La «realpolitik» del premier per il tavolo del dopoguerra di Augusto Minzolini

La «realpolitik» del premier per il tavolo del dopoguerra IL PRESIDENTE DEL CONSILIO SUI RAPPORTI CON l/ÀLLEATO ATLANTICO La «realpolitik» del premier per il tavolo del dopoguerra La preoccupazione è che l'Italia venga «declassata» dagli Usa rispetto ad altri paesi più attivi di noi in caso di guerra col Raiss retroscena Augusto Minzolini ROMA NON è la vicenda Rai, malgrado i suoi continui colpi di scena, a rovinare il sonno di Silvio Berlusconi. E neppure lo scontro nella maggioranza per le candidature in Friuli, che pure ha compromesso buona parte delle chance di vittoria del centrodestra, o, ancora, la difficoltà di trovare un accordo con gli alleati sulle immunità in tema di giustizia. No, questi argomenti possono disturbare l'umore del Premier ma non irritarlo più di tanto. Il vero pensiero fisso del Cavaliere, quello che lo ossessiona in questi giorni, è un altro ed è il contenuto di una serie di colloqui che sono intercorsi ad altissimo livello tra Washington e Roma. Si tratta di un argomento che, a quanto pare (ma la notizia è smentita ufflcialfnente,) ha fatto capolino nella conversazione telefonica dell'altro giorno tra il presidente del consiglio e George Bush. E addirittura, ma anche qui non ci sono conferme, sarebbe stato al centro di un dettagliato scambio di lettere tra le due amministrazioni, specie quelle militari: gli Stati Uniti vorrebbero dall'alleato tricolore qualcosa di più dell'utilizzo delle basi aeree o del nostro spazio aereo, desidererebbero una partecipazione vera e propria, sia pure simbolica, alla spedizione militare contro Saddam. Pare che nell'analisi tecnica del possibile contributo svolta dal Pentagono con i comandi italiani, la preferenza sarebbe ricaduta su un aereo a disposizione della nostra aeronautica militare, un modello di Tornado modificato. Ovviamente, inutile nasconderselo, non è la natura del contributo militare che interessa a Bush, ma il coinvolgimento politico del nostro paese nella coalizione che il presidente americano ha intenzione di costruire: dato che a Washington viene dato per scontato il veto franco-russo sulla risoluzione a favore dell'intervento in Consiglio di sicurezza, se questa raggiungerà comunque la maggioranza qualificata (nove voti su 15), l'amministrazione americana preferirebbe che i paesi «amici» si sbilanciassero politicamente in maniera più marcata, con un contributo militare più diretto. ' Ora se per la Spagna di Aznar e, malgrado i tentennamenti dell'ultima ora, per l'Inghilterra di Blair questo non è un problema, per l'Italia di Berlusconi ci sarebbero complicazioni dal punto di vista politico di non poco conto. Non per nulla il capitolo si aprirà, se si aprirà, solo ad una determinata condizione: che gli Stati Uniti riescano a trovare i nove voti necessari per far passare la seconda risoluzione al Consiglio di Sicurezza. Solo a quel punto questa ipotesi, già sviscerata sul piano militare, potrebbe diventare una possibile opzione politica da parte del governo di Roma. Di tutto questo non c'è nessuna conferma ufficiale. Anzi. Dalla presidenza del Consiglio e dal ministero della Difesa, semmai, si ipotizza di un possibile coinvolgimento delle nostre forze armate solo nella fase del «post-war». La voce. però, aldilà dei discorsi che si sono fatti a livello militare tra i due paesi gira da qualche giorno anche nei palazzi della politica. Ad esempio, un deputato di Forza Italia, Paolo Ricciotti, che cura i rapporti con la Nato per gli azzurri, non si scompone nel parlare di questa eventualità: «Da quanto ne so, gli americani ci hanno fatto una richiesta più complessa che va oltre l'utilizzo delle basi». Mentre negli ambienti centristi della maggioranza c'è molta preoccupazione su questa ipotesi: «Sull'utilizzo delle basi e dello spazio aereo del nostro paese spiegava nei "pour parler" ieri il segretario dell'Udo, Marco Pollini - un compromesso per raggiungere, in un modo o nell'altro, un accordo nella maggioranza si può anche trovare. Se, invece, Washington ci chiedesse qualcosa di più potrebbero sorgere dei problemi». Appunto, qualora «l'eventualità» diventasse praticabile dopo il voto al Consiglio di sicurezza dell'Onu di domani, Berlusconi si troverebbe di fronte un bel problema. Avrebbe una maggioranza divisa tra chi sarebbe disposto anche ad uno sforzo più diretto per rimarcare l'alleanza con Washington (basta guardare alle ultime uscite del ministro della Difesa, Antonio Martino) e quei settori cattolici che, invece, non fosse altro per mantenere stretto il rapporto con la Santa Sede, potrebbero anche scendere in campo per bloccare un'opzione del genere. Inoltre c'è l'opinione pubblica, schierata per natura contro la guerra, che preoccupa non poco un personaggio come il Cavaliere. Per non parlare della prudenza che quotidianamente il Capo dello Stato predica sulla crisi irachena. Problemi, però, si porrebbero anche nel caso che il presidente del Consiglio tentennasse troppo di fronte ad una richiesta più esplicita da parte del governo americano. Il Cavaliere, infatti, ha giocato buona parte della sua politica estera nel rapporto con gli Stati Uniti e ritiene che se alla coalizione di Bush partecipassero altre nazioni dando un contributo, sia pure simbolico, sul piano militare (vedi la Spagna) e l'Italia «no», il nostro paese sarebbe automaticamente retrocesso di qualche posto nella speciale lista degli «amici» degli Stati Uniti che giornalmente viene stilata a Washington. In questo caso, il nostro governo avrebbe sicuramente meno voce in capitolo nelle trattative sul «dopo Saddam», sia sul piano politico che su quello economico. Un discorso certamente cinico, ma che appartiene alle logiche della «realpolitik» tanto cara al premier. psrnc

Persone citate: Antonio Martino, Aznar, Berlusconi, Bush, George Bush, Marco Pollini, Paolo Ricciotti, Silvio Berlusconi