Il «massimo» di Bach di Leonardo Osella

Il «massimo» di Bach Il «massimo» di Bach La «Messa in si minore» chiude la triade di concerti diretti da Tate LA «Messa in si minore per soli, coro e orchestra» di Bach gode del più incondizionato consenso: si pensi che ai primi dell'800 Karl Friedrich Zelter, che con Mendelssohn fu promotore della riscoperta del musicista, la definiva «il più grande capolavoro che si sia mai veduto al mondo». Ora tal monumento approda al Lingotto per la stagione dell'Orchestra Sinfonica Nazionale Rai: gh appuntamenti sono giovedì 20 alle 20,30 e venerdì 21 alle 21. Con questa «Messa» si chiude la triade di concerti dirètti da Jeffiey Tate, ' che a Torino ama affiontare partiture di ampio respiro e imponente oi^ganico. Nel caso, oltre naturalmente all'Orchestra (che, nei passaggi tripudianti, vedrà la partecipazione di Tamàs Velenczei, prima tromba dei Berliner), ha impegnativo compito il coro, che sarà il Filarmonico Ruggero Maghini di Torino, sempre più convincente, sotto la guida di Claudio Chiavazza. A loro si uniranno, come voci soliste, il soprano Juliane Banse, il contralto Katja Lytting, il tenore Steve Davislin, i bassi Christian Gehaher e Franz-Joseph Selig. Inserita in catalogo con la sigla BWV.232 e completata tra il 1748 e il 1749, la «Messa» consta di quattro parti scritte in tempi diversi, addirittura fin dal 1724 per quanto riguarda il «Sanctus» e il 1733 per il «Kyrie» e il «Gloria». Eppure nell'insieme si evidenzia un carattere di razionale unitarietà tale che Alberto Basso ha parla¬ to di «aggregazione naturale di sostanze varie» e di «concrezione o condensazione di elementi stilistici affini oppure contrapposti». In effetti si tratta, per la maggior parte dei 27 numeri di cui consta la partitura, di parodie, vale a dire riprese e rifacimenti di pagine nate appunto in precedenza e per svariate circostanze, e in seguito adattate alle necessità nuove. La compattezza espressiva e architettonica fa il p? ri con l'ideale sintesi confessionale della «Messa», la cui genesi avvenne a Lipsia, città luterana ma facente parte della Sassonia il cui duca Federico Augusto I aveva abbracciato la fede cattolica per acquisire la corona di Polonia. Così a Bach riesce un mirabile equilibrio che lo studioso Gianfranco Ravasi ha così definito: «I due riti e le due confessioni cristiane erano coniugati in un unico coipo di suprema bellezza: la cattolica teologia della gloria e quelia luterana della croce si fondevano in un'armonia trascendente ed ecumenica». Un altro elemento unificante è ovviamente il magistero tecnico supremo di un Bach che, avanti con gh anni, si astraeva nella speculazione pura della «musicamatematica» come emblema dell'armonia universale: dalle «Variazioni Goldbeig» del 1742 all'«Offerta Musicale» del 1747 fino all'«Arte della Fuga» che lo impegnò fino aliamone, sopraggiunta nel 1750. Leonardo Osella

Luoghi citati: Polonia, Sassonia, Torino