Il filosofo contesta le presunte verità della matematica di Franca D'agostini

Il filosofo contesta le presunte verità della matematica Il filosofo contesta le presunte verità della matematica RECENSIONE Franca D'Agostini ALL'INIZIO del mondo, prima dell'esplosione galattica da cui probabilmente nacque la Terra, non c'era neppure l'idea di uno sguardo umano (salvo forse nell'annoiata men^e di Dio), non c'erano i continenti raggrinziti e le valh colme di oceani, e la pallida luna dal verecondo raggio, ma c'erano i numeri. Da qualche parte tuttora non identificata c'erano i logaritmi e le equazioni di sesto grado, c'erano il teorema di Pitagora, i triangoli equilateri e gli angoli ottusi. Sembra l'ipotesi inverosimile di un affrettato lettore di Platone, eppure è una posizione filosofica considerata rispettabile, una delle "ontologie matematiche" più accreditate: i numeri non soltanto esistono oggettivamente, al di là di ogni pensiero e costruzione umana, ma esistevano già e sono sempre esistiti prima della stessa comparsa della vita sulla Terra, ed esisteranno ancora indisturbati quando della vita dell'uomo - questo elaborato disguido dei ritmi cosmici - non ci sarà più traccia. Naturalmente si ha qualche difficoltà nel vedere la ragionevolezza di una simile ipotesi: posto anche che prima di noi ci fossero i numeri e i triangoli equilateri e tutto il resto, chi ci dice che è così? Quel che sappiamo per certo, è che c'è un comportamento oggettivo degli enti matematici, e che molto lavoro dei matematici consiste anzitutto nello scoprire certi fatti oggettivi; ma sappiamo anche che se non avessimo inventato anzitutto certi linguaggi, certi nomi, certe strutture eh riferimento, e se non avessimo certi organi di senso che rendono per noi istintivo e inevitabile e utile il vedere cose, e l'enumerarle e nominarle, questi "fatti" oggettivi non esisterebbero affatto. Insomma: la matematica è entro certi termini oggettiva e necessaria, ma la sua è una necessità a posteriori, e condizionata. Sì, è vero, "c'è" il teorema di Pitagora, ma "c'è" perché abbiamo inventato e disegnato uh sacco di cose che tutte insieme fanno la geometria, e abbiamo inventato cjueste "cose" perché nella nostra storia evolutiva avevamo bisogno di orientarci nel mondo, e capire e organizzare la realtà. Questa posizione sembra più ragionevole. Il suo risultato è una matematica dal volto umano, in cui certamente resta qualche scintilla divina (per esempio nella stravaganza dì una necessità che nasce da fatti del tutto contingenti, da cose che potrebbero essere molto diverse da come sono), ma su uno sfondo eh continuità, che riporta la scienza dei numeri, delle strutture, delle categorie ad essere sorella tra le scienze, e non scienza speciale, madre e sovrana di tutte le altre. E (juesta è (con qualche differenza) l'immagine della matematica che emerge nel libro di Carlo Cellucci, il cui pacato titolo. Filosofia e matematica, nasconde in realtà una durissima critica di molti luoghi comuni della ricerca filosofica contemporanea. Il libro riprende alcuni temi di un precedente e altrettanto polemico lavoro dell'autore. Le ragioni della logica, del 1998, e applica alla filosofia della matematica la critica del "fondazionalismo" che là veniva lanciata. Conviene subito dire che, contrariamente a ogni aspettativa, questo testo di Cellucci è di facilissima lettura, anzitutto perché l'autore dice subito in sintesi e con estrema semplicità (forse proprio l'eccessiva semplificazione dei problemi e delle alternative può essere considerato un limite del lavoro) tutto quel che vuole dirci; in secondo luogo perché la teoria (nella pars destnaens come nella construens) si sviluppa in una serie di brevissimi capitoletti, ciascuno dei cpiali tocca temi circoscritti, e contiene precise esemplificazioni. La struttura del discorso è facilmente ricostruibile. Cellucci