Addio Raro, ultimo suiveur del ciclismo di Gian Paolo Ormezzano

Addio Raro, ultimo suiveur del ciclismo A94 ANNI SI È SPENTO A TORINO RUGGERO RADICE; GIORNALISTA DELLA BELLE EPOQUE DELLA BICICLETTA E CANTORE DELLE GESTA DI COPPI E BARTALI Addio Raro, ultimo suiveur del ciclismo Gian Paolo Ormezzano IN morte di Ruggero Radice alias Raro, uomo caldo e buono, spentosi ieri a 94 anni e mezzo ancora ben lucidi, si deve celebrare e intanto sospirare la fine dell'ultimo grande giornalista «suiveur»: parola francese intraducibile in italiano efficace (seguitore è esatto ma non funziona proprio), per dire di chi seguiva da reporter le corse ciclistiche, con Giro d'Italia e Tour de France guglie della cattedrale della religione biciclettara. La sensazione al via era chiara in noi suoi colleghi al seguito: senza di lui quella cinquantina di corse rosa e quella quarantina di corse gialle da lui seguite giornalisticamente non sarebbero partite. Andavamo il primo giorno di gara a fallii gli auguri e a prendere la sua benedizione. Lo chiamavamo Raro, gli piaceva di più: il soprannome nasceva dal suo nome di battesimo in francese, perché lui, comunque piemontesissimo del Biellese, era nato da padre emigrato in Francia, a Salon de Provence, la città di Nostradamus che in fondo fu reporter del futuro: RAdice ROger, RA-RO. Il Tour gli ha dato la medaglia della riconoscenza, lo sport italiano la Stella d'Oro del Coni. Da giornalista fu soprattutto ciclofilo, ciclomane, ciclologo. Ancora pochi anni fa Gino Bartali, quando si litigava da amiconi su qualche episodio di corsa, ci diceva: «Chiediamo a Raro, quello che lui dice è giusto». Sapeva tutto di tutti e da giornalista innamorato del suo sport non usava sempre quel che sapeva, specie in tempo di polemiche: mediava, consi¬ gliava, ovattava, spiegava. Faceva del bene, faceva bene. Mai il sensazionalismo ad ogni costo, sempre la cronaca appassionata, precisa. Pagine e pagine di giornale, spesso improvvisando al telefono, da equilibrista della parola fluida e della frase precisa. Riuscendo ad avere la linea, nei tempi eroici e duri della comunicazione difficile, prima di tutti, e lasciandola per ultimo. Grande maestro per vecchi e giovani; insegnava soprattutto amore al lavoro, al mestiere, allo sport, alla bicicletta, che praticava anche da dilettante, magari per scortare al campo di via Filadelfia Fausto Coppi quando il Campionissimo veniva a Torino e in bici andava a vedere l'allenamento di Valentino Mazzola e degli altri calciatori granata, amatissimi dal ciclista e dal giornalista. Un grande suiveur: appreso il tracciato del Giro o del Tour preparava il mese «fuori», prenotava alberghi avventurosi, ristoranti favolosi, prenotava addirittura le chiamate presso telefoniste «suiveuses». Predisponeva il guardaroba per il freddo e U caldo in corsa, il dopocena spesso solenne. E scriveva, scriveva, scriveva, parlava, raccontava, telefonava, spesso al giornale prima che a Ines e Maria Teresa, la moglie e la figlia. Al Tour usava il suo gran francese anche per pensare. Ha lavorato anteguerra al Guerin Sportivo e soprattutto a La Stampa, sotto la guida di Giuseppe Ambrosini, nella prima vera redazione sportiva in un giornale politico. Il suo galoppino a lui poi sempre legato di affetto si chiamava Mike Bongiomo allora detto Michi: per i novant'anni di Raro il gran presentatore ha passato con lui una giornata stivata di cari ricordi. Nel dopoguerra ha firmato Raro per la Gazzetta del Popolo e Ruggero Radice per Tuttosport. Ultimo dei giornalisti cantori che avevano dato vita al gran ciclismo d'Italia, sempre scrivendone per amore, primo degli amici dei corri¬ dori, degli entusiasti anche quando lo sport beneamato scricchiolava per carenza di campioni e infiltrazioni di pre-doping. Forse non è un caso che la crisi del ciclismo sia cominciata con il suo occaso anagrafico. Funerali domani a Torino, ore 11,30, parrocchia Santi Angeli in via Avogadro. Ruggero Radice con Mike Bongiomo e Giampiero Bonlperti nel giorno delsuo90o compleanno il 2 ottobre 1998

Luoghi citati: Francia, Italia, Torino