo staccata, e l'ha usata per steccarmi la gamba. Finché non sono arrivati ì soccorsi, a fasciarla un po' meglio... E pensi che andavamo in vacanza, a fare ì fanghi ad Abano Terme... e ora son qui, ma cosa mi importa dei fanghi. Sono vìva, io». Sganciati migliaia di litri d'acqua dal cielo sul Tir carico di bombole di idrogeno. E' stato un miracolo se quei siluri non sono esplosi nell'incendio che li aveva avvolti: «Altrimenti saltava tutto, comprese le squadre di soccorso» «Questa era la mia auto, adesso non resta più nulla, ho recuperato soltanto le chiavi» «Viaggiavamo verso Trieste, quando siamo stati colpiti. Ho sentito i miei amici urlare e d'improvviso sono stato sbalzato fuori» Oltre 250 veicoli, tra camion e automobili, sono stati coinvolti nei tre incidenti che si sono verificati a poca distanza l'uno dall'altro I rapidi soccorsi dei vigili del fuoco hanno evitato l'aggravarsi della strage

Persone citate: Agostino Bobetto, Brunella Giovara, Bustreo, Carraro, Mauro Savron

Luoghi citati: Abano Terme, Cessalto, Padova, Trieste, Venezia, Vienna