Quel pomeriggio con SADDAM

Quel pomeriggio con SADDAM NOVEMBRE 1990: UNA DELEGAZIONE CUBANA PORTA AL RAÌSS UN MESSAGGIO DI CASTRO CONTRARIO ALL'INVASIONE DEL KUWAIT Quel pomeriggio con SADDAM testimonianza Aiciblades Hidalgo CON un gesto della destra, Saddam Hussein interruppe l'esposizione del capo dei servizi segreti dell'esercito cubano sul dispositivo militare americano pronto a sanzionare l'invasione del Kuwait. «Ho ricevuto parecchi rapporti come questo. Me li manda il mio ambasciatore all'Onu e quasi sempre finiscono là dentro», disse, indicando la pattumiera di marmo. Il commento sembrava destinato piuttosto al pugno di capi militari iracheni che sedevano a un lato del lungo tavolo coperto di datteri e fiori. Di fronte a loro, i cubani mandati da Fidel Castro - tra i quali c'ero anch'io per tentare di convincere l'alleato di Baghdad del probabile esito di una guerra nel Golfo, capirono che il pomeriggio a palazzo Al 'Qadissyya sarebbe stato difficile. Era l'inizio del novembre 1990. Quattro mesi prima, l'invasione del Kuwait da parte irachena aveva fatto tremare il mondo e inquietato la lontana Cuba. Un amico dell'isola sfidava contemporaneamente il mondo ara¬ bo - di cui faceva parte -, i persiani, i turchi, gli israeliani e l'intero Occidente, usando una schiacciante superiorità militare per invadere un piccolo vicino indipendente. Uno scenario incongruo, che presentava sciagurate somiglianze con i timori ispirati a Cuba dal suo potente vicino. Inizialmente la diplomazia cubana cercò di fare lo struzzo. Dopo tutto, i kuwaitiani erano conoscenti lontani, per di più una monarchia assoluta, corrotta da un mare di petrolio. Tra i membri del Comitato centrale del Partito comunista c'erano anche alcuni negoziatori del ritiro delle truppe cubane dall'Angola. Fummo proprio noi a proporre a Castro di prendere le distanze dall'ultima aberrazione di Saddam. Fidel decise di criticare l'invasione. Cuba, membro non permanente del Consiglio di Sicurezza dell'Onu, il 2 agosto votò la risoluzione 660 che condannava l'azione irachena [...] Per evitare la catastrofe di una guerra. Castro ebbe l'idea di un appello personale a Saddam, per convincerlo dell'enormità della rappresaglia militare che gli Stati Uniti preparavano Cuba ne conosceva bene i dettagli grazie alle sue fonti sovietiche. La nostra missione doveva essere discreta. Sarebbe stata guidata da José Ramon Femandez, vice presidente del Consiglio dei ministri e ne avrebbe fatto parte anche Rodrigo Alvarez Cambras, il chirurgo che qualche anno prima aveva operato Saddam per un tumore al midollo spinale: la sua presenza avrebbe sottolineato il carattere amichevole del viaggio. C'ero io, addetto alle relazioni esteme del Comitato centrale, che conoscevo bene l'Iraq e i suoi dirigenti per via di un mio lungo soggiorno in Medio Oriente. E c'era il giovane colonnello Jaime Salas, che allora dirigeva i servizi segreti dell'esercito cubano, scelto per esporre il dossier militare. Il messaggio personale di Fidel a Saddam passava in rassegna le ragioni per impedire a Washington di cogliere quell'occasione per esercitare ima egemonia mondiale. Il ruolo più difficile toccava al colonnello ^ Salas: con l'avallo di Gorbaciov, i militari sovietici, informati della missione, avevano fornito descrizioni minuziose del' le forze dispiegate nella penisola arabica e in Turchia, (...j Partimmo per Madrid, poi per Amman. Li ci informarono che l'aereo privato di Saddam Hussein ci avrebbe trasportati a Baghdad. Viaggiare a bordo di un aereo così identificabile, sorvegliato da centinaia di radar della coalizione nemica, non era la scelta migliore. Ma non ce n'erano altre. Declinare l'offerta del nostro ospite era impensabile e i voli per l'Iraq erano