«Più dei venti di crisi pesano freddo e scorte»

«Più dei venti di crisi pesano freddo e scorte» IL GURU AMERICANO DI FOREIGN AFFAIRS «Più dei venti di crisi pesano freddo e scorte» Morse: conviviamo con la paura del conflitto da tre anni Il sistema è in grado di garantire lo stesso un'alta offerta intervista Maurizio Moiihari corrispondente da NEW YORK L'IMPROVVISA impennata dei prezzi non deve far preoccupare, non è legata al rischio di un conflitto nel Golfo». A gettare acqua sul fuoco dei timori dei mercati è Edward Morse, maggiore esperto mondiale di questione petrolifere, sulle quali ha scritto in più occasioni su Foreign Affairs. Che cosa sta succedendo sui mercati, come spiega il tetto dei 40 dollari al barile raggiunto dalla quotazione del greggio? «Questa volatilità dei prezzi non è affatto rara sui mercati quando si trovano improvvisamente sotto pressione per carenza di scorte accumulate e dì produzione di nuovi prodotti contemporaneamente all'aumento inattesa della domanda da parte dei mercati». Non ritiene che siano invece i venti di guerra nel Golfo Persico la causa del rialzo a cui stiamo assistendo da alcuni giorni? «No, non credo che vi sia alcun legame con quanto sta avvenendo nel Golfo Persico e con le prospettive di guerra in Iraq. I mercati del petrolio vivono con l'effetto-guerra già da tre settimane, non si tratta più di una novità. Teniamo presente che l'ipotesi di un conflitto nel Golfo risale allo scorso autunno. Quanto sta avvenendo in Iraq non è un evento inatteso. Anche se dovessero iniziare a breve le ostilità non ritengo che assisteremo a dei terremoti, ciò non toglie che vi saranno singoli ed isolati tentativi per avvantaggiarsi dèlia situazione». Se non è il timore della guerra ma la carenza di scorte a causare la volatilità, ritiene che la situazione Gambiera nelle prossime settimane? «Non molto perché i Paesi che appartengono all'area dell'Qcse hanno raggiunto da qualche tempo il livello di scorte più basso mai registrato nel corso della Storia. Si tratta dì un caso senza precedenti con il quale stiamo iniziando solo ora a fare i conti. I Paesi industriali sono in evidente difficoltà di fronte alla domanda crescente e per alcuni mesi non avranno la possibilità di ricostituire le scorte, dunque i prezzi oscilleranno ancora per quale tempo. Bisognerà abituarsi a questa volatilità, ma non durerà a lungo». Quali sono le cause di questa carenza di scorte che si registra nell'area dell'Qcse? «Le cause sono complicate e non tutte hanno a mia opinione la stessa origine. Vi sono infatti ragioni di tipo strutturale ma accompagnate da fattori temporanei. Lo stallo della produzione da parte del Venezuela, a seguito della crisi politica e sindacale in atto da mesi, ha sicuramente avuto un effetto perché ha obbligato l'Opec ad intervenire ed a sostituire quella quota di produzione. Il tentativo di garantire la stabilità dei prezzi si è poi infranto quando sono emersi problemi di approvvigionamento dovuto al fatto che questo che stiamo passato è imo degli inverni più freddi che si ricordi ed ha causato un brusco aumento dei consumi nei Paesi occidentalizzati, a cominciare dal Nordamerica e dai principali Paesi europei. L'intervento dell'Opec per arginare l'effetto-Venezuela si è inoltre infranto con l'altrettanto imprevedibile chiusura di un reattore nucleare in Giappone, che ha spinto il governo di Tokyo ad adoperare più greggio tradizionale del previsto, anche qui causando una riduzione delle scorte disponibili. Questo è il punto debole, un po' ovunque». Ma se questo è lo scenario che ci aspetta per le prossime settimane l'eventuale conflitto del Golfo Persico non rischia dì essere un detonatore di un'ulteriore accelerazione dei prezzi? «La guerra in Iraq può spingere i prezzi in alto solo in un caso: se vi sarà timore di un calo della produzione. Ma nulla al momento fa supporre che questo è ciò che avverrà. I Paesi del Golfo hanno già fatto presente in più occasioni che saranno loro a sostituire la quantità di produzione irachena, se questa dovesse venire meno a seguito dell'andamento delle ostilità. C'è petrolio sufficiente a disposizione sui mercati per evitare scossoni a seguito del conflitto militare che incombe. Le speculazioni che segneranno, come è prevedibile, l'eventuale inizio delle ostilità non faranno perdere di vita il dato di fondo, che è sulla stabilità della capacità di produzione da parte del complesso dell'area Qpec». 2.600.000 di barilt/g'torno A DEI 5 I GIORNI 1956 2.000,000 di bariti/giorno GUERRA DI SUEZ FONTE: US EIA

Persone citate: Edward Morse, Maurizio Moiihari

Luoghi citati: Giappone, Iraq, New York, Nordamerica, Tokyo, Venezuela