Usa-Europa, finita a guerra niente sarà più come prima di Aldo Rizzo
Usa-Europa, finita a guerra niente sarà più come prima OSSERVATORIO Usa-Europa, finita la guerra niente sarà più come prima Bush dovrà ridimensionare le visioni neoimperiali, la Ile dovrà capire che, divisa, potrà solo scegliere tra vassallaggio e insubordinazione senza dare alcun contributo, anche critico, alla superpotenza alleata Aldo Rizzo f ALTRA sera, nel suo programma su La 7, Giuliano — Ferrara chiedeva un po' bruscamente a un malcapitato editorialista francese se Chirac si rendesse conto dell'entità della sfida lanciata alla superpotenza americana nella crisi irachena e se pensasse che la Francia ha i mezzi per reggere alla prova, cioè per dar vita a un equilibrio alternativo tra Stati Uniti e Europa e all'interno dell a stessa Europa. L'editorialista parigino eludeva la questione, soffermandosi piuttosto sulla dubbia liceità e opportunità della guerra americana all'Iraq, il che sembrava irritare il conduttore. Scene da un dibattito, peraltro molto interessante. In realtà, se si ha in mente un disegno di progressiva autonomia dall'America, e soprattutto da una certa sua politica troppo «assertiva», da qualche parte e in qualche momento bisogna cominciare. Chirac, sostenuto da Schroeder, ha pensato che questo fosse il momento. Forse ha sbagliato nei modi e nei toni, che hanno finito con l'accentuare, per reazione, la rigidità americana, dell' Amministrazione Bush, quindi passando da quella che poteva essere una dialettica tra alleati a una contrapposizione troppo netta. Ma ha sollevato comunque un problema che covava da molto tempo sotto le ceneri della diplomazia transatlantica. Doveva aspettare tempi più propizi, predisporsi una forza d'urto politica paragonabile a quella americana? Secondo un celebre detto francese, «on s'engagé et puis on verrà», ci s'impegna e poi si vedrà. E anche il vecchio Mao, j nella sua età gloriosa, aveva detto che una lunga marcia comincia con un piccolo passo. Naturalmente Chirac non è Mao, non è Napoleone e neppure De Gaulle. E ora deve certamente valutare le conseguenze della sua sfida, come passare da un confronto che per l'immediato sarà vinto dall'America (per Bush la guerra salvo miracoli dell'ultimissima ora, è diventata politicamente inevitabile, oltre che per l'esposizione di potenza di fronte a Saddam, anche, in qualche misura, per non dar ragione ai francesi) a un riequilibrio di rapporti costruttivo e durevole, tra le due rive dell'Atlantico e al di qua dell'Atlantico. Infatti la spaccatura non è solo tra i franco-tedeschi, con la partecipazione tattica di Russia e Cina, e gli americani, ma anche tra i francotedeschi e gli inglesi e gli spagnoli e gli stessi italiani (pur se il governo Berlusconi sembra rifugiarsi nella nicchia della mediazione a ogni costo). In realtà, a guerra finita, più che una mediazione «tecnica», sarà necessario un ripensamento strategico di tutte le parti, sulla base del fatto che niente sarà più come prima. Anzitutto Bush dovrà rinunciare o ridimensionare le visioni neoimperiali e «fondamentaliste», pur nella necessaria prosecuzione della lotta al terrorismo globale. Le due Europe, a loro volta, dovranno capire che, divise, prive di un'identità istituzionale comune e vincolante, saranno costrette a scegliere tra «vassallaggio» e «insubordinazione», senza poter dare alcun serio contributo, all'occorrenza anche critico e condizionante, a quello che resta comunque un alleato essenziale, nel quadro storico-politico di un Occidente che non ha, non può aver esaurito la sua funzione. mm 1
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