Nadia e Mario, coppia anonima pronta a tutto di Francesco La Licata

Nadia e Mario, coppia anonima pronta a tutto ERANO DA TEMPO IN CLANDESTINITÀ, NON COMUNICAVANO NEMMENO CON LA FAMIGLIA Nadia e Mario, coppia anonima pronta a tutto due «irriducibili» avevano documenti, armi e una microtelecamera personaggi Francesco La Licata ROMA MESCOLARSI alla gente comune, camuffarsi nella normalità, rendersi invisibili attraverso un assoluto anonimato. Sono le regole dei criminali di ogni consorteria che scelgono la clandestinità. E a queste precauzioni si erano affidati Desdemona Lioce, nome di battaglia «Nadia», e Mario Galesi, i brigatisti assassini che, ieri mattina, hanno sparato contro la pattuglia della polizia ferroviaria sul vagone del treno interregionale 2304 Roma-Firenze. Combattenti e clandestini: così si autodefiniscono i «discendenti» delle vecchie Brigate rosse oggi riciclate con l'aggiunta della denominazione di «Partito comunista combattente». Già, clandestini. Ombre senza sostanza che non intrattengono relazioni, chiamano raramente al telefono, non frequentano alberghi, non parlano con nessuno, neppure coi familiari più prossimi. Uomini e donne senza identità che, per non divenire prevedibili, non ripetono mai due volte di seguito lo stesso gesto, che difendono anche con le armi, anche a costo della vita - come è avvenuto per Galesi - l'impenetrabilità dei loro progetti. Avevamo visto questo film durante i cosiddetti «Anni di piombo». Forse ha ragione il pm di Milano, Armando Spataro, quando dice «Purtroppo è un remake», alludendo anche alla «casualità» che ha portato all'impatto con dei «clandestini», impatto costato ancora vite umane. D'altra parte non è facile combattere contro le ombre. Chi poteva pensare che quell'ailonima coppia, comodamente seduta nello scompartimento di tm anonimo vagone di seconda classe, nascondesse l'identità di due ricercati e sospettati di aver avuto parte nelle più recenti attività terroristiche delle «nuove Br», dall'attentato alla Confindustria (maggio '92) fino agli assassinii di Massimo D'Antona e Marco Biagi? Sembravano due tranquilli quarantenni, vestiti in modo assolutamente anonimo. Lei, Nadia, col «rosso Tiziano» sui capelli, e lui, Mario, alto, corpulento e stempiato: non un indizio che tradisse la loro vera identità. Il treno semivuoto, l'assenza di pendolari, la mattinata festiva e, dunque, il «quadro» di tm normale spostamento domenicale. No, invece. Galesi e Lioce erano armati e certamente custodivano documenti, carte, una microtelecamera e altro materiale che doveva essere molto importante per l'organizzazione. Era importante che rimanessero ombre, malgrado la curiosità di quella pattuglia di poliziotti che per routine chiedevano i documenti a tutti. Ecco, di fronte al pericolo di essere strappati all'anonimato, i due hanno «seguito la procedura»: annientare il nemico e, di fronte all'ineluttabilità della cattura, dichiararsi «prigionieri politici», con conseguente fine della clandestinità, o morire. Anche questo è un film già visto. Risaliva a parecchio tempo fa, la «scomparsa» dei due. La prima a «darsi» era stata lei, Desdemona «Nadia» Lioce, nata a Foggia, classe 1959, ma da sempre gravitante nei gruppi toscani della sinistra eversiva, tra Pisa e Firenze. Studentessa universitaria mai laureata: su di lei il sospetto, datato 1987, di aver avuto un qualche ruolo nell'omicidio del professor Landò Conti, avvenuto a Firenze. Per anni compagna di Luigi Puccini, fino al '95 quando questi fu arrestato per una rapina («autofi¬ nanziamento») e scoperto in possesso di documenti di rivendicazione. Anche Itti, allora, si dichiarò «prigioniero politico». Lei, invece, con gesto che tradisce animo diverso dalla «combattente» che vuole «annientare il nemico», 1' 11 febbraio dello stesso anno, affida il gatto alla madre e scompare, dopo aver chiesto l'auto in prestito alla sorella per andare a trovare una non meglio identificata amica. Da quel momento fa perdere le tracce, tanto che per far recuperare l'auto alla sorella, lasciata posteggiata a Firenze in piazza della Libertà, deve inviarle le chiavi in busta anonima. I magistrati sospettano che abbia scelto la clandestinità