Assassinato Djindjic, stato di emergenza in Serbia

Assassinato Djindjic, stato di emergenza in Serbia ARRESTATE TRE PERSONE, IL GOVERNO ACCUSA UN BOSS MAFIOSO, EX CAPO DELLA POLIZIA SPECIALE DI MILOSEVIC Assassinato Djindjic, stato di emergenza in Serbia Due proiettili hanno stroncato il premier nel cortile del Palazzo del governo Ingrid Badurina ZAGABRIA Choc, sgomento e paura nelle strade di Belgrado per l'assassinio di Zoran Djindjic, il premier serbo ucciso ieri, poco dopo mezzogiorno, nel cortile del Palazzo del Governo. A poche ore dal brutale assassinio, le autorità hanno proclamato lo stato di emergenza nel Paese. «Di fronte alla minaccia che incombe sulla Costituzione e l'ordinamento, su proposta del governo, ho deciso di introdurre lo stato di emergenza per difendere la sicurezza dei cittadini e dei beni immobili. Lo Stato userà tutti i mezzi a sua disposizione per un regolamento dei conti definitivo con la criminalità organizzata, finché gli assassini e i loro mandanti non verranno consegnati alla giustizia», ha dichiarato la presidentessa ad interim della Serbia, Natasa Micie, lanciando un appello all'unità dell'esercito, della polizia, dei magistrati, della stampa e dei partiti politici per la difesa della sicurezza e della stabilità dello Stato. Sceso dalla sua automobile blindata, Zoran Djindjic stava per entrare nella sede del governo quando è stato preso di mira da uno o più cecchini che erano in agguato nell'edificio che si trova di fronte al Palazzo del Governo. Due spari, il grido di una donna. Il cinquantenne Djindjic si accascia per terra di fronte alle sue guardie del corpo che cercano di soccorrerlo. Due pallottole l'hanno colpito fil torace e allo stomaco. Trasportato pochi minuti dopo al Centro emergenze dell'Ospedale Centrale di Belgrado, il primo ministro serbo non ha mai ripreso conoscenza. I medici hanno tentato un intervento chimrgico in extremis, ma non c'è stato nulla da fare. Alle 13,30 Djindjic è morto. Oltre alla moglie Ruzica, accorsa al suo capezzale, lascia due figli, Jovana e Luka. Poco dopo l'attentato la polizia ha arrestato tre persone. Una persona sarebbe rimasta ferita nella sparatoria. Non si sa ancora se si tratta di una guardia del corpo del primo ministro o di uno degli attentatori. A sirene spiegate le macchine della polizia hanno dato la caccia a un'Audi rossa allontanatasi dal luogo del delitto. C'è chi avrebbe visto due persone armate di fucile salire a bordo del veicolo incriminato. Ma per il momento gli inquirenti tacciono e di fronte alla gravità della situazione il vice primo ministro Nebojsa Covic invita i media a non pubblicare notizie non confermate da fonti ufficiali. Poliziotti delle unità speciali armati fino ai denti hanno accerchiato intanto la zona intomo al Palazzo del Governo. I passanti vengono fermati, agli uomi- ni vengono controllati i documenti. All'aeroporto di Belgrado vengono bloccati gli aerei che devono decollare. Il traffico ferroviario è rallentato, mentre tutti gli autobus per e da Belgrado sono fermati. Controlli rafforzati anche a tutti i posti di frontiera. Il governo si riunisce in una riunione straordinaria, al termine della quale il vice premier Covic chiede l'introduzione dello stato di emergenza. «Questo atto criminale è un chiaro tentativo di quelle stesse forze che negli ultimi anni hanno cercato di fermare lo sviluppo della Serbia e la sua democratizzazione, di fermare il corso della storia, di isolarla di nuovo e di trasformarla nell'impero della criminalità organizzata» ha detto Covic, che ha ricordato l'attentato del mese scorso contro il premier, quando un camion guidato da un noto criminale, aveva tentato di investire la macchina di Djindjic sull'autostrada dell'aeroporto. Arrestato, il pregiudicato è stato nel frattempo rilasciato. «In seguito a quell'attacco abbiamo aperto una vasta inchiesta in Serbia e all'estero che in questi giorni doveva realizzarsi con una serie di arresti. L'attentato di oggi non può essere visto al di fuori di questo contesto» ha dichiarato Covic che ha indetto tre giorni di lutto nazionale. E ieri sera il govemo ha addebitato l'attentato alla cosca mafiosa guidata dall'ex capo dei berretti rossi (la polizia speciale di Milosevic) Milorad «Legija» Lukovic. La televisione serba ha fornito un lungo elenco di nomi e fotografie dei principali criminali che stavano per essere incriminati in questi giorni. Tutti i partiti politici serbi sono concordi nel dichiarare che si tratta di un delitto della criminalità organizzata che domina molti aspetti della società serba. Ma molti sottolineano la minaccia di un ritomo del nazionalismo che ha regnato nel Paese ai tempo di Milosevic. Djindjic era infatti il nemico per eccellenza dell'ex padre della patria serbo, che ha consegnato personalmente al Tribunale penale intemazionale dell'Aia. Professore di filosofia all'Università, leader dell'opposizione, primo Sindaco non comunista di Belgrado, e infine premier serbo dal gennaio del 2001, Zoran Djindjic era un politico pragmatico, pronto alle riforme per riawicinare il suo Paese all'Occidente. «Questo, atto di violenza dimostra quanti pochi progressi siano stati realizzati in direzione di una reale democratizzazione della nostra società», ha detto ieri l'ex Presidente jugoslavo Vojislav Kostunica, che si è detto sconvolto per l'uccisione del suo rivale politico. Di certo è che l'assassinio di Djindjic lascia un vuoto di potere assoluto in una Serbia che ha un Presidente ad interim e che poche settimane fa è entrata a far parte di una nuova entità statale, la Serbia e il Montenegro, il cui futuro è oggi meno che mani prevedibile. In serata a Belgrado si è riunito il Consiglio Supremo della Difesa. L'omicidio avvenuto alla vigilia di una maxi-retata di mafiosi legati all'ex regime L'ex presidente Kostunica «Questo dimostra quanti pochi passi ha fatto da noi la democrazia» Belgrado, città deserta. Subito dopo l'attentato, nelle ore dello stato d'emergenza, le vie si sono svuotate. Nella foto, un'arteria centrale: pochissimi pedoni e mezzi pubblici, quasi nessuna auto