RUMSFELD flirtava con Saddam

RUMSFELD flirtava con Saddam RUMSFELD flirtava con Saddam retroscena Maurizio Molìnari corrispondente da NEW YORK ■ L.presidente degli Stetti Uniti Ippole riallacciare i rapporti diplomatici con Saddam Hussein per ragioni strategiche ed economiche, garantisce a Baghdad sostegno politico, militare e di intelligence, e quando alle Nazioni Unite l'Iraq sta per essere condannato per l'uso di armi chimiche il Dipartimento di Stato riesce ad evitarlo. Il tutto grazie agli incontri con Saddam e Tareq Aziz avuti da un uomo di stretta fiducia della Casa Bianca, Donald Rumsfeld, in quegli anni amministratore delegato e poi presidente di una grande azienda farmaceutica, la G.D. Searle Sr Company. Non si tratta di un libro di fantapolitica né di un'allucinazione diplomatica bensì del riassunto dei rapporti intercorsi fra l'amministrazione Reagan e il regime di Saddam nel periodo 1982-1984, ricostruiti meticolosamente dai ricercatori del «National Security Archive» di Washington grazie a documenti top secret che sono stati declassificati in seguito all'impegno del combattivo deputato democratico del Texas Henry Gonzales, per il quale però il successo è arrivato troppo tardi, essendo scomparso nel 2000 all'età di 84 anni. Ecco cosa raccontano le carte descrivendo nei dettagli la scelta di Reagan di continuare a sostenere Saddam Hussein in funzione antiIran pur essendo a conoscenza del fatto che usava i gas contro Teheran e i curdi. La guerra Iran-Iraq. Nel settembre del 1980 Saddam Hussem attacca a sorpresa llran dell'ayatollah Khomeini che ha deposto lo scià di Persia e sfidato Washington detenendo centinaia di ostaggi per 444 giorni nell'ambasciata Usa a Teheran. Saddam valuta male la capacità di resistenza iraniana e a metà del 1982 è sulla difensiva. A Washington il presidente Ronald Reagan teme che la rivoluzione islamica possa contagiare l'intero Golfo. Per evitare lo scenario di un cuore energetico del pianeta in mano a Khomeini scommette su Saddam, con il quale però le relazioni sono interrotte dalla Guerra dei sei giorni del 1967. Dunque, bisogna ricostruirle in fretta. La scelta di Reagan. Il primo passo, nel febbraio 1982, è di depennare l'Iraq dalla lista degli Stati terroristi. Poi iniziano scambi di visite e Washington fa pressione sugli Emirati del Golfo affinché elargiscano prestiti a Baghdad, come fa la Export-Import Bank di Washington, facilitando le esportazioni di grano «made in Usa». Il 12 luglio del 1983 la direttiva n. 99 del Consiglio per la sicurezza nazionale della Casa Bianca suggerisce di «assicurare sostegno militare e di intelligence all'Iraq per rafforzare la stabilità nel Golfo». In quelle stesse settimane Teheran denuncia per la prima volta l'uso di armi chimiche da parte dell'Iraq e chiede al Palazzo di Vetro di far svolgere un'indagine. Si tratta di informazioni che Washington conosce. «Sappiamo che l'Iraq usa quasi ogni giorno armi chimiche e che la ha acquistate da ditte occidentali, forse anche americane» scrive Jonathan Howe, dell'ufficio politico-militare del Dipartimento di Stato, in un memorandum del 1" novembre 1983 destinato al Segretario di Stato George Shultz. Howe suggerisce di «affrontare la questione per mantenere la credibilità della nostra politica sulle armi chimiche». Venti giorni Howe toma alla carica: questa volta scrive a Lawrence Eaglebuiger, assistente Segretario di Stato per il Vicino Oriente, attestando che Saddam usa i gas «contro i curdi». Ma per la Casa Bianca li legame con l'Iraq in funzione anti-Iran conta di più, e così il 26 novembre la direttiva 114 firmata da Reagan sulla guerra non fa cenno alle armi chimiche. Le priori¬ tà sono altre: rafforzare la cooperazione per difendere i campi petroliferi e aumentare lo schieramento militare nel Golfo. L'ordine ai vertici del Pentagono è «essere pronti a intervenire se il flusso di greggio dal Golfo dovesse essere improvvisamente interrotto». Ovvero: preparare l'intervento anti-Iran per difendere i pozzi se Saddam fosse sconfitto. Rumsfeld da Saddam. Il 20 dicembre del 1983 a Baghdad si trova Donald Rumsfeld, nella veste di inviato informale dell'Amministrazione perché, sebbene non abbia incarichi ufficiali, i suoi rapporti personali con Reagan sono molto stretti. La sua missione è incontrare Saddam. Un telegramma del Dipartimento di Stato del giorno seguente recita: «Nei novanta minuti di incontro Saddam si è mostrato soddisfatto per la lettera inviata da Reagan, per la visita e per quanto detto da Rumsfeld sulla volontà di riprendere le relazioni bilaterali». Le istruzioni che aveva avuto Rumsfeld erano state esplicite: «Enfatizzare le strette