Sordi era posseduto da un demone: le cose doveva farle e basta

Sordi era posseduto da un demone: le cose doveva farle e basta ERA ENERGICO, DETERMINATO, CORAGGIOSO FINO ALL'INCOSCIENZA Sordi era posseduto da un demone: le cose doveva farle e basta Incarnò sullo schermo il prototipo di un certo romano pigro indolente, sensuale e infingardo, ma nella vita, che per lui coincise al cento per cento col lavoro, fu, al contrario, davvero instancabile Masolino d'Amico MA Alberto Sordi sapeva quello che faceva? Ossia, «usava 0 suo personaggio di italiano come una frusta ferocemente satirica, o vi aderiva senza essere consapevole della drammaticità di quel ritratto»? Sto parafrasando Eugenio Scalfari, il quale ieri raccontava come per risolvere questo interrogativo si fosse rivolto, una volta, a Sordi stesso, ricevendone una risposta frustrantemente evasiva. Ora, che Sordi cosi rispondesse a Scalfari nell'occasione descritta dal fondatore della «RepubbUca» non sorprende: i due si trovavano nientemeno che a bordo di un aereo privato che li riportava a casa dopo i ludi ufficiali per gli 80 anni di Pietro Barilla, erano dunque due notabili che oltretutto stavano recitando la parte di se stessi. Come ci si sarebbe potuti aspettare, proprio allora, una rivelazione da parte di un uomo che tra l'altro come tutti gli attori aveva passato la vita a nascondersi dietro una maschera? D'altro canto come dice Oscar Wilde, date a un uomo una maschera, e quello vi dirà la verità. E Sordi attraverso il suo personaggio diceva senza dubbio la verità su molte cose e certo anche su se stesso. Fino a che punto però ne fosse consapevole, almeno fino a quando non ebbe il tempo di voltarsi indietro a contemplare la lunga strada percorsa - e anche di ascoltare quello che su questa strada avevano avuto modo di dire tanti altri - non è dato conoscere. Una cosa però è certa, e tutti coloro che furono in contatto con Sordi giovane possono confermarla: Sordi era posseduto da un demone che egli stesso controllava solo in parte. Certe cose doveva farle, e basta. Era un viandante frenetico di guadagnare una meta che però neanche lui avrebbe saputo indicare con chiarezza. Se incarnò sullo schermo il prototipo di un certo romano pigro, indolente, sensuale e infingardo, nella vita, che per lui coincise al 100 per cento col lavoro, fu al contrario, instancabile. Nei suoi quasi 200 film non si limitò ad apparire, ma ne fu sempre, anche quando non li diresse o scrisse di persona, coautore. Se l'idea non partiva direttamente da lui, la esplorava, la elaborava, e la adattava. Sul set non si rilassava un momento, ma controllava l'intera situazione. E dopo girato interveniva ancora, in sede di montaggio e di doppiaggio; alcune delle sue gag più famose sono ripensamenti, battute aggiunte all'inquadratiu a. Le bellissime case che si comperava, che arredava puntigliosamente e che faceva tenere con immacolata pulizia, sembravano sempre vuote, perché lui ne abitava solo l'angoletto dove preparava i copioni, oppure era altrove, sui set. Noialtri frequentaton di Castiglioncello vivemmo la saga di quella che si fece li, quando il posto diventò una piccola colonia di cinematografari. Sordi acquistò la piacevole ancorché cadente villa del pittore Corcos (dalla simpaticissima vecchia figlia dell'artista, la celebre Memmi che era stata brevemente marchesa Strozzi), la fece lentamente ristrutturare e ingrandire con molto buon gusto, ci impiantò una piscina - e non ci venne quasi mai -. Era una casa per l'Estate, e lui l'Estate, tutte le Estati, girava. Veniva di 'solito un paio di