ASSALTO ai TRENI Una notte con i disobbedienti

ASSALTO ai TRENI Una notte con i disobbedienti MESSUN FURORE ANCHE QUANDO ARRIVANO I CARABINIERI E SGOMBERANO: OGNUNO FA IL SUO LAVORO ASSALTO ai TRENI Una notte con i disobbedienti reportage AldoCazzullo inviato a PISA CINQUANTA insonnoliti guerrieri. Temperatura da Transiberiana, eppur bisogna andar. Fa freddo anche nel quartier generale di Rifondazione comunista, Pisa, via Garofani quasi all'angolo con via Aldo Capitini, nome fatale. Si combatte per la pace. Da tre giorni: la battaglia dei treni. Le truppe avrebbero bisogno di riposo. Ma già i commilitoni di Bologna annunciano che un altro convoglio di armi americane sta per arrivare. Il comandante nemico, che è un generale vero, capo della guarnigione di Camp Darby, dice che di treni non ce ne sono più. «Mente» sostiene Anubi Lussurgiu D'Avossa, nome proprio non di battagha. «In tutto ci risultano 22 convogU. Ne sono arrivati quattro. Gli altri li fermeremo noi». Forse. Mezzanotte. I Disobbedienti attendono al calore delle sigarette; l'unico sigaro è dell'unico anziano, in eskimo e basco, cattivo maestro direbbe il presidente della Camera; non si vedono spinelli. Hanno tra venti e trent'anni. Anubi è il loro portavoce. Il capo si chiama Nicola Fratoianni. I due si assomigliano: capelli neri, un accenno di barba, orecchino. Gli altri parlano poco, anche perché sono molto stanchi. Studenti della Nonnaie, operai di Lucca, disoccupati di Firenze. Alle pareti ritratto di Lenin accanto a Bertinotti in comizio. Da Napoli è arrivato Francesco Caruso con quattro compagni: «Mi hanno messo in galera, continuano a rifilarmi condanne, mi hanno pure licenziato». Titolo su Libero in uscita nelle edicole: «Grazie a un decreto Diliberto-D Alema immunità ai teppisti antiUsa». L'America è anche qui, come dappertutto. Nelle scarpe Nike. Nel linguaggio, nella musica ascoltata, nei film visti. L'altra America, direbbero. Un manifesto rilancia un proclama del subcomandante Marcos, ultimamente un po' desaparecido: «Questa è la guerra della paura. La paura di questa essenza dell'essere umano che si chiama ribellione». A fianco ingiallisce un tazebao di Rifondazione contro le liste civetta. Ecco il poster con cui i No War hannotappe^zato una città già pavesata dalle bandiere della pace: «Disobbedisci, blocca, diserta». Vettovaglie per la notte che si annuncia da tregenda: schiacciatina, finocchiona. Ne avanzerà, i ragazzi sono magri. Fiaschi di vino da cinque litri, opportunamente già svuotati. Macchina del caffé. E' una mutazione rispetto a dieci anni fa. I disobbedienti di oggi