anche perché convinta di essere stata riconosciuta durante una delle tante «azioni militari». Nessuno saprà più nulla di lei, fino alla tragica sparatoria di ieri. La Digos di Roma la cerca anche dopo l'omicidio D'Antona, ma l'ascolto delle telefonate dei suoi familiari non sarà di grande aiuto. Anzi, ogni volta che 0 discorso tra parenti cadeva su Nadia la conversazione veniva immediatamente troncata. Insomma nessun contat'to con la famiglia, ma non per questo assenza di solidarietà. Ancora più clandestinamente evanescente, la tragica esistenza di Mario Galesi, nato a Macerata nel 1966 ma da anni in contatto coi gruppi brigatisti di Roma. Eppure un personaggio abbastanza «esuberante», sin dagli Anni Ottanta quando faceva gruppo con Jerome Cruciani e Roberto Zarra, arcinoti alle Digos di mezza Italia. Galesi si ritroverà con Cruciani nel gennaio del 1997, in occasione della rapina di via Radicofani a Roma. Il suo amico impugnava una «357 magnum» e gli zainetti dei due consegneranno agli inve- sùgatori armi, il bottino e indizi solidi della loro appartenenza al «Partito comunista combattente», emanazione quasi naturale di quelli che erano stati i «Nuclei comunisti combattenti». Verrà trovato, probabilmente a casa di Cruciani, un documento inquietante: una sorta di descrizione della pianificazione di un attentato con l'utilizzazione di una serie di accorgimenti e mezzi che rivelano molte analogie con «operazioni» successive, come l'agguato al professor D'Antona sulla Salaria. Ma di Mario Galesi si perderanno le tracce nel 1998. Il militante brigatista - ottenuti gli arresti domiciliari - lascia l'appartamento di via Pesci, quartiere Tiburtino (lo stesso da dove sembra abbia preso il treno per Firenze), prima che qualcuno possa bloccarlo per sempre. I poliziotti troveranno in casa soltanto la sorella Paola, l'unica parente conosciuta. La donna dice di non sapere nulla del fratello («Forse è in Germania», chissà) e aggiunge che i familiari non lo sentono da tempo. Oggi c'è la tragica confenna della «scelta della clandestinità militante». E una serie di indizi che sembrano dare ragione a chi intuì che le nuove Brigate rosse affondano le radici nelle vecchie. Lei, capelli «rosso Tiziano» si è dichiarata prigioniera politica Lui, alto, corpulento e stempiato: nessun indizio che, nella giornata festiva e con il treno semivuoto, tradisse la loro identità La prima a rendersi irreperibile era stata la donna convinta di esser stata riconosciuta in uno scontro a fuoco. L'uomo l'aveva seguita nel'98, dopo aver ottenuto gli arresti domiciliari Ieri, davanti all'imprevisto, hanno «seguito la procedura» NADIA DESDEMONA LIOCE Nadia Desdemona Lioce, 43 anni, ex esponente dei Nuclei Comunisti Combattenti (Ncc), è irreperibile dal 1995. Il suo nome viene a galla nell'inchiesta sull'omicidio D'Antona: secondo l'accusa, farebbe parte del gruppo che avrebbe segnato la fase di ricostruzione delle Brigate rosse, dopo la ritirata strategica del 1989. È stata legata a Luigi Puccini, arrestato a Roma nel 1995 insieme con Fabio Matteini perché trovato in possesso di armi. Da allora non si sa più nulla di lei. Fino al 2002, all'ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip della procura di Roma per l'omicidio D'Antona. A destare l'attenzione dei magistrati è stata proprio l'ìrreperibilità/clandestinità della Lioce e di Galesi, in concomitanza con la ripresa dell'attività terroristica delle Br. MARIO GALESI Mario Galesi, 37 anni, era ricercato, nell'ambito delle indagini per l'omicidio D'Antona, perla ricostituzione delle Br. Viene arrestato una prima volta nel 1986: l'accusa è di partecipazione a banda armata, ma due giorni dopo viene scarcerato per assoluta mancanza di indizi. Torna sulla scena nel '97 con una rapina da 120 milioni di lire neh' ufficio postale di via Radicofani, a Roma. Nel '98, sfruttando un permesso, Galesi sparisce dalla circolazione quando gli rimangono pochi anni di carcere. Il suo nome riappare quindi, insieme a quello della Lioce, il 31 ottobre dello scorso anno, nell'ordinanza di custodia per le indagini sull'omicidio D'Antona, emessa dal gip Maria Teresa Covatta nei riguardi di presunti appartenenti alle Br-Pcc.