DNA «Niente più ordini dal paradiso» di Paolo Mastrolilli

DNA «Niente più ordini dal paradiso» IL 28 FEBBRAIO 1953 VENIVA SCOPERTO IL SEGRETO DELLA VITA. INTERVISTA A JAMES WATSON, UNO DEI PROTAGONISTI DELL'IMPRESA DNA «Niente più ordini dal paradiso» Paolo Mastrolilli NEW YORK IL signore che cinquant'annifa scoprì il segreto della vita cammina curioso e stupito tra i quadri. Indossa impiegante camicia a righe, un'originale cravatta gialla, occhiab spessi. Ha pochi capeUi assai spettinati, alcuni tic nervosi, e una faccia che coincide alla perfezione con il cliché dello scienziato pazzo. Ma pazzo non è il dottor James Watson, e ha una spiegazione logica per quello che sta osservando: «Subito dopo la scoperta della struttura a doppia elica del Dna - racconta - andai a presentarla negli Stati Uniti, al laboratorio di Gold Spring Harbor. rAvevo cqn un me un modello dimostrativo, e ima giovane studentessa molto attraente si avvicinò, chiedendomi se fossi un artista. Pensava che l'elica del Dna fosse una pregevole scultura astratta, e questo dimostra come la scienza abbia sempre ispirato l'immaginazione e la fantasia». Per capirci, incontriamo Watson alla mostra Genomic issue(s): art and science, organizzata al Graduate Center of tpe City University of New York;' per esaltare la pittura, la scultura, la fotografia e i video ispirati dalla genetica e della biologia. Sólo una delle tante manifestazioni avvenute per celebrare i cinquant'anni della struttura a doppia elica, in una città dove il sindaco Bloomberg ha decretato la settimana del Dna. Quando il 28 febbraio del 1953 lei e il suo collega Francis. Crick entraste nel pub Eagle di Cambridge, Inghilterra, per annunciare ai colleglli che avevate scoperto il segreto della vita, eravate coscienti di aver innescato una simile rivoluzione? «Assolutamente no. Noi eravamo interessati alla struttura, e l'avevamo finalmente individuata». Non immaginavate il progetto Genoma, le possibili terapie genetiche per il cancro, gli esami forensici del Dna per inchiodare gli assassini, o le mostre d'arte ispirate alla vostra elica? «No. Ovviamente sapevamo di aver scoperto il segreto della vita, e quindi una cosa molto importante. Ma non potevamo sognarci tutto questo». La struttura del Dna è stata una di quelle scoperte che non cambiano solo la scienza, ma hanno un influsso determinante sulla società. Qual è stato, secondo lei, l'impatto più importante dal punto di vista culturale? «Da quel momento in poi abbiamo smesso di prendere ordini dal Paradiso. Lo dico senza mancare di rispetto a chi crede in Dio, ma la scoperta di una struttura così fondamentale per spiegare la vita ha offerto una visione alternativa .nella comprensione dell'esistenza». E' per questo che non la sorprende l'influenza della scienza sull'arte? «Certo. Nel passato, quando la scienza non era ancora così avanzata, gli uomini ricorrevano alla religione per spiegare i fenomeni incomprensibili e il significato stesso della vita. L'ispirazione che questo interesse per la fede ha provocato negli artisti è ben documentata nelle varie rappresentazioni della Sacra famiglia e di altri soggetti religiosi. Ma il grande sviluppo della scienza durante l'ultimo secolo, e non parlo solo della nostra scoperta, ha offerto una nuova fonte di risposte per le domande che l'uomo si pone da sempre. Quindi non è strano che in molti casi la stessa scienza abbia preso il posto della religione come elemento ispiratore dell'arte». Vuol dire che le vostre scoperte hanno tolto senso alla fede? «Secondo me sì, ma è un punto di vista personale. Se non ricordo male, il primo artista che fece un'opera dedicata al Dna fu Salvador Dali. Anni fa lo incontrai a un pranzo, e lui si complimentò con me, dicendomi che la struttura a doppia elica del Dna gli aveva dato la prova dell'esistenza di Dio. Secondo me era vero esattamente il contrario, ma il hello dell'arte e della cultura sta proprio nella libertà e la diversità delle interpretazioni e delle convinzioni». Quando nel 1962 lei, Francis Crick e Maurice Willdns andaste a ricevere il Nobel, con voi non c'era Rosalind Franklin, la chimica che aveva prodotto datifondamentali per la vostra scoperta, morta pochi anni prima di cancro. C'è una dìsputa storica sulla rilevanza del suo lavoro e sul modo in cui ve ne siete impossessati: vuole risolverla adesso? Rosalind era sicuramente più intelligente di me e avrebbe potuto raggiungere la nostra stessa conclusione da sola, o magari parlando un poco con Francis. Ma non credo che provasse vera animosità nei nostri confronti». E allora perché non la ringraziaste? «Perché avevamo paura di parlarle, sul serio. Di sicuro all'inizio non andava d'accordo con Crick, e quella fu la mia fortuna, perché altrimenti non avrei partecipato al progetto e non sarei qui adesso. Lei però era una chimica, focalizzata su un certo aspetto del problema. Noi siamo biologi, e quindi puntavamo a svilupparne un altro». Lei ha accennato alla grande crescita della scienza nell'ultimo secolo: dopo tanti progressi esiste ancora la possibilità di fare scoperte capaci di scatenare rivoluzioni sociali e filosofiche? «Senza dubbio». Ad esempio? «Penso a quando riusciremo a svelare il meccanismo che consente al nostro cervello di memorizzare le cose e averne coscienza, e magari di passare queste stesse funzioni di pensiero alle macchi¬ ne. Non vi sembra una scoperta che potrebbe innescare una grande rivoluzione?». Se lei oggi tornasse ad essere uno studioso venticinquenne, come quando scoprì la struttura del Dna, a cosa si dedicherebbe? «Forse alla tecnica della micro arrey analysis, invece che ai modelli. Vedete, ìa tecnologia è in continua evoluzione, e io non sono nostalgicamente attaccato a quella che mi rese famoso cinquant'anni fa». Da tempo si parla dell'ingegneria genetica come uno strumento per mutare il corpo umano, e immunizzarlo da malattie e disfunzioni. E' un traguardo possibile e lei è favorevole? «Alcuni pensano che sia sbagliato migliorare l'uomo, io no. Certo, bisogna aspettarsi una preoccupazione costante da parte della società riguardo al lavoro della scienza, e la risposta migliore è la franchezza sui rischi e i vantaggi. Poi però, una volta che fai salire l'uomo sull'automobile, difficilmente tornerà a viaggiare col cavallo». Tra le possibili svolte c'è la clonazione umana? «No, la clonazione... La pecora Dolly è morta e siamo tutti addolorati per lei. Ma oltre a questo non c'è molto da aggiungere». «Quando la scienza era meno avanzata gli uomini spiegavano con la religione i fenomeni incomprensibili Oggi la ricerca sa offrire nuove fonti di risposte» «Miglioreremo l'uomo però non dovremo mai dimenticare rischi e vantaggi. La clonazione? La pecora Dolly è morta non c'è altro da dire» ^ar*»' e i ?

Luoghi citati: Cambridge, Inghilterra, New York, Stati Uniti