Test decisivo per il futuro della Grande Europa

Test decisivo per il futuro della Grande Europa ALLARGAMENTO IN BILICO DOPO L'AFFONDO DI CHIRAC CONTRO l PAESI DELL'EST, DETERMINANTE IL RUOLO DELLA GERMANIA Test decisivo per il futuro della Grande Europa Alexander Weber E' ' certamente nei momenti ' di maggiore difficoltà che su molte affrettate illusioni piomba un raggio di luce di ragionevolezza. Così sta avvenendo anche nei confronti dell' approccio ottimistico che per tanto tempo ha accompagnato l'allargamento dell'Unione europea. Le aspre parole del segretario alla Difesa americano, Donald Rumsfeld, sono certamente servite a delimitare in modo più che figurativo la vecchia Europa dalla nuova, quella dei paesi che un tempo appartenevano al blocco sovietico. Rumsfeld è stato brutale, ma lo stesso si può dire del presidente francese Jacques Chirac quando ha definito «maleducati e infantili» i paesi dell'Est, minacciandoli: «dovrebbero essere consapevoli che i Paesi dell'Ue hanno ancora sul tavolo i trattati che dovranno autorizzare il loro accesso all'Unione». Sotto una tale grandine, diventa più visibile l'illusione: allargamento e rafforzamento dell'Unione europea non sono affatto complementari. Più distanti sono le attitudini e le preferenze dei cittadini e meno un'Unione può accentrare (questo è il significato deir«approfondimento») funzioni da mettere in comune. Se l'Unione sarà a 25 o 27 paesi, per esempio, difficilmente metterà in comune la politica estera e di difesa. L'allargamento, come ha minacciato Chirac, è destinato a saltare? In fondo proprio la Francia nel 1970 tenne un referendum per sancire l'ammissione della Gran Bretagna, ammissione che però era stata approvata dagli altri partner. Molto dipenderà dalla decisione che prenderà il governo tedesco e cioè se sceglierà di prestare il fianco a Chirac o seguirà quella che è stata la sua strategia negli ultimi dieci anni: considerare l'allargamento a Est il vero interesse nazionale. Ogni due euro investiti dai tedeschi nell'industria meccanica in fondo è investito oltre i confini orientali. Il rapporto economico tra vecchia e nuova Europa sarà probabilmente determinante. Solo nel 2002, gli investitori esteri hanno versato la cifra record di 30 miliardi di euro nelle economie orientali, mentre gli investimenti stranieri addirittura calavano in Germania. Due terzi di questi capitali - secondo l'Istituto per gli studi economici internazionali di Vienna - sono andati in paesi candidati dell'Ue. La previsione per queste economie è di uno sviluppo graduale ma costante nei prossimi 10-20 anni a un ritmo doppio rispetto a quello della vecchia Europa. Quando Rumsfeld ha minacciato di trasferire gli investimenti americani - in particola¬ re quelli militari - dalla Germania verso i nuovi Paesi dell'Est, ha però sparato nel buio. Se i paesi dell'ex blocco sovietico non avranno una certa prospettiva di accesso nell'Unione europea, la loro affidabilità politica resterà troppo fragile per farli diventare partner strategici di Washington. In molti paesi sono presenti partiti eredi di formazioni comuniste e si affacciano di tanto in tanto le stesse tentazioni populiste che hanno colto di sorpresa perfino i governi occidentali negli scorsi anni. Ma anche dal punto di vista economico, le prospettive al di fuori dell'Ue sarebbero fragili. Alcuni aneddoti sulla forza lavoro dell'Est sono leggendari, come quelli dell'impianto ungherese della General Electric in cui alla mano d'opera è richiesto di saper parlare due lingue straniere oltre all'ungherese. Ma altri sono inquietanti: Ibm ha ridotto gli investimenti all'Est portando buona parte della produzione in Cina dove gode di costi del lavoro molto più bassi. Lo stipendio medio in Ungheria è di 500 dollari ma aumenta ogni anno di oltre il 10nZo. Senza la prospettiva dell' accesso al mercato unico europeo, le produzioni resterebbero prive di un mercato domestico. Al tempo stesso, però, l'adeguamento alla normativa europea, necessaria per l'ingresso nella Uè, sta chiudendo le agevolazioni fiscali agli investitori esteri e regolamentando il lavoro e i commerci secondo le procedure notoriamente rigide e laboriose della vecchia Europa. Il risultato è che gli Stati Uniti, che sembravano destinati a prendere controllo del mercato orientale sono ora il terzo se non il quarto investitore, dopo Germania, Olanda e Italia. Una rottura permanente tra vecchia e nuova Europa, insomma, è altamente irrealistica.

Persone citate: Alexander Weber, Chirac, Donald Rumsfeld, Jacques Chirac, Rumsfeld