proibiti dalle sanzioni già in vigore. L'impeccabile jet di Saddam si posò dolcemente, nottetempo, sulla pista dell'aeroporto intemazionale Saddam, da dove fummo rapidamente condotti alla residenza destinata alla missione cubana. Iniziò la nostra lunga attesa. L'indomani, un primo tentativo degli iracheni di procurarsi il messaggio di Fidel urtò contro la resistenza di Fernandez. La lettera, disse, sarebbe stata consegnata e illustrata soltanto al suo destinatario. Questa assurda partita a nascondine durò parecchi giomi. [...1A1 quarto giomo, per farci pazientare, i nostri ospiti ci invitarono a visitare Babilonia, la cui ricostruzione era una priorità del regime. Ci dirigemmo verso Sud. Mentre visitavamo il cantiere dove, come Nabucodònosor, Saddam aveva fatto incidere il suo nome sui milioni di mattoni di argilla destinati ai nuovi edifici, ci richiamarono d'urgenza a Baghdad; l'incontro sarebbe avvenuto l'indomani. Il nostro convogho parti a mezzogiorno per una destinazione sconosciuta. L'ambasciatore cubano Juan Aldama, che era a Baghdad da due anni, riconobbe la strada: ci stavano portando al palazzo preferito da Saddam, Radwanuyah, detto anche Al Oadissuyya. Questo palazzo è uno dei siti presidenziali dove si sospetta la presenza di laboratori segreti di armi letali. Il nostro convoglio passò rapidamente i controlli e si fermò davanti a un edificio in stile islamico moderno. Per arrivare al salone dove si sarebbe tenuto l'incontro attraversammo lunghi corridoi di piastrelle in ceramica dì Samarcanda e una serie di corti inteme decorate con splendide fontane. Apparve Saddam, seguito da una mezza dozzina di militari d'alto rango, tutti impeccabili nelle loro uniformi di guerra. Salutò con un'espressione poco amena Ramon Femandez, che passò subito a presentarci. Saddam si limitò a indicare il suo seguito con un gesto vago, poi ci invitò a prendere posto attorno a un lungo tavolo al centro del salone. Ramon Femandez prese la parola. Il nostro passo era fondato, disse, sulla solida amicizia tra Iraq e Cuba, tra Saddam e Fidel. Il danno che il conflitto avrebbe causato al govemo iracheno ci preoccupava, come il vantaggio che ne avrebbero tratto gli Stati Uniti dimostrando il loro potere miUtare. L'iracheno ascoltò, impassibile. Il messaggio di Fidel fu consegnato al suo destinatario, che lo lesse attentamente, senza altra reazione che due o tre parole bisbigliate nella barba e qualche movimento della testa difficile da interpretare. Dopo la lunga relazione di Ramon Femandez, l'insofferenza di Saddam era palpabile. Impossibile scoprire tra quelli che lo accompagnavano il minimo segno di approvazione della posizione cubana. Compresi che avrei dovuto essere breve. Dissi che una via d'uscita diplomatica era ancora possibile, che i diplomatici sovietici cercavano in tutti i modi di evitare di abbandonare - per la prima voltai - un alleato arabo. Si poteva contare sull'Urss per una iniziativa dell'ultimo minuto al Consiglio di Sicurezza, che sarebbe stata appoggiata anche dalla Cina. I rappresentanti del terzo mondo avrebbero fatto di tutto per trovare una soluzione onorevole, a condizione che l'Iraq si impegnasse a ritirarsi dal Kuwait. Le rivendicazioni territoriali potevano essere formulare in un altro contesto. L'appoggio di Javier Perez de Cuellar, segretario generale dell'Onu, amico dell'Avana, era una buona carta per il negoziato. L'esposizione di queste diverse opzioni diplomatiche non fu oggetto di alcun commento. A questo punto il colonnello Salas si diresse verso una lavagna dov'erano allineate carte, piani, foto, schemi. Espose le diverse tappe dello spiegamento militare degli americani e dei loro alleati a partire dall'autunno, dettagliando le caratteristiche delle