individua come "fondazionalismo" una filosofia della matematica basata su alcune idee di fondo, di natura eminentemente pregiudiziale: che la matematica sia un corpo di verità assolute, e che abbia particolari requisiti eh purezza ed esemplarità; che la filosofia della matematica sia una disciplina specializzata e a sé, basata sulla logica, e interessata in modo prioritario alla ricerca dei fondamenti; che la matematica sia dimostrazione di teoremi, e non soluzione di problemi; che il metodo proprio della matematica sia assiomatico, e la sua logica sia deduttiva; che il processo della scoperta in matematica sia sostanzialmente irrazionale e intuitivo, e pertanto non interessante dal punto di vista filosofico; infine: che la matematica si basi sul pensiero concettuale, ossia non coinvolga in nessun modo la percezione. A tali tesi sistematicamente l'autore contrappone tesi opposte: pur avendo contenuti oggettivi, la matematica non contiene "verità", essa è anzi soggetta all'aleatorietà e all'impurità caratteristica di ogni sapere umano; la filosofia della matematica non è una disciplina a sé, ma si collega alla teoria generale della conoscenza; la filosofia della matematica non è interessata in modo prioritario ai fondamenti o alla giustificazione, ma a tutto l'ambito dell'esperienza matematica, con particolare riferimento alla scoperta; la matematica è soluzione di problemi, e non dimostrazione; il metodo della matematica non è affatto assiomatico (questo è il basilare errore che secondo Cellucci ha generato una quantità di equivoci e un fatale impoverimento del dibattito), e la sua logica non è deduttiva: la matematica procede induttivamente, e per ipotesi; il processo della scoperta non è affatto irrazionale né tantomeno intuitivo (intui- zione, dice giustamente Cellucci, è un nome per indicare un problema lasciato irrisolto), ma è razionale e ricostruibile; la conoscenza matematica non è solo concettuale ma anche, si direbbe, "figurale": si serve in modo decisivo di immagini, e della percezione di tah immagini, e eh esperienze sensibili. L'insieme delinea un quaeho del tutto razionale. È vero che Cellucci insiste molto sui teoremi di incompletezza di Godei, che a suo avviso ci obbligano a dire "nel nostro mondo dominato dalla precarietà ogni certezza è un inganno", ma la sua posizione non va confusa con quelle forme di generico "gòdelismo" che si sono moltiplicate in anni recenti, e che sono basate su una sconsiderata retorica dell'indeterminatezza e dell'anything goes. Al contrario, Cellucci ha un preciso programma teorico, e una idea precisa di quel che è la matematica, e di quel che può essere la filosofia che se ne occupa. La sua operazione non toglie rigore alla ricerca, ma se mai restituisce alla filosofia i diritti che la logica (assiomatica) le avrebbe sottratto. Forse qualche dubbio si può avanzare suU'impostazione generale del libro. Se ogni conoscenza che abbiamo è solo probabile, non dovrebbe essere solo probabile anche l'immagine probabilistica della matematica, che Cellucci sembra invece considerare assolutamente vera? Così questo rigoroso antifondazionalismo rischia di essere sostenuto da una metateoria duramente fondazionale (può non essere sbagliato, ma occorre misurarsi con il problema). Inoltre, Cellucci considera secondaria la questione dell'esistenza degli enti matematici, da cui siamo partiti: eppure, anche in questo ambito la sua visione della matematica potrebbe dare buoni frutti, consolidando e perfezionando l'idea della scienza esatta come "necessità a posteriori" che è probabilmente la migliore risposta alla mistica dei numeri etemi. Carb Cellucci Filosofia e matematica Laterza, pp. 383, ^ 25 SAGGIO Come ogni sapere umano anche la scienza dei numeri è soggetta all'aleatorietà, è soluzione di problemi e non dimostrazione, non ha logica deduttiva ma procede per ipotesi