E Monti cantò a Napoleone le glorie del passato di Giuseppe Marcenaro
E Monti cantò a Napoleone le glorie del passato «IL BARDO DELLA SELVA NÉRA» NELL'EDIZIONE DEL 1806 STAMPATA A PARMA DA BODONI: UN POEMA NELLA BIBLIOTECA DI SANT'ELENA E Monti cantò a Napoleone le glorie del passato t'INEDITO Giuseppe Marcenaro ANCORA una scritta dentro a un libro, una memoria che rende unico un esemplare del Bardo della Selva Nera, di Vincenzo Monti, nell'edizione del 1806 stampata a Parma da Bodoni. «Questo volume faceva parte della Biblioteca di Napoleone I a SantElena. Mio zio, Domenico Berti, lo ebbe in dono dal marchese Gioacchino Pepoli pronipote di Carolina Bonaparte e di Gioacchino Murat, re di Napoli...». Uno scettico, memore del rigoroso controllo esercitato da Sir Hudson Lowe sull'isola di SantElena, dove al tempo dell'esilio deU'imperatore non entrava e non usava uno spillo, se non autorizzato dall' implacabile custode di Napoleone, potrebbe sostenere che si tratti di una sublime palla storica. Eppure un groviglio di piccole verità concorrono a rendere credibile la storia di un libro. Di questo libro. Il Bardo della Selva Nera è un caso a parte nell'opera di Monti. Del poema uscirono soltanto sei canti. Quelli impressi da Bodoni; e, salvo alcuni frammenti, il disegno generale restò incompiuto. Monti aveva affrontato l'impresa di can¬ tare le gesta di Napoleone sul!' esempio degh antichi aedi. Il poema doveva soddisfare il desiderio dell'imperatore di veder esaltate in poesia le sue campagne. Ogni combattente, nella celebrazione eroica, avrebbe potuto riconoscersi. Monti «inventò» una neomitologia seguendo i poemi fantastici e tenebrosi di Ossian, una delle letture predilette da Napoleone. Nessuno può negarsi il piacere di pensare Napoleone a SantElena, avvolto in un cappotto consumato, in testa il fazzoletto di indiana ressa - quello die usava nel lavoro del gerbido giardino attorno alla casa di Longwood - al riparo dal perenne vento dell'isola. la schiena protetta da un grosso ciuffo di lino con le foghe battenti come spade dì legno, immergersi, disilluso, nei versi di Monti evocanti le sue glorie. Quando tornava alla realtà e alzava gh occhi dal libro, verso la zona del Great Wood, dove crescevano rari ebani, alberi della gomma e altre piante senza nome, scorgeva in lontananza il profilo cupo del monte Barn. I trionfi del passato trovavano ormai l'unico riflesso nei versi d'occasione dedicati con fervore da Monti «alla maestà imperiale e reale di Napoleone il Grande». L'arcigno Sir Lowe lo controllava a distanza col binocolo, Si rivolgeva a Bonaparte con l'appellativo di generale, negandogli la maestà. Il custode inglese mutò nella neme- si di Napoleone. Curioso sicuramente di cosa leggesse con così tanto fervore il suo prigioniero. H 12 aprile 1821, pochi giorni prima della morte. Napoleone fece testamento. Lasciò danaro ad alcuni; e i pochi oggetti a lui consentiti dalia sorte nella più sperduta isola dell'Atlantico: per la madre un orologio con suoneria, dei pizzi alla moglie Maria Luigia, alcune medaglie alla sorella Carolina. Inoltre ogni componente della famigha doveva ricevere «un cerchietto dei suoi capelli». .Prese da lì, probabilmente, la leggendaria seminagione dei cime- h napoleonici di SantElena, da allora moltiplicati per il mondo: dalla camicia funebre al prepuzio. Il 24 maggio i francesi e i domestici che avevano seguito l'imperatore nel definitivo esilio, lasciarono l'isola. Con loro partirono quaranta casse dove, per graziosa concessione di Lowe, avevano potuto imballare guanto desiderassero della casa di Longwood. In mezzo a piatti, masserizie varie, involti di mussola bianca, alcuni libri. In mezzo alla discarica imperiale, quasi sicuramente, le glorie napoleoniche «tradotte» in versi da Vincenzo Monti. 5mancenaro@KbCTio.1t Vincenzo Monti
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