«Errori da piccola malavita» di Guido Ruotolo

«Errori da piccola malavita» L'ANALISI DI UN UOMO CHE HA PARTECIPATO A VECCHI ATTENTATI «Errori da piccola malavita» L'ex brigatista: noi non avremmo agito così retroscena Guido Ruotolo ROMA SE fosse vera tutto quello che avete scritto, avrei da dire una sola cosa: queste nuove Brigate rosse non le riconosco». Parla a fatica di un passato lontano che non ha rinnegato ma che ritiene di non essere più riproponibile ai giorni nostri. Lui, il conto con la giustizia per quegli anni terribili che hanno insanguinato il nostro Paese l'ha saldato, e si è ricostruito «una nuova vita» in un luogo lontano. Ma Internet e la televisione satellitare lo hanno riportato, ieri l'altro, a dei fermi immagine che sembravano scoloriti dal passare degU anni, ormai decenni. Altri tempi, e di quel passato - lui, protagonista di "azioni" clamorose e sanguinose - si sente un po' un custode «geloso» che non accetta incursioni e saccheggi, che non riconosce la possibUità che il loro tragico testimone, quello delle Brigate Rosse poi diventate Brigate Rosse per il Partito Comunista Combattente, sia stato raccolto dai «raccordi» Desdemona Lioce e Mario Galesi. Quello che è accaduto sul Roma-Firenze, in quello scompartimento, ciò che è stato trovato addosso ai due terroristi pone al nostro interlocutore domande che non trovano risposte: «Ho ben presente la discussione che a partire dall'omicidio D'Antona si è sviluppata in questi anni e che in sostanza si può sintetizzare così: sono tornati i terroristi, il loro livello organizzativo è al passo dei tempi, dimostrano una capacità di sapere utilizzare le tecnologie, si muovono con altri criteri. Si tratta di insospettabili inseriti nel mercato del lavoro, che hanno una vita normale, che esibiscono documenti regolari». E ùivece la storia di Desdemona Lioce e di Mario Galesi è la storia di chi «fa le stesse cose che facevamo noi. Solo che le fa peggio di noi». Dopo l'omicidio D'Antona, nel carcere di Novara, il 5 lugho del 1999 un brigatista dell'ultima generazione. Franco La Maestra, confidava a un suo compagno di ceUa, riferendosi alle Br che entrarono in azione in via Salaria: «I raccordi sono cresciuti». I raccordi, nella organizzazione delle Brigate Rosse erano quegU elementi che costituivano le reti di propaganda e di appoggio all'organizzazione. Insomma, non erano interni a tutti gU effetti alle Br. «Sono cresciuti i raccordi? Non mi pare - afferma il testimone di quella stagione -, non hanno imparato granché. Da quello che è accaduto su quel treno si percepisce una grossa debolezza dell'organizzazione. Il perché lo si può, ipoteticamente, addebitare a un elemento strutturale oppure all'esiguità dell'organizzazione stessa». La sua non è né vuole essere una «lezione di storia». Non si sente un «cattivo» maestro che vuole insegnare agU «alunni» come si vive in clandestinità, quaU misure di sicurezza si adottano, come si difende l'oi^anizzazione. Ma la lettura critica degli elementi raccolti in queste ore, sulla dinamica della sparatoria e sulle tracce lasciate dai due terroristi (il materiale che portavano con sé), è sufficiente a trarre un bilancio parziale. Intanto, «perché Desdemona Lioce non era armata?». Colpisce l'interlocutore questo particolare: «Era da alcuni mesi latitante e la prima regola per un latitante, per un miUtante rivoluzionario ricercato dalle forze di polizia è quella di garantirsi la possibUità di reagire». Perché, dunque, questo «errore»? «Non penso che sia dovuto a una difficoltà a reperire armi, se è vero che il gruppo si autofinanzia con le rapine. O si è trattato di un errare dell'organizzazione o di un elemento di debolezza». Ma è un altro particolare che colpisce più degli altri l'ex terrorista a tempo pieno: «I documenti di riconoscimento scritti a penna, ricopiati a mano grossolanamente. Insomma, un comportamento da piccola malavita che irrompe di notte in una circoscrizione o in un piccolo comune e airaffa un blocco di documenti in bianco, che vengono immediatamente segnalati perché hanno i numeri di serie come le banconote». Riaffiorano i ricordi di quel passato di clandestinità: «Nella metà degli Anni 70, l'amministrazione dello Stato aveva stabilito che i dati personah fossero battuti a macchina e, di conseguenza, anche chi doveva falsificarli si adeguò. Noi clonavamo i documenti di riconoscimento, carte d'identità o patenti. Avevamo cioè copie di documenti assolutamente identici a quelli che esistevano nella realtà, anche con la stessa firma del funzionario deUa Prefettura o della Circoscrizione che li rilasciava». L'errore commesso da Desdemona Lioce e Mario Galesi è imperdonabile: «Un documento con i dati scritti a penna dà neU'occhio di un qualsiasi poliziotto. Il latitante si trova così in una condizione di debolezza terribile perché lui stesso non crede troppo a quel documento che esibisce». Riflette il brigatista in pensione: «Desdemona Lioce è irreperibile dal 1995. Comunque, per otto anni si perdono le sue tracce. Mario Galesi, evade dagli arresti domiciliari nel 1998, cinque anni fa. I due non possono essere andati in giro con quei documenti per tanti anni: almeno una volta può capitare di essere fermati per un controUo. Questo livello organizzativo è troppo debole in questa situazione». Una pistola, due agendine elettroniche, dei floppy disk, una fotocamera in immatura, un mazzo di chiavi, ritagU del «Sole 24 Qre». Dovevano andare ad Arezzo, i due terroristi? «Un viaggio di trasferimento? Un cambio di città o di casa? In questo caso si portano con sé anche libri o vestiti. Quella dotazione è utile per un sopralluogo e per successive riunioni. Forse la fotocamera doveva essere consegnata a qualcun altro. Escluderei che dovessero entrare in azione. Intanto, perché avrebbero - o avrebbero dovuto - lasciare a casa le agendine e i documenti per non correre il rischio di perderU o, nel caso in cui fossero catturati, di farìi finire in mano deUe forze di polizia». Ma una lancia a favore dei due terroristi la spezza contestando l'annotazione di alcuni inquirenti, e cioè che sarebbe stato un errore «viaggiare in due»: «Certe volte - spiega - noi viaggiavamo anche in tre». Il terrorista di una stagione che fu ha un dubbio su ciò che è avvenuto sul Roma-Firenze: «Credo che quello che è accaduto sia stato del tutto casuale. Forse, però, i tre poliziotti avevano avuto l'indicazione di controUare un target preciso di persone, i quarantenni». E infine, pensando agli scenari futuri, ipotizza: «L'organizzazione, dopo queUo che è successo ieri, starà vivendo un momento di panico. Le agende elettroniche e le chiavi sono una pista che può portare molto lontano». «Ho letto che i nuovi estremisti avrebbero dovuto avere buona pratica delle tecnologie e discreta conoscenza dei meccanismi del mondo del lavoro. Invece questi fanno le stesse cose che facevamo noi, solo peggio di noi»

Luoghi citati: Arezzo, Firenze, Novara, Roma