giorni, giusto a Ferragosto, apriva la casa e invitava a cena, splendidamente, tutto il gruppo (i Mastroianni, i Panelli, eccetera). Il tempo di farla ammirare, e spariva. «Ci vetro più spesso quando lavorerò meno», diceva. Ma un Ferragosto la cena fu annullata all'ultimo momento per l'infarto che colse il fedele fratello-amministratore factotum Giuseppe detto, chissà per¬ ché alla veneta, Pinino. E Alberto a Castiglioncello non tornò più. Dicevo dell'energia di Sordi giovane: era impressionante, come lo era la sua determinazione. Il suo fu un fenomeno, a pensarci, singolare assai, per non dire unico. Gli inizi non furono facili. Il giovane Sordi era un comico e voleva far ridere; sapeva di poter far ridere. Faceva ridere, anche: certe sue trasmissioni radiofoniche erano addirittura mitiche. Ma quando uscì il suo primo film, che a quelle si rifaceva - «Mamma mia che impressione!» - non lo andò a vedere nessuno (noi sì però, dico mia madre, io e mia sorella bambini, a Santa Marinella nel 1950: ci sentimmo male dal ridere). E nessuno andò a vedere «Lo sceicco bianco» (capolavoro inarrivabile: né lui né Fellinii in fondo, avrebbero mai più fatto di meglio). Eppure non si scoraggiò minimamente. Da Cjjaplin a Totò, da Denny Kaye a Jerry Lewis, ogni comico ha un suo personaggio riconoscibile, un down inventato e perfezionato su se stesso, un tipo variamente stravagante, goffo, perdente, non ben sintonizzato con la società (perché sciocco, o con la testa fra le nuvole), e in ogni caso deve risultare attraente: per il quale si deve parteggiare. Ora, Sordi fu il primo a crearsi, invece, un tipo fisicamente normale, ossia non buffo, né bello né brutto, e nemmeno stupido, anzi, discretamente inteUigente, nonché, ecco la novità, non gradevole: e sprovvisto di repertorio meccanico - niente cascatoni o torte in faccia -. A sentirselo descrivere non si saprebbe «perché» si dovrebbe riderne, e nemmeno Sordi in realtà era in grado di spiegare questo perché. Sapeva soltanto che se ne avesse avuta l'occasione, avrebbe fatto ridere: se lo sentiva dentro. E questa consapevolezza gli dava un coraggio (anche qui, altro che romano vigliacco!) che arrivava fino all'incoscienza. Mentre aspettava scalpitando la sua occasione si sfogava con degli scherzi improvvisati, alcuni dei quali sono diventati leggendari. Per esempio, quando fiequentava Andreina Pagnani, molto più anziana di lui e diva famosa, era diventato il terrore dei camerini del Teatro Eliseo. Una sera, era una pièce a due personaggi, piombò scarmigliato in scena, durante un dialogo tra la Pagnani e Gino Cervi, il quale perse per un momento il suo aplomb e gli abbaiò di scatto: «Ma lei chi è?». «Chi sono?» fece Sordi, che all'epoca il pubblico non conosceva affatto. «Sono l'inquilino dell'appartamento accanto! Sono rimasto chiuso dentro e mi sono dovuto scavare un buco nel muro con le unghie. E' da settimane che scavo...». E continuò improvvisando un assolo interminabile. Il punto della storia è che lì per li nessuno rise, non gli spettatori, che credettero la scena parte del copione, e certo non i malcapitati colleghi illustri, che restarono sui carboni ardenti finché durò. L'unico a «sapere» che il momento era di una comicità sublime era proprio lui, l'ignoto e già grande Alberto Sordi. Sul set non si rilassava un momento, controllava tutto, interveniva in sede di montaggio e di doppiaggio, alcune delle sue gag più famose sono ripensamenti, battute aggiunte all'inquadratura Aveva case bellissime che non abitava Un bel ritratto di Alberto Sordi

Luoghi citati: Castiglioncello, Santa Marinella