L'ITALIANO PER FORZA di Michele Ainis
L'ITALIANO PER FORZA SERVE UN CONSIGLIO SUPERIORE DELLA LINGUA? L'ITALIANO PER FORZA Michele Ainis A quanto pare, negli ultimi tempi i parlamentari hanno un chiodo fisso: l'italiano, o almeno ciò che ne rimane. Fanno bene, dato che ormai s'è fatto scempio della nostra lingua nazionale. Nei telegiornali, dove l'annunciatore di turno balbetta frasi smozzicate, incespica sui congiuntivi, e comunque esibisce quasi sempre un linguaggio povero ed approssimativo. Negli sms, dove le parole si contraggono come calzini mal lavati, dove ogni «perché» diventa «xke», dove fioccano i «cmq», «ki 6», «tvb». E perché no, anche da parte dei politici: un tempo con perifrasi involute (chi non ricorda le «convergenze parallele» di Aldo Moro?), oggi con metafore calcistiche (la «discesa in campo» di Silvio Berlusconi), o altrimenti con una sbornia di termini d'esportazione, anche quando non mancherebbe l'equivalente in italiano. La devolution di Bossi, certo; ma non solo. Mettiamoci pure lo spoil system, il question time, il welfare, la leadership, nemmeno se ad ascoltare ci fosse sempre la regina d'Inghilterra. Sta di fatto che ormai è tutto un ribollire d'iniziative normative per curare l'ammalato. Ha esordito una legge promulgata nel dicembre del 1999, dove solennemente si proclama che in Italia si parla l'italiano. Vi ha fatto seguito il voto espresso nel marzo scorso dalla Camera, per ribadire la regola in modo solenne, facendole spazio tra i principi costituzionali. Ora è la volta d'un disegno di legge all'esame del Senato, che si propone d'introdurre il Csli, ovvero il Consiglio superiore della lingua italiana. E con quali funzioni? Quella di valorizzare l'italiano nel mondo, ponendo riparo a un colpevole abbandono. Di promuoverne la conoscenza nelle scuole, nei media, nella pubblicità: intenzione anch'essa sacrosanta, specie in un'epoca d'immigrazione, che impone d'integrare gli extracomunitari nella nostra cultura. Ma siccome di buone intenzioni è lastricata la via dell'inferno, quel testo si spinge tre passi più in là: e assegna al Csli il compito di forgiare una «grammatica ufficiale» della lingua italiana, nonché un «dizionario dell'uso». ^Domanda: se lo Stato può dettare le regole linguistiche, gli è consentito altrettanto per quelle ingegneristiche, mediche, di ricerca storica? Seconda domanda: è poi giusto che il nuovo organismo sia composto prevalentemente da ministri, o è meglio che la politica se ne stia in disparte? Terza domanda: e se poi domani qualcuno sbaglia a coniugare un verbo, commetterà reato? O non sarebbe più saggio limitarsi viceversa a regolare il linguaggio normativo e burocratico, dove chi ci capisce è bravo? Dice: però organismi analoghi funzionano in Francia come in Spagna. D'accordo; ma senza i poteri d'un carabiniere. Sennonché resta sempre valido il motto di Flaiano: noi italiani siamo i più solleciti nell'amrnirare le virtù degli altri popoli e nel copiarne i difetti più vistosi. micheleainis@tin.it
Persone citate: Aldo Moro, Bossi, Flaiano, Silvio Berlusconi
Luoghi citati: Francia, Inghilterra, Italia, Spagna
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