I movimenti «no war» puntano su Sanremo di Renato Rizzo

I movimenti «no war» puntano su Sanremo SI PREPARA ANCHE UN ASSEDIO A SIGONELLA E AL G8 DI EVIAN I movimenti «no war» puntano su Sanremo Lettera aperta agli artisti dal Social Forum: «Usiamo la passerella della canzone per fermare la guerra. Anche Baudo dia un segnale» Renato Rizzo inviato a LIVORNO Il movimento contro la guerra che ha scelto la piazza come luogo della protesta, cerca, ora, un nuovo palcoscenico per il suo «no». Lo fa chiedendo di sfilare, seppur non materialmente, sulla passerella del Festival di Sanremo. Per ricordare che, al di là delle facili assonanze, «"amore" può far rima non solo con "cuore", ma anche con "pace"» e che le canzoni «non sono solo canzonette». L'assemblea dei Social Forum si sforza di coniugare rabbia antagonista e placida tradizione nazional-popolare: proprio in queste ore in cui più forti si fanno le voci d'un possibile imbarco di merci belliche dal porto di Livorno, rivolge un invito a «tutti gli artisti, uomini e donne della cultura, della musica e dello spettacolo affinché diano un segno di pace e di ripudio della guerra durante l'appuntamento sanremese». «Non ignorate il momento drammatico che il mondo sta vivendo nell'imminenza d'un conflitto che potrebbe avere effetti disastrosi e conseguenze dirette sulle nostre vite». E' un'iniziativa, questa, che si vuole specchiare nei gesti di alcuni fra i più noti cantanti degli Stali Uniti durante la cerimonia dei Grammy Awards a New York: ricordare l'impegno di Bono, candidato al Nobel per la pace, ispirarsi alla «musa» che ha suggerito al cantautore inglese Billy Bragg un pezzo folk dal titolo «Il prezzo del petrolio» o, più semplicemente, adottare la scritta «no war» applicata da Sheryl Crow alla cinghia della sua chitarra. «Anche in Italia il grande movimento mondiale contro la guerra è largamente maggioritario secondo tutti i sondaggi - prosegue la lettera aperta ed esprime una posizione chiara verso ogni conflitto inteso come "strumento di risoluzione delle controversie internazionali". Per questo ci sembrerebbe fuori sintonia dall umore e dalle aspet¬ tative dell'opinione pubblica che il Festival ignorasse l'argomento». A Baudo e a tutti coloro che daranno vita alla manifestazione si chiede, così, «un segno, una testimonianza del loro impegno per la pace e della denuncia della guerra». L'intreccio tra protesta e mondo del cosiddetto «effimero» avrà un'anteprima oggi, a Viareggio, quando un corteo di pacifisti si mescolerà alla sfilata dei carri di Carnevale, mutuando il vecchio motto dei teatranti: lo spettacolo deve continuare. Perché, si afferma, «mettersi in lutto o rimanere a casa non è la soluzione: bisogna trasformare questa festa in un'occasione permobilitarsi». Si cerca platea, audience. Si cercano telecamere e taccuini per amplificare l'eco della ribellione. Anche a costo di rischiare denunce: com'è accaduto a tredici giovani e meno giovani che mercoledì hanno occupato il consiglio comunale di Pisa scagliandosi contro l'uso militare del canale dei Navicelli che collega Pisa a Livorno e che è gestito da una società di cui fanno parte lo stesso Comune, la Provincia e la Camera di commercio. La rivolta cerca pubblico e consenso. E, così si squadernano i trailer dei «prossimamente»: il 5 marzo, tende della pace organizzate in tutte le città d'Italia e, a Roma, una bandiera di 57 metri quadrati portata in pellegrinaggio lungo «stazioni» religiose e laiche: San Pietro, Senato, Campidoglio e Camera; il sabato successivo, lunghissimo cordone umano per «accerchiare» Camp Darby e manifestazioni in tutto il Paese organizzate dalla «faccia» femminile del Movimento per la giornata della Donna. E, poi, protesta davanti alle basi americane (il 23 a Sigonella) preparando il grande assedio «a sorpresa» di Evian per il G8 di giugno. «Ovviamente se scoppierà un conflitto, la contestazione si moltiplicherà, comunque e ovunque». Iniziative tra ribellione e fantasia. Come ieri mattina quando quaranta Disobbedienti e lillipuziani hanno tentato di bloccare con catene sostenute da boe il canale dei Navicelli sul quale passano armi e munizioni della base Usa di Camp Darby. Bandiere, striscioni, fumogeni per occupare questa «porta del porto» : tre giovani e una ragazza si sono tuffati per collegare le due sponde sotto gli occhi della polizia che vigilava da un gommone. Una sorta di taglia e cuci: ogni volta che i nuotatori illividiti dall'acqua gelata riuscivano a tendere il cavo, gli agenti lo tranciavano. Cinque tentativi, cinque colpi di cesoia. Grida di «vergogna» miste a battute: «Pensare che a me fa schifo persino fare il bagno nel mare di Tirrenia», «Se mi becco la leptospirosi il conto della clinica lo mando a Bush». Staffetta di contestazione mediatica: nel pomeriggio il testimone è passato a un gruppo di Cobas e Antagonisti che «incatenano» il ponte mobile posto sullo stesso corso d'acqua: obiettivo, impedire che la struttura si apra quando passeranno gli ormai fantomatici battelli fluviali carichi d'armamenti Usa. Le catene, stavolta, sono a prova di cesoia: «Lavoro per i vigili del fuoco e le loro fiamme ossidriche» annuncia Bruno Paladini, guida dell' azione che elegge questo luogo a vedetta del Movimento: «Di qui si controlla ogni cosa che si muova e scenda verso il porto». Ancora giochi di specchi, sintonie che in altri momenti sembrerebbero incongrue. Se Paladini parla di «vedette», il vescovo di Livorno, Diego Coletti, e il sindaco diessino, Gianfranco Lamberti, sostengono in un documento comune che la città «nei luoghi in cui si vive e si lavora dev'essere sentinella della pace». Una quarantina di pacifisti e disobbedienti hanno manifestato lungo la parte terminale del canale dei Navicelli A Livorno i Disobbedienti hanno tentato di bloccare con le catene il canale dove passano armi e munizioni destinate alla base americana di Camp Darby