truppe. Sottolineò gli ultimi arrivi di mezzi di combattimento nel deserto e nei mari adiacenti, l'alto livello di combattività, la stima degli effettivi. Identificò i punti di concentrazione delle diverse unità, le operazioni prevedibili e le possibilità di azioni concertate. Enumerò le potenti armi degli avversari, molte delle quali sarebbero state utilizzate per la prima volta. Il colonnello parlò di una guerra tecnologica, di missili Tomahawk a testa multipla che potevano essere lanciati dal Mar Rosso o dal Golfo Persico, di elicotteri anticarro Apache, di superbombardieri B-52, dei nuovi aerei FI 17 Stealth invisibili ai radar, dei sistemi di comando Awacs che avrebbero guidato simultaneamente centinaia di aerei durante i combattimenti, dei missili Patriot, dei carri armati Abrams dotati di cannoni da 120 mm, dei nuovi sistemi Gps, degli aerei senza pilota e di altre armi intelligenti, alle quali andavano aggiunte quelle degli alleati degli Stati Uniti. Decisamente, questa guerra non sarebbe stata come le altre. Il confronto, misurato ma indispensabile, con le forze irachene fece perde- re la pazienza a Saddam Se rimase impassibile all'evocazione dell'inferiorità della capacità di resistenza del suo esercito di terra - che contava meno di un milione di uomini, settemila carri armati e ancor meno pezzi di artiglieria - troncò la relazione appena il colonnello iniziò a descrivere la manifesta superiorità dell'aviazione nemica. Dopo aver mostrato, con aria severa, il luogo dove andavano a finire i rapporti diplomatici simili a quello che aveva appena inteso, si lanciò in una diatriba sull'ingiustizia coloniale che aveva creato il Kuwait. Condannò l'ingratitudine della nazione araba verso l'unico suo membro che aveva combattuto l'espansionismo persiano i diii gli americani, lespaspnel Golfo. Prima, disse, era stato vittima di manovre petrolifere, ora si trovava isolato nella sua nuova crociata contro l'Occidente. Stigmatizzò l'ingratitudine degli amici ostili alla decisione irachena di non cedere davanti al nemico, Vincapacilà dell'Onu e la slealtà dei Paesi comunisti. Evocò il Saladino, come lui nativo di Tikrit, poi parlò del suo impegno di fronte alla storia e della formidabile lezione che il popolo iracheno, ben deciso a vincere, avrebbe dato a qualunque aggressore. «Potete dire al compagno Castro disse alzandosi - che lo ringrazio della sua sollecitudine. Se le truppe degli Stati Uniti invaderanno l'Iraq, noi le schiacceremo cosi», concluse a voce molto alta, battendo ritmicamente i piedi sul tappeto, con i suoi stivali militari ben lucidi. L'incontro era finito. Saddam, senza un sorriso, strinse la mano a ciascuno dei cubani a mano a mano che ci ritiravamo dal salone. Da Ramon Femandez prese congedo con un abbraccio alla maniera orientale e lo incaricò di salutare il Comandante. Due giorni più tardi tomammo a Cuba per la stessa via. Il 12 novembre 1990 il giomale ufficiale di Cuba, «Granma», segnalò il ritomo dall'Iraq di una delegazione ufficiale la cui partenza non era mai stata annunciata. Il giomo stesso Fidel Castro ci ricevette. Non volle ascoltare il nostro resoconto, si limitò a chiedere a Ramon Femandez di imitare con i piedi il gesto di Saddam che spiegava come avrebbe schiacciato Copyright Le Monde Kuwait City, 6 settembre 1990: il palazzo della Kuwait Airways in fiamme in seguito a un bombardamento dell'esercito iracheno che ha occupato la capitale ^M m* pm:ik. Un carro armato iracheno di guardia davanti allo Sheraton di Kuwait City Saddam all'epoca dell'invasione del Kuwait L'autore fece parte di una delegazione cubana inviata da Fidel Castro che nel novembre 1990 incontrò Saddam per cercare di convincerlo a ritirarsi dal Kuwait. Questo è il racconto di quell'incontro