«Galesi nel commando che inseguiva Gentili» di Vincenzo Tessandori

«Galesi nel commando che inseguiva Gentili» NESSUNA NOVITÀ, INVECE, SUI DOCUMENTI DEI NTA RINVENUTI A UDINE E PORDENONE «Galesi nel commando che inseguiva Gentili» La scorta del direttore del «Sole» l'avrebbe riconosciuto, cauto Pomarici Vincenzo Tessandori FIRENZE «L'è lù». Si fa presto a dire è lui. Raccontano le cronache degli anni peggiori che è già successo, e proprio a Milano. Duella volta «lù» era Pietro Valpcdra. Magari, stavolta è pure vero: sulla moto che la sera di mercoledì 8 gennaio inseguì vistosamente l'auto su cui viaggiava Guido Gentili, direttore del Sole 240re, ci sarebbe stato anche il brigatista Mario Galesi, morto domenica 2 marzo sul treno Roma-Firenze dopo uno scontro a fuoco. A fare che cosa, rimane da chiarire e così si azzarda l'ipotesi di im'«mchiesta», la raccolta dei dati sul bersaglio prescelto. Gentili fa dire ad Alessandro Ferrari, che si occupa della «comunicazione del gruppo» di cui fa parte il quotidiano, di non aver «nulla da dire su questa cosa. Lui non è la persona che ha riconosciuto qualcuno perché quando, quel giomo, sono usciti era al telefono e leggeva, non ha avuto nessunissima possibilità di fare riconoscimenti». In ogni modo, secondo uno della scorta c'era anche quel brigatista a inseguire per mezza Milano l'auto blindata. Pochi dubbi in proposito. Quelli, semmai, ce li hanno i magistrati. Osserva Ferdinando Pomarici, procuratore aggiunto e capo del pool antiterrorismo: «Se la cosa è vera significa che c'era attività, qui a Milano, ma bisogna verificare». È il modus operandi dei motociclisti a suscitare le perplessità più consistenti. «Una condotta tale, quella registrata intomo a Gentili, da non passare inosservata mentre, le Br, solitamente, non hanno agito per allarmare i soggetti interessati». Abituato a lavorare sul concreto, a Pomarici non pare sufficiente una deposizione per concludere che la città sia tomata nell'occhio del ciclone-terrorismo. «Non voglio dare la patente di mitomane a nessuno, ma consideriamo il fenomeno della psicologia di massa». Un'idea sulle Br Duemila: «Un gruppo ristretto di persone». Dunque, per avere certezze, i riscontri sono indispensabili: «Facciamo lavorare in pace i colleghi di Firenze, fino ad oggi non c'è nulla che possa collegare a Milano quanto accaduto sul treno. Se nell'ambito del materiale rinvenuto e sequestrato non esistono tracce che portino qui, non saprei che cosa fare, per aprire un fascicolo di indagine dovrei ricorrere all'arte della divinazione, avere la sfera di cristallo». Del resto, in procura c'è già un fascicolo iscritto al modello 45, cioè senza ipotesi di reato e senza indagati. Anche se, precisa Pomarici, «da un lato ci preoccupammo molto e dall'altro cercammo di stabilire se quanto avvenuto avesse a che fare con ipotesi criminali. Può essere tutto e il contrario di tutto, per indagare ci vuole tempo e pazienza». Quanto all'identikit di uno dei motociclisti, il procuratore sospira: «Già, l'identikit è qualcosa di approssimativo, poi si sa come le foto dei latitanti negli archivi degli investigatori siano di molti anni fa». La memoria della gente, insomma: potrebbe essere l'arma decisiva, ma anche tradire, com'è accaduto fin troppe volte. Del resto, il ruolo del testimone oculare è, forse, il più delicato in un'indagine. Ma in attesa di carte migliori, gli investigatori giocano anche quella e, a Roma, è stato sentito un taxista che si è detto certo di aver visto la brigatista Desdemona Lioce: nel maggio '99, davanti alla casa di Massimo D'Antona, assassinato il 20 di quel mese. Ben tre volte. Il che, fosse vero, sarebbe illuminante sul modo di agire dei nuovi terroristi, quasi che questi non abbiano timori di essere mdividuati e riconosciuti. E un'altra traccia, se di traccia si tratta, emerge dalla nebbia di un'indagine in apparenza sterminata: la bierre sarebbe stata vista anche sotto casa di Marco Biagi. L'agguato, un annofa, il 19 marzo. In parallelo con quella sulle Br Duemila cammina l'indagine sugli Nta che l'altra sera hanno fatto trovare loro documenti nel NordEst, che poi è l'area nella quale si muovono. L'analisi di Vittorio Borraccetti, procuratore di Venezia, collima con quella di Maurizio Laudi, procuratore aggiunto di Torino. Dice: «Finora gli Nta, che sono un'area molto ristretta, incapace di fare tutto ciò che vorrebbe fare, hanno firmato attentati minori e allo stato sono solo una sigla che tenta di proporsi come referente, interlocutore e pure come tempestiva agenzia propagandistica delle nuove Br. Pur essendo estranei alla tragedia del treno hanno sfruttato ancora una volta l'accaduto per porsi come quelli che propagandano e commentano il progetto brigatista. Ciò che colpisce è proprio la tempestività politica dei loro comunicati e, a parte il linguaggio da "marziani", non trascurano nessuno dei temi politici contingenti: dal mondo del lavoro alla situazione intemazionale». Non rimane che identificarli, trovare qualcuno che sia certo al cento per cento quando dice: «L'è lù».