Al MERCATO dell'ONU Braccio di ferro per sei voti di Maurizio Molinari

Al MERCATO dell'ONU Braccio di ferro per sei voti ORE DECISIVE NELLA RINCORSA A UNA NUOVA RISOLUZIONE Al MERCATO dell'ONU Braccio di ferro per sei voti analisi Maurizio Molinari corrispondente da NEW YORK LA battaglia diplomatica al Palazzo di Vetro sull'approvazione della seconda risoluzione sull' Iraq sarà decisa dal voto dei sei membri non permanenti del Consiglio di Sicurezza ancora incerti: Messico, Cile, Pakistan, Angola, Guinea e Camerun. Washington, Londra e Madrid fanno pressione affinché si pronuncino a favore seguendo l'esempio della Bulgaria - garantendo il raggiungimento della soglia dei nove voti necessaria per l'approvazione. Parigi, sostenuta da Mosca, spinge in senso inverso, cercando di ottenere voti contrari o astensioni per bocciare la risoluzione prima di dover essere obbligata a opporre il diritto di veto. Lo scontro è a tutto campo e si concentra sui tre Paesi africani perché il Pakistan tende all'astensione e i due latinoamericani difficilmente potranno sottrarsi alle pressioni congiunte di Washington e Madrid. George Bush, Jacques Chirac e il ministro degli Esteri russo, Igor Ivanov, hanno personalmente chiamato capi di Stato e plenipotenziari africani mentre tre missioni diplomatiche - americana, francese e inglese - si sono inseguite nelle ultime due settimane in Africa, portatrici di richieste e offerte differenti. Ecco, nel dettaglio, i particolari del braccio di ferro. GUINEA. L'ambasciatore Mamady Traore da inizio mese è presidente del Consiglio di Sicurezza, veste che lo tiene a ostentare imparzialità. Ma alle spalle ha uno dei Paesi più poveri del mondo. NeH'inGontro avuto martedì a Conakry coù/iLpresidente Lasana-. Conte, il ministra degli Esteri francese' Domiaique-de Villepin ha fatto pesare che nessun Paese presta alla Guinea tanto denaro quanto la Francia, ma per quanto riguarda la concessione di aiuti Parigi nel 2002 si è fermata a 5,2 milioni di dollari mentre gli Stati Uniti ne hanno elargiti ben 31,8 milioni. A Conte l'inviato americano Walter Kansteiner ha inoltre rammentato che in ballo c'è l'applicazione all'Angola dei benefici commerciali deir«Africa Growth and Oppurtunity Act», una delle cui clausole è «non pregiudicare la sicurezza nazionale degli Stati Uniti», ovvero non ostacolare la lotta al terrorismo. La scelta della Guinea potrebbe influire sugli altri due africani e per condizionarla gli opposti fronti sono andati oltre le pressioni economiche: De Villepin ha puntato sulla necessità di ribadire lo «spirito di indipendenza» della decolonizzazione, Kansteiner invece ha fatto leva sul risentimento nei confronti degli ex colonizzatori. CAMERUN. Fra gli incerti è il Paese più dipendente da Parigi: non solo per i 216 milioni di dollari ricevuti nel 2001 ma per le 160 aziende transalpine che controllano gran parte del mercato petrolifero, che frutta entrate annuali per 2,3 miliardi di dollari. Durante la sua sosta a Yaounde, De Villepin è stato accolto con tutti gli onori dal presidente Paul Biya e dal collega Francois-Xavier Ngoubeyou, ma a dispetto di abbracci ed espressioni di convergenza l'ambasciatore all'Onu, Martin Belinga-Eboutou, durante l'ultima relazione di Blix al Consiglio di Sicurezza è stato il più duro contro l'Iraq al punto da far ritenere a Washington che sia l'unico voto fra gli incerti già conquistato. Anche in questo caso sul piatto della bilancia l'inviato Usa Walter Kansteiner ha potuto mettere i benefici deU'wAfrica Growth and Opportunity Act». Da non dimenticare l'influenza sul Camerun della Spagna, terzo partner commerciale dopo Stati Uniti e Francia. ANGOLA. E' il Paese africano più vicino a Washington a causa dei due terzi delle proprie esportazioni di greggio annualmente acquistate dagli Stati Uniti, per un totale di 5 miliardi di dollari, a cui bisogna aggiungere un pacchetto di aiuti di 15,4 milioni di dollari. Rinunciare a questo ammontare di entrate per il presidente Eduardo dos Santos è impossibile ma anche voltare le spalle a Parigi potrebbe comportare un prezzo assai alto: la Francia è il secondo Paese per numero di investimenti. Il primo sono gli Stati Uniti. Dos Santos non ha fatto mistero che a decidere saranno gli «interessi na- zionali», dicendo sia a Bush che a Chirac che «il mio Paese deve far fronte ai costi della ricostruzione dopo la guerra civile». PAKISTAN. Il presidente Pervez Musharraf tace da settimane, ma alcuni funzionari del suo partito hanno fatto trapelare la decisione dell'astensione. Il bivio di Musharraf è da brividi: da un lato i legami «onil-mondo musulmano, dall'altro il ruolo di alleato di ferro di Washington nella guerra al terrorismo.-1-305 milioni di dollari dati dagli Usa nel 2002 - assieme al sostegno per ingenti prestiti del Fmi - sono solo l'inizio di quello che Bush potrebbe fare, ma pro¬ prio la stretta alleanza anti-Al Qaeda potrebbe mettere Musharraf al riparo dalle pressioni americane. Anche.un'astensione per la Francia sarebbe un successo diplomatico. CILE. L'ambasciatore all'Onu, Christian Maquieria, è stato assai più critico verso gli Usa, nel suo ultimo intervento al Consiglio di Sicurezza, rispetto al collega messicano. Ma per il Cile la questioneIraq ha un prezzo concreto: l'approvazione definitiva da parte del Congresso di un accordo di libero commercio molto simile a quelli «Nafta» che legano gli Usa a Messico e Canada. Inoltre c'è il ruolo della Spagna: primo partner europeo. L'incertezza di Santiago non è estranea a motivi di politica interna, a causa della numerosa comunità di immigrati di origine araba, contrari alla guerra. MESSICO. Per il presidente Vicente Fox i legami con gli Stati Uniti si riassumono in mudato: l'BO per cento degli scambi commerciali. Il secondo partner inoltre è la Spagna. Fox in cambio del voto favorevole potrebbe chiedere nuove intesa .sullimmigrazio: ne. Un voto contrario o un'astensione peserebbe sui rapporti personali fra i due presidenti, finora ottimi. li na girandola di aiuti e prestiti, di scambi economici, di pressioni internazionali possono determinare le alleanze conia Francia ò'con gli Stati Uniti nello scontro sulla guerra contro Saddam Soldati iracheni alla base di al-Taji, poco distante da Baghdad, mentre si compongono gli schieramenti al Consiglio di Sicurezza dell'Onu