relazioni», condividere la comune ostilità per Iran e Siria, unire gli sforzi per individuare nuovi percorsi di esportazione del greggio. Delle armi chimiche non v'è cenno, in alcun documento. Rumsfeld non ne parlò con Saddam mentre lo aveva fatto il giorno prima con il suo vice, Tareq Aziz, affermando che se da un lato «l'amministrazioTie Reagan vuole fare di più sulla guerra Iran-Iraq», dall'altro «questi sforzi sono complicati dall'uso delle armi chimiche, dal rischio di escalation nel Golfo e dalla questione dei diritti umani». Un telegramma dell'ambasciatore a Roma, Maxwell Rabb, al Dipartimento di Stato, datato 20 dicembre aggiunge un particolare: ((Aziz ha ammesso di essere stato "rincuorato" dal passaggio della lettera di Reagan a Saddom in cui era scritto: "La guerra Iran-Iraq pone seri problemi all'economia e alla sicurezza nazionale degli Stati Uniti, dei suoi amici e dell'intero mondo libero"». Con il passare delle settimane le notizie sull'uso dei gas fanno il giro del mondo. L'amministrazione Reagan rompe il silenzio il 5 marzo del 1984, denunciando pubblicamente l'Iraq. Farlo è ima scelta che pesa, e un memorandum ne attribuisce la responsabilità a Baghdad: «Le relazioni bilaterali ne sono state indebolite ma da tempo li avevamo avvertiti che prima o poi la questione sarebbe venuta alla luce». Nello stesso mese di marzo Rumsfeld toma a Baghdad: questa volta non vede Saddam ma rassicura i suoi interlocutori sul fatto che il sostegno di Reagan non è venuto meno. Un documento del Consiglio per la sicurezza nazionale firmato da Howard Teicher riassume il messaggio: sostegno per ottenere nuovi crediti dalla Export-Import Bank, ipotesi di un nuovo oleodotto verso Aqaba nel Mar Rosso, impegno Usa per bloccare ogni invio di armi a Teheran e anche offerta di «assistenza» da parte di Israele (che Baghdad rifiutò). All' epoca la politica del governo Usa era contraria alla vendita di armi all'Iraq, ma qualcosa comunque avveniva, se è vero che nell'aprile del 1984 Baghdad chiese alla Textron si negoziare una fomitura di elicotteri «non configurati per uso beUico». La ripresa delle forniture belliche fu oggetto di un serrato dibattito all'interno dell'Amministrazione. «Il governo sta considerando la vendita di componenti a doppio uso a enti iracheni con un parere preliminare favorevole», si legge in una nota del Dipartimento di Stato datata 9 maggio 1984. Sostegno all'Onu. Forte dell'ondata di indignazione per l'uso dei gas, nella primavera del 1984 l'Iran tenta di far votare al Consiglio di Sicurezza una risoluzione di condanna del regime di Saddam, ma gli Stati Uniti vogliono evitarlo. L'ambasciatore iracheno all'Onu incontra il collega americano Jeane Kirkpatrick e chiede di reagire in maniera «contenuta», come già fatto da Francia e Gran Bretagna. Il rappresentante di Saddam a Washington, Nizar Hamdun, ripete la stessa richiesta a James Placke, assistente Segretario di Stato, il 29 marzo 1984, e in più offre tre suggerimenti: meglio ima dichiarazione della presidenza del Consiglio di Sicurezza che una risoluzione, preferibilmente senza alcun riferimento all'uso di armi chimiche ma con l'auspicio di una rapida fine del conflitto. Il giomo seguente, 30 marzo, è esattamente quello che avviene al Palazzo di Vetro. Un memo intemo del Dipartimento di Stato commenta: «La dichiarazione contiene proprio i tre elementi richiesti da Hamdun». «Salvare llraq». La guerra procede male per l'Iran e Reagan teme il peggio. «Studiate piani per evitare il collasso iracheno», chiede nella direttiva 139 del 5 aprile 1984, spiegando che la «necessaria e inequivocabile condanna dell'uso dei gas non comporta alcuna modifica nel sostegno americano nei confronti dell'Iraq». Dietro le quinte i tentativi di Reagan di far cessare a Saddam l'uso dei gas hanno scarsi risultati. Baghdad interrompe la guerra chimica nel novembre 1983 e la riprende nel febbraio 1984 senza pregiudicare la ripresa delle relazioni diplomatiche, che avviene il 26 novembre del 1984 con un incontro a Washington fra Aziz e Shultz nel quale il vice di Saddam riconosce a Ronald Reagan il merito della sopravvivenza del regime: «La nostra difesa è stata garantita dalla superiorità bellica, possibile grazie al blocco delle forniture all'Iran». Documenti declassificati del National Security Archive permettono di ricostruire il ruolo dell'attuale Segretario alia Difesa nella scelta della Casa Bianca di riallacciare i rapporti con l'Iraq e fornirgli aiuti contro Teheran nonostante le denunce per l'uso di gas letali il Segretario alla Difesa Rumsfeld all'epoca lavorava per un'azienda farmaceutica ed era amico personale di Reagan