Un attore unico senza maestri e senza allievi di Gianni Rondolino

Un attore unico senza maestri e senza allievi Un attore unico senza maestri e senza allievi Gianni Rondolino STRANO destino quello di Alberto Sordi, grande attore comico senza maestri e senza allievi, fuori degli schemi consueti della commedia all'italiana e al tempo stesso uno dei suoi protagonisti, creatore di una maschera dell'italiano medio che è rimasta sostanzialmente inalterata per decenni, ma anche regista e interprete di film diseguali.. Strano destino perché a lui, ai suoi personaggi, ci si rifa continuamente, ogni volta'che si vuole tracciare il rittatto dei molti vizi e delle poche virtù del cittadino italiano della seconda metà del ventesimo secolo; e tuttavia da lui, dai suoi personaggi ci si sente distanti, nella presunzione di esser diversi, di non riconoscersi come tali. Senza maestri e senza allievi, nel senso che la tradizione comica italiana, teatrale e cinematografica, ha elaborato modelli differenti, da un lato più brillanti e spumeggianti, dall'altro più farseschi e volgari. Sicché non è facile, ripercorrendo la storia del cinema italiano, osservandone la situazione attuale e il prossimo futuro, individuare qualche nome che possa essere accostato a quello di Sordi per una certa affinità d'eloquio e di comportamento. Certo ci furono attori comici e brillanti che posero le basi, negli Anni '30 e '40, per quelli che sarebbero diventati, dopo la seconda guerra mondiale, i cosiddetti neorealismo rosa e commedia all'italiana. Basti pensare a Vittorio De Sica, attore e regista di grande talento, il cui stile di recitazione, fine e discreto, diede vita a personaggi emblematici d'un costume e d'una mentalità, quella piccolo-borghese. O, all'opposto, all'inimitabile Totò, che attraversò il cinema italiano come un turbine dissacratore. Ma i loro personaggi, le loro maschere, differiscono da quella di Sordi, ne segnano i confini, entro i quali egli ha saputo elaborare, soprattutto con l'aiuto d'uno sceneggiatore come Rodolfo Sonego, una propria, personalissima dimensione scenica. Quanto alla commedia all'italiana e alle sue propaggini, non ci sono stretti rapporti fra i personaggi creati da Sordi e quelli di Vittorio Gassman, Ugo Tognazzi, Nino Manfredi, o anche di Landò Buzzanca o Paolo Villaggio. Certo, tutti si muovono entro schemi e modelli ormai codificati, fanno parte di una galleria di attori-personaggi che spesso ripetono se stessi. Ma Sordi pare muoversi in un altro ambito, ricalca i segni della propria unicità, ma continuamente ne varia le prospettive : è sempre uguale e sempre diverso, e sa cogliere tutte le sfumature di un carattere che è venuto assumendo, nel corso degli anni (almeno dai «Vitellohi» a «Un borghese piccolo piccolo»), la funzione di specchio, nemmeno tanto deformante, del costume sociale, della moralità pubblica. Di qui la sostanziale autonomia del personaggio Sordi rispetto agli altri personaggi della commedia all'italiana. Si è detto, soprattutto all'inizio, che un attore come Carlo Verdone avesse appreso e sviluppato la lezione di Sordi, aggiornandola sui nuovi temi e problemi dell'Italia di fine secolo. Ma in realtà sono due attori diversi, uniti solo da quella che possiamo definire la loro «romanità». La galleria dei personaggi sordiani non è soltanto un repertorio di tipi e macchiette, ma è costituita semmai da un solo personaggio, complesso, sfaccettato, a tutto tondo.

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