Bush, l'Onu, l'Europa, il Papa Il quadrilatero di Berlusconi di Paolo Passarini

Bush, l'Onu, l'Europa, il Papa Il quadrilatero di Berlusconi LA POSmONE ITALIANA SULLA QUESTIONE IRACHENA Bush, l'Onu, l'Europa, il Papa Il quadrilatero di Berlusconi Dalla «lettera degli Otto» molto è cambiato. Nello slalom fra solidarietà atlantica, unità europea e Nazioni Unite si aggiunge il richiamo del Vaticano retroscena Paolo Passarini WILLhe hold?» «Terrà?» L'interrogativo è rimbalzato parecchie volte, lo scorso fine settimana, nel salone della Fondazione Cini a Venezia, dove si teneva un seminario tra opinionisti britannici e itahani, alla presenza anche di qualche ministro di entrambi i governi. La curiosità dei britannici era sincera, profonda e martellante: «Ma Berlusconi ce la farà a tenere la sua posizione sulla guerra all'Iraq?» Forse, in queste ore, mentre si aspetta il voto nel Consigho di Sicurezza dell' Onu, se lo starà chiedendo anche lo stesso interessato, «Quale posizione?», obietterebbe certamente un qualunque membro dell'opposizione, come del resto ha già fatto lo stesso Massimo D'Alema, quando ha dichiarato: «Voghamo sapere come si schiererebbe l'Italia in caso di attacco unilaterale. Adesso non si sa e ciò è sconcertamente e perfino umiliante». Ma questa accusa di ambiguità, anzi di fare il pesce in barile (come si dice in gergo pohtico), non è stata lanciata al presidente del Consigho solo dai rami dell'Ulivo. Basti pensare all'editoriale eloquentemente intitolato «Un necessario chiarimento», che ha scritto per il «Corriere dplla sera» Sergio Romano, un uomo che a un certo punto sembrava essere addirittura il canditato di Silvio Berlusconi per il ministero degh Esteri. Alla fine di gennaio il govemo italiano sottoscrisse la famosa «lettera degh otto», assieme a Gran Bretagna, Spagna e alcuni paesi dell'Europa centro-orientale, per esprimere sostegno alla posizione americana. E' vero che l'inziativa era stata presa da José Maria Aznar, ma Berlusconi vi aderì prontamente, venendo accusato dalle opposizioni di aver rotto il rapporto di sohdarietà europea con l'asse franco-tedesco. Del resto il presidente del Consigho si era già esplicitamente impegnato a concedere uso delle basi in Italia e permessi di sorvolo alle forze annate americane in caso di guerra. A quel punto Berlusconi aveva, o credeva di avere, un quadro piuttosto chiaro della situazione: da una parte, oltre ai vecchi amici europei Blair e Aznar (che lo avevano aiutato in un certo numero di occasioni), c'erano soprattutto gh Stati Uniti e George Bush, feriti quanto determinati. Dall'altra c'era un'opposizione debole, che avrebbe oltretutto potuto essere inchiodata, oltre che a una taccia di antipatriottismo, a una contraddizione: non aveva D'Alema approvato l'intervento militare contro la Serbia pur senza un'esplicita autorizzazione dell'Orni? Berlusconi, filo-americanismo sentimentale a parte, non ebbe dubbi: gli Stati Uniti erano i migliori, avrebbero vinto e, perchè no?, sarebbero anche stati grati all'Italia. Subito gh americani fecero circolare voci di Antonio Martino come possibile prossimo segretario generale della Nato. Con la missione di «mediazione» a Mosca, di cui riferì prontamente a Bush, Berlusconi era entrato nell'elite planetaria. Dotato di una mentalità da imprenditore, più pronto del pohtico ad assumere un rischio, il presidente del Consigho non esitò a piazzare la scommessa. Oltretutto l'Italia, a differenza della Gran Bretagna, non avrebbe dovuto contribuire truppe. I problemi vennero subito dopo, con le grosse manifestazioni pacifiste di metà febbraio, preoccupanti soprattutto per l'effetto negativo che stavano esercitando sulla sohdità dei governi britannico e spagnolo: un monito per il suo futuro? Non del tutto, pensò Berlusconi, dal momento che la debolezza dell' opposizione italiana non le avrebbe comunque consentito di approfitta¬ re più di tanto di un eventuale calo di popolarità del premier. Sta di fatto che, a fine febbraio, mentre il presidente della Repubbhca Carlo Azeglio Ciampi reiterava sempre più frequentemente la sua preoccupazione sull'unità europea, Berlusconi venne informato che gli americani ritenevano di poter ottenere la maggioranza in Consigho di Sicurezza dell'Onu su una risoluzione che autorizzasse l'uso della forza. Fu così che Berlusconi si lasciò andare alle prime dichiarazione «pacifiste», definendo addirittura «nefasta» un'azione militare unilaterale da parte degh Stati Uniti. Tanto la riteneva un'ipotesi superata. Tutti i ministri più disciphnati vennero allineati sulla hnea «si vis pacem para bellum», che con libera traduzione diventò: noi lavoriamo per la pace e per questo è necessaria un po' di sceneggiata di guerra. E fu parlando di «pacem» che Berlusconi si illuse di aver tranquillizzato Giovanni Paolo II, le cui parrocchie erano l'ossatura del movimento per la pace. Ma il Papa, il capo religioso al mondo più ostile alla guenra, ha stupito e sgomentato Palazzo Chigi con il discorso di tono manicheo pronunciato domenica scorsa durante l'Angelus: «La scelta è tra bene e male». Il male, ovviamente, è la guerra e chi la fa è «Satana». Quasi una scomunica, che è anche risuonata, come hanno ammesso i collaboratori del presidente, come un appello a «sohdarietà trasversali», vale a dire come un richiamo della foresta, anzi del Paradiso, per alcune componenti della stessa maggioranza. Fino a quel momento, Berlusconi pensava di poter abbastanza agilmente fare lo slalom fra tre pilastri: la sohdarietà atlantica, l'unità europea e il rispetto della legalità Onu. Ora, con l'aggiunta del quarto pilastro, il Papa, e la probabile sconfitta degh Usa all'Orni, lo slalom diventa più difficile. Bush si arrabbierebbe per un tradimento; Ciampi è intanto preoccupato per la prossima presidenza di turno itaMana dell'Europa e il Papa non perdonerebbe la circonvenzione di un mandato dell'Orni. La scommessa di Silvio è diventata molto pericolosa. La certezza dell'appoggio del Palazzo di vetro all'inizio del conflitto è venuta, meno con il passare del tempo Il premier Silvio Berlusconi a colloquio con il presidente Bush nello Studio Ovale della Casa Bianca lo scorso 31 gennaio