Venticinque anni il nipote di Aldo Moro canta il suo dolore

Venticinque anni il nipote di Aldo Moro canta il suo dolore utc^mc ii^ cSÌS^tto ::: mx^m Venticinque anni il nipote di Aldo Moro canta il suo dolore Nel film «Piazza delle Cinque Lune», dedicato all'assassinio dello statista democristiano, apparirà con una chitarra in mano ed eseguirà una canzone composta da lui: «Maledetti voi» intervista ROMA OGNI italiano ha dentro di sé una parola, un profumo, un'immagine di quei 55 giorni che cambiarono l'Italia, i 55 giorni del sequestro Moro. Molti ricordano, in particolare, «l'amatissimo nipote» di due anni e mezzo. Luca, a cui Aldo Moro non smetteva di pensare tra le buie pareti della sua prigione, a cui inviava lettere piene degli unici sorrisi che riusciva a trovare in quelle ore difficili. Sono lettere in cui si parla di mare, di sole, di spiagge, gommoncini, di «biondi capelli che accarezzo da lontano, con tanto amore». Venticinque anni dopo quel bambino per la prima volta accetta di parlare con un giornalista. E' cresciuto, i capelli non sono più bionda, ma castano scuro, corti e ricci, lievemente stempiati, molto, molto simili a quelli del nonno, così come è molto molto simile a quello del nonno il sorriso dolce e lieve, lo stesso della mamma. Maria Fida Moro. Gli italiani vedranno Luca sugli schermi cinematografici dopo il 9 maggio, quando uscirà il film Piazza delle Cinque Lune t4i, Renzo MartineUi. Luca non reciterà, apparirà nelle ultime immagini, m alcune foto d'epoca, fra cui, anche l'ultima foto 'dello statista scattata ili5 marzo 1978, il giorno prima del sequestro. Apparirà con una chitarra in mano e una canzone sulla bocca: «Maledetti voi», composta da lui. Maledetti voi: perchè? «Perchè era quello che pensavo, che avevo dentro e che prima o poi doveva venire fuori. E' una canzone di protesta che parla del mio dolore, per tutto quello che hanno fatto contro la nostra famiglia ma anche per quello che viene commesso contro i bambini, per la guerra. Volevo prendermela in generale contro i "signori del potere", volevo ringraziarli per "questo incanto di paese che trema all'orrore di una guerra"». Ma la canzone su questo do'ore quando l'ha scritta? «Ho scritto questa canzone nella primavera del '99, come appare anche dalla registrazione alla Siae. E' solo un caso se esce ora che il mondo è alle soglie di una guerra.' 0 forse non lo è». Tu da che parte stai chiede a questi «signori del potere» nella canzone: ma, lei. Luca, da che parte sta? «Quella delle vittime, che sperano che non vi siano più vittime, che si smetta di fare del male. Sa, una volta c'era una famigha febee, è finita il 16 marzo 1978. Oggipossiamo soltanto scegUere se chiamarci sopravvissuti o sopravviventi. Per quello che mi riguarda esiste soltanto una verità: che ci hanno portato via il nonno». Come è nata la collaborazione con Martinelli? «Per caso. Mia madre venne a sapere del film e chiese di poter leggere la sceneggiatura. L'ultima volta che avevano girato un film sul nonno, le era venuto quasi un infarto nel vedere che cosa avevano combinato. Ora voleva almeno essere preparata. Il testo le era piaciuto e andò a Siena a incontrarli alla fine delle riprese. Scoprì che non avevano previsto una canzone conclusiva del film. Stavano pensando a "Dio è morto" o qualcosa di simile, in realtà erano a caccia di un cantautore. Mia madre gli disse: ce l'avrei io quel cantautore, si chiama Moro. Il regista ascoltò la mia canzone, non ebbe dubbi. Andai a Cinecittà a registrare, un sogno!» Nessun problema con le telecamere o le sale dì registrazione? In fondo, per Tei era la prima volta. «Nessuno. Non abbiamo nemmeno fatto ricorso al playback. Quella che si vede nel film è una canzone in diretta. Abbiamo fatto quattro registrazioni diverse, poi abbiamo scelto la migliore». Da quanto tempo suona? «Da quando avevo 14 anni con un maestro, anche da prima da solo. Da tre anni studio armonia e ora anche il mandolino». Generi preferiti? «Blues, fingerpicking». Autore preferito? «Fabrizio De André, lo considero il più grande poeta contemporaneo. Mia mamma mi faceva addormen"tare cantandomi "La guerra di Piero"».' «Ninetta bella, morire di maggio, ci vuole tanto troppo coraggio...». «Mia mamma è una che ha avuto molte premonizioni in tutta la nostra vicenda». A parte «Maledetti voi», ha composto altre canzoni? «Tante, ma non ho voglia di pubblicarle. Sono vecchie, appartengono a periodi troppo tristi». Canterebbe una canzone come quella di Alex Brittì a Sanremo? (Ci pensa su). «No. Sì. Non lo so. Una cosa è certa, non ho ambizioni. Oggi sono insegnante di ginnastica e posso anche morire insegnante di ginnastica. L'importante è fare ciò che sento, l'importante è ricordare mio nonno». Chi era suo nonno? «Quello che più mi fa male è sentire che se ne parla come di un siriabolo, un qualcosa, di ormai asfi-iatto. Per me era mio nònno, una persona speciale, unica, die hanno voluto morta a tutti i costi perchè era quello che era». Ma lei aveva due anni, che cosa ricorda di lui? «Anche se sembra incredibile, mi ha insegnato a giocare a scacchi. Un giorno quando avevo già dieci anni mia nonna mi chiese se volevo fare una partita. Io risposi che non sapevo giocare. Invece, quando mi trovai la scacchiera davanti mi resi conto che a poco a poco ricordavo tutto, come si muovono l'alfiere la torre, la regina, come se qualcuno me l'avesse detto e scoprii che era stato lui, il nonno». Il «nonno degli scacchi», dice, infatti, Aldo Moro nelle sue lettere, ma anche il nonno che la portava a fare (ama trottata con i piedi nudi sulla spiaggia» o dava «uno strattone per il tuo gommoncino». Le ricorda qualcosa? «No, non ho ricordi del nonno legati al mare, ricordo come si lavava le mani, il suo modo di fumare, ricordo alcune parole. Ricordo soprattutto il periodo dei 55 giorni, la casa sempre buia perchè tenevano le persiane abbassate». Che rapporti ha con suo padre? «Inesistenti. La mia unica figura patema nella vita è stata il nonno, anche per questo la sua scomparsa è stata ancora più dolorosa. ìtia nonna infatti mi chiama: il più piccolo dei suoi figli e il più grande dei suoi nipoti». E' per questo che si fa chiamare Luca Bonini Moro, aggiungendo il cognome di sua madre, di suo nonno, a quello di suo padre? «Io mi chiamo Luca Moro. E basta». Perdoni la domanda, ma Luca Moro vuole per caso entrare in politica? «La pohtica mi è caduta addosso quandi avevo due anni. Ancora mi devo rialzare». «La mia è una protesta che parla del mio dolore, per tutto quello che hanno fatto contro la nostra famiglia ma anche per il male contro i bambini, perla guerra» «Per me era mio nonno, una persona speciale, che hanno voluto morta perché era quello che era Quello che più mi fa male è sentire che se ne parla come di un simbolo» Luca Moro con la madre Maria Fida [FOTO LUCIANO DEL CASTILLO)

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