«Documenti, prego». E sul treno soppia l'inferno di Renato Rizzo

«Documenti, prego». E sul treno soppia l'inferno LA SPARATORIA SUL ROMA-FIRENZE, A CASTIGUON FIORENTINO: FERITO UN ALTRO POLIZIOTTO, SI SALVERÀ' «Documenti, prego». E sul treno soppia l'inferno Muoiono un agente e un Br, presa la donna. Preparavano un attentato Renato Rizzo inviato ad AREZZO Forse venivano per compiere un attentato: dentro la borsa assieme ai documenti falsi, avevano una microcamera mimetizzata in una scatoletta simile a quelle che contengono le gomme americane. Doveva servire, probabilmente, a filmare la vittima designata. In un altro zaino, alcuni floppy disc: gli investigatori stanno esaminandoli e i sospetti paiono sempre più certezze. Per nascondere il loro segreto di brigatisti rossi Nadia Desdemona Lioce e Mario Galesi, hanno ucciso e ferito: tre minuti di furia e violenza in un vagone ferroviario. Quando sono svaniti il fumo degli spari e le urla della gente a terra, immobile nel proprio sangue c'era un agente della polizia ferroviaria. Accanto a lui, un compagno con il fegato trapassa¬ to da un proiettile calibro 7,65 e il terrorista raggiunto a un polmone: morirà poche ore dopo. Forse tra i passeggeri che, in quei momenti, urlavano la loro paura, anche un paio di complici dei brigatisti: quando il convoglio ha raggiunto la prima stazione si sarebbero dileguati approfittando della confusione. Tutto è incominciato in una pigra domenica mattina sul treno interregionale 2304 Roma-Firenze: 5-6 vagoni con pochi passeggeri. A Terontola salgono tre ispettori della Polfer: un viaggio di routine, destinato a concludersi ad Arezzo, per controlli passeggeri: Emanuele Petri, di 47 anni, sposato, un figlio diciannovenne; Bruno Fortunato, di 45 e Giovanni Di Franzo di 47. Camminano lentamente lungo i corridoi. Raggiungono la carrozza centrale dela seconda classe: qualche punkabbestia con annessi cani. gente insonnolita. Sono le 8,30. Il convoglio è in perfetto orario, tra 8' dovrà fermarsi a Castiglione fiorentino. «Documenti, per favore» dice Petri aprendo la porta d'uno degli scompartimenti nel quale è seduta una donna dai capelli rossi, robusta, un po' infagottata nella sua giacca scura e nei pantaloni neri. Accanto a lei, un uomo corpulento dall'evidente stempiatura. Sui sedili di fronte, un vigile urbano di Perugia e la moglie. I primi due consegnano le carte d'identità: una intesta a Domenico Marozzi, l'altra a Rita Bizzarri. Sono documenti rubati in un comune del Lazio ai quali i due hanno applicato la propria 1 foto: contraffazione perfetta. Petri si mette in contatto, via cellulare, con la centrale Polfer di Firenze. L'uomo e la donna faticano a restare calmi. Non s'agiterebbero se sentissero che l'operatore, controllati i loro nomi, in quel mo¬ mento sta dicendo: «Tutto regolare, persone pulite». Lui, quello che si nasconde dietro l'identità di Marozzi e che è, in realtà, Mario Galesi, ex rapinatore diventato «politico» nei nuclei combattenti, s'alza di scatto come spinto da una molla compressa allo spasimo: ha una calibro 7,65 nella destra e la punta al collo di Petri. Non dice nulla. Per lui parla la compagna. Anzi grida: «Datemi le armi». L'uomo in divisa che è sotto minaccia di morte butta la pistola a terra, imitato da Fortunato. La Lioce si fionda sulle armi: attimi di tensione, vociare. Uno sparo: Petri s'accascia. Ancora esplosioni: due, in rapida successione. Alla prima crolla sul pavimento Fortunato; alla seconda è il brigatista che s'inginocchia comprimendosi il petto insanguinato. A sparargli è stato Di Franzo che, ora, si lancia sulla terrorista e la blocca. Un dram¬ ma che, per qualche secondo, grazie al cellulare ancora acceso, entra nella centrale Polfer di Firenze: «Abbiamo sentito un rumore, come d'un tafferuglio, poi la linea è caduta - racconterà il dirigente del compartimento Rocco Pellino che stava ascoltando la chiamata dei colleghi -. L'operatore mi ha allarmato: "Sembra che lì stiano facendo a cazzotti". Abbiamo subito avvertito la polfer di Arezzo». Nella carrozza, ora, è un inferno di paura e di furia. Chi scappa, chi si chiude negli scompartimenti, chi, come il vigile urbano perugino che ha assistito alla sparatoria ed è titolare d'una palestra, aiuta Di Franzo a immobilizzare la Lioce chiusa in un silenzio impermeabile a tutto, persino a quest'odore di morte e di sangue. Confesserà: «Non potrò mai dimenticare gli occhi di quella donna. Di ghiaccio». Il treno continua il suo viaggio. Una manciata di minuti, la stazione di Castiglion Fiorentino. La gente sulle banchine vede scendere un poliziotto che trascina una donna. L'ammanetta a un palo lungo i binari. Lei resta lì, in quell'incongruo abbraccio, sino a quando l'aria non si gonfia di sirene e giungono ambulanze e gazzelle dei carabinieri. Un medico, il dottor Biagio Vignali quando sale sul vagone si trova di fronte tre uomini coperti di sangue: uno, in divisa, è ormai morto. Gli altri due vengono stesi sulle barelle: Fortunato è portato d'urgenza all'ospedale di Siena e operato. Intervento chirurgico anche per Galesi che entra in Chirurgia senza un lamento. E senza un lamento morirà alle 22. La pasionaria dei Nuclei comunisti combattenti è portata in Questura ad Arezzo. Negli stessi istanti viene triplicata la scorta a Grazia Sestini, sottosegretario al lavoro con delega alle politiche sociah: era, forse lei, l'obiettivo di questi terroristi sahti alla stazione di Roma Tiburtina con un biglietto di sola andata per Arezzo. Ma l'allarme s'allarga come i cerchi d'un lago dopo la caduta d'una pietra e fa materializzare anche un altro nome: quello d'uri funzionario della Camera del Lavoro aretina. Indagini serrate: ad Arezzo si condensa una sorta di pool dei magistrati italiani più impegnati nelle inchieste di terrorismo. Lei, Nadia Desdemona Lioce agH inquirenti replica con un refrain che si credeva sepolto nella preistoria della lotta armata: «Mi dichiaro prigioniera politica». Poco prima delle 22,30, con una ingente scorta, è stata trasferita a Firenze. Sarà infatti la procura di Firenze ad occuparsi delle indagini sulla sparatoria.