La lingua italiana che bella avventura di Fiorella Minervino

La lingua italiana che bella avventura UNA MOSTRA AGLI UFFIZI. OGGI L'INAUGURA CIAMPI La lingua italiana che bella avventura Fiorella Minervino FIRENZE ALLA parola «Sciopero» si legge: «o Sciopro, s.m.. Voce purtroppo viva, di lavoranti che smettono opere consuete per forzare chi paga la mercede a aumentarla: un'arma politica, cessione in genere di lavorare». Ancora «Scioperare o Scioprare»: «levare chicchessia dalle sue faccende, facendogli perder tempo». Non è tutto, la voce successiva Scioperone, chiosa: «Dicesi specialmente per amante dell'ozio, che non vuol darsi in niun modo al lavoro». Così Niccolò Tommaseo, nel Dizionario della lingua italiana stilato con Bernardo Bellini, fra il 1865 e il 79, definiva una parola destinata a destini insospettabili nel secolo futuro. Quale fosse il suo valore agli occhi dell'esimio studioso a ridosso dell'Unità d'Italia, il quale peraltro 30 anni prima aveva scritto il primo Dizionario dei Sinonimi, è lampante e corrisponde alle idee del tempo. Questo e mille e mille curiosità, scoperte, episodi, significati, «trappole» si incontrano via via nella mostra avvincente e inconsueta, sapiente e godibile che si apre domani agli Uffizi (fino al 30 settembre) e racconta storia e vicende del nostro idioma, rammentando come tuttora noi parliamo, con modifiche evidenti, la lingua di Dante, cioè il fiorentino del'300. Non a caso spiega Bruno Bottai, Presidente della Società Dante Alighieri, per titolo è stato scello un verso dal Canto XXXIII dell'Inferno, là dove dove il sommo poeta per riferirsi agli italiani, allorché l'Italia era un concetto lontano a venire, usa «le genti del bel paese là dove l's' suona». Risulta cosi: «Dove il si suona, gli italiani e la loro lingua», come nome per la vasta panoramica incoraggiata dal Presidente Ciampi che questa mattina viene a inaugurarla ufficialmente. Si tratta di un incredibile viaggio, curato dal professor Luca Serianni, Ordinario a La Sapienza, dentro il nostro patrimonio più prezioso, l'elemento unificante d'una nazione piuttosto giovane la quale, a differenze delle altre, ha per origine un dialetto a causa di ciò che i poeti e gli scrittori fecero di esso, come pure la fortuna che incontrò in una società di banchieri - mercanti che viaggiavano per l'Europa. Sicché il toscano, perciò la scelta di Firenze e del Museo degli Uffizi, che ospita la storia dell'arte italiana, è il filo conduttore, fra i dialetti e le norme, di questa galoppata interdisciplinare, suddivisa in 15 sale, alla ricerca dell'evoluzione Dante Alighieri della lingua italiana nei secoli dalle origini ai giorni nostri, cinema, TV e Internet e Mms compresi. L'esposizione prende l'avvio dal rapporto complesso fra scritto e par ato, a partire dal primo documento conosciuto, un atto notarile del 960, il cosiddetto Placito di Capua,(si trova nel Monastero di Montecassino), una sentenza emessa da un giudice in un testo latino con una frase in volgare pronunciata dai testimoni, che segna l'atto di nascita dell' italiano. Se è pur vero che Dante fu il promotore e il genio della lingua e scrisse pure il trattato De vulgari eloquentia, questi rimase pressoché appannaggio di un'elite per lungo tempo, finché ritrovò il dovuto successo. Nel frattempo a dominare furono Petrarca e Boccaccio, specie per intervento del classicista Pietro Bembo, qui raffigurato in un notevole ritratto, il quale da Venezia additò nel poeta del Canzoniere e nella prosa del Decamerone i modelli volgari da imitare. Tanto che l'Ariosto e Baldassarre Castiglione intervennero variando i loro testi. Il percorso muove fra manoscritti autografi dell'Ariosto, del Tasso, con un dipinto del Tiepolo dedicato a Rinaldo e Armida, una scultura di Luca delle Robbia per la grammatica, la Bibbia del Savonarola con i suoi commenti come simbolo delle prediche al popolo; procede con la funzione del teatro, da Goldoni a Pirandello, e via via al ruolo cruciale delle grammatiche e dizionari, nonché alla fucina del Manzoni (presentato nel famoso ritratto dell'Hayez) che scrisse e riscrisse Fermo e Lucia, fino a che sciacquò per due volte «i panni in Arno», su su, fino alle creazioni linguistiche di D'Annunzio, ai manoscritti più volte corretti di Sciascia e della Morante per la sua Isola di Arturo. Merito indubbio della mostra, allestita da Roberto Lallo, è di coinvolgere e divertire con riferimenti continui al presente, attraverso schenni, proiezioni di film, e un buon numero di computer che rispondono alle più diverse domande: l'origine o la pronuncia esatta d'una parola, i «prestiti» dalle lingue straniere con spiegate a fianco le ragioni di tali scambi, lo spagnolo specie nel '500-600 per i sovrani cattolici e la scoperta dell'America, la smania francesizzante nel '700, il purismo nell'SOO, il predominio angloamericano nel secolo scorso con Dure pubblicità e manifesti, e ora 'innestarsi di parole da culture ed eventi storici a noi contemporanei come burka, jihad, piuttosto che termini come Perestrojka o Glasnost in anni passati. Dante Alighieri

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