MA NON ERA UN ESEMPIO di Elena Loewenthal
MA NON ERA UN ESEMPIO MA NON ERA UN ESEMPIO Elena Loewenthal LABILE è il confine fra vizio e virtù: a dispetto delle morali categoriche, il più delle volte l'uno si specchia nell'altra, con appena una virgola di troppo. In quel tempo smarrito che sta sempre fra l'istante di una morte e il congedo vero e proprio sul ciglio di una tomba, un'Italia commossa e incredula rende omaggio alla salma di Alberto Sordi. Lo fa nel lungo corteo verso la camera ardente ma anche nei discorsi scambiati di fronte al banco della frotta al mercato, durante l'intervallo a scuola, davanti a una tazza di caffè. Mancherà a tutti, questo grande attore che per decenni il pubblico ha atteso al varco della realtà e lui puntuale non s'è mai negato, in quelle infinite volte in cui si diceva, «questa sarebbe materia per un suo film», e il film prontamente arrivava oppure già stava nelle cineteche. Il ricordo di questo talentuoso interprete dovrebbe però rinunciare fermamente a una retorica che non sarebbe piaciuta nemmeno a lui. Perché non era un modello, piuttosto una figura: calzante, realistica, scomoda, grottesca. Nessun modello, infatti, potrebbe ispirarsi a quella che invece fu la sua cifra costante: una mediocrità da intendersi non in senso etico, bensì come la capacità virtuoslstica di stare sempre un poco a mezza strada. Di non rappresentare un esempio, ma nemmeno destare scandalo. La taccagneria non peipetrata sino in fondo e invece smentita da generose, tacite donazioni che quasi per vezzo intaccavano la dignità monolitica dell'anti-eroe: come se Papà Gambalunga fosse entrato a mo' di inciso nella memorabile partitura dell'avaro» di Molière, apposta per non dare a lui e al pubblico la soddisfazione di recitare del tutto quella parte. L'ammiccante ambiguità nel riconoscersi e al tempo stesso rinnegare i propri personaggi, in un gioco di specchi quasi pirandelliano: io sono colui che mi si crede. Teatro primo di questa sua inimitabile grandezza della mediocrità tanto sullo scheimo quanto nella vita reale, resta il capitolo delle donne. Sfiiggente, intrigante. Fosse stato un autentico misogino, lo si sarebbe potuto prendere di petto. Cuore, coscienza e nervi alla mano. E invece no. Lo scapolo incallito, un po' per viltà e un po' per coraggio, le donne le teneva nascoste. All'ombra di sé e della propria spensierata solitudine. Non le odiava affatto, ma nemmeno le amava. Non si sposò per non cadere in quella rete coniugale che oggi come oggi si smaglia con la facilità di un lavoro incompiuto all'uncinetto. Il suo non fu un celibato di rabbia o frustrazione ma di sovrana indifferenza, che d'altro canto si guardò bene dal trasformare in gaudente vocazione a sciuparle, le femmine. Tenacemente fedele a quell'aurea via di mezzo. Sordi ha incarnato con potenza creativa un'ipocrisia che non è né vizio né virtù, ma un tarlo nella coscienza. elena.loewenthal@lastampa.it
Persone citate: Alberto Sordi, Papà Gambalunga
Luoghi citati: Italia
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