Shirley MacLaine e le altre signore

Shirley MacLaine e le altre signore CINEMA DONNE Shirley MacLaine e le altre signore .'attrice in «Caroline» di Marleen Gorris Undici i titoli nel concorso lungometraggi ALTRE manifestazioni analoghe non hanno retto altrettanto a lungo: quella di Firenze, che pure aveva fatto da apripista, non esiste più da tempo. Le nuove sembrano aver inforcato percorsi fatti di rigidità e autoreclusione: il festival lesbico di Bologna, da poco concluso, proibisce l'accesso in sala ai maschi. Il Cinema delle Donne di Torino si appresta invece a tagliare il traguardo della decima edizione con un programma aperto a tutti, che si propone come uno spaccato della produzione mondiale realizzata dall'altra metà del cielo, articolato in fi'm di finzione, documentari, cortometraggi e video. Dieci anni - fra alti e bassi, ristrettezze economiche e crescita di pubblico, cambi di sede e coerenza di scelte - non sono un risultato da poco. Il suo epicentro resta, naturalmente, il concorso lungometraggi, che allinea undici titoli reaUzzati da altrettante registe provenienti dai quattro angoli del mondo. La più conosciuta è l'olandese Marleen Gorris, Oscar per il miglior film straniero con «L'albero di Antonia» (1995). Otto anni fa era già stata al Cinema delle Donne con «Der Stille Rond», ora ci toma per presentare in prima mondiale il suo ultimo lavoro, «Caroline». Una produzione e un cast interamente americani, con nomi mica da poco: Shirley MacLaine e Randy Quaid tra gli altri. Anche altre registe erano già state a Torino, e anche per loro si può parlare di un gradito ritorno. L'argentina Manane Rodriguez, per esempio, c'era venuta nel 1997 con «Retrato de mujer con hombre al fondo»; oggi si ripropone con «Los passos perdidos», un film sul problema dei desaparecidos realizzato in Spagna dove da molto tempo vive e lavora. La cinese Peng Xiaolian, invece, s'era fatta conoscere a Cinema Giovani nel 1988 con «Womens' Story». Quindici anni dopo, si rifa viva con un «Donne di Shanghai», un'altra prima mondiale che la direttrice Carla Rivalta è riuscita ad assicurarsi grazie alla buona reputazione che il festival ha saputo conquistarsi in questi dieci anni di vita. Se i nomi delle rimanenti registe vi suonano nuovi, sappiate che tutte si sono già fatte conoscere e apprezzare in altri festival (specializzati e non), facendo quasi sempre razzia di premi. La canadese Deborah Day ha strappato il riconoscimento per la miglior opera prima al festival di Montreal, grazie a «Expecting», che racconta (come in un vecchio film di Bergman) le 24 ore precedenti il parto della protagonista. La cino-americana Berta Bay-San Pan ha debuttato nel lungo con «Face», premiato a New York e a Las Vegas (ne parliamo nell'articolo sulle cineaste asiatiche), mentre la costaricana di origini lituane Guita Schyfter - da tempo trapiantata in Messico - ha fatto il giro dei festival sudamericani con «Las Caras de la luna», che vanta nel cast Geraldine Chaplin e che ha fruttato alla protagonista Diana Bracho il premio quale miglior attrice a Città del Messico. Pluripremiato anche «Kiss the Bride», opera prima dell'italo-americana Vanessa Parise, che racconta del ritorno a casa di tre sorelle in occasione del matrimonio della quarta, tra nuovi e vecchi valori, modernità e tradizione. C'è un matrimonio (e il tentativo di sabotarlo da parte di tre sorelle) anche nel film dell'olandese Paula van der Gest, «Zus fr Zo» (premiato in patria), mentre «Varuh meje» (Il guardiano della frontiera) di Maja Weiss è il primo lungometraggio di una resisto super-affermata come autrice di corti, e giustamente celebrata per essere la prima regista in gonnella del suo paese, la Slovenia. Gli ultimi due titoli, che completano la pattuglia delle undici concorrenti ai premi assegnati dalla giuria e dal pubblico del festival, sono «Karamuk» della tedesca di origine turche Sulbiye V.Gunar (una ragazza in cerca di affermazione personale scopre la propria identità), e «Perfect Pie» della canadese Barbara Willis Sweete (due amiche del cuore, nel ritrovarsi dopo 30 anni, fanno riemergere l'evento tragico e brutale che ha segnato per sempre le loro vite). Alberto Barbera Una scena di «Karamuk» della regista tedesca Sùlbiye V. Gunar, in concorso tra i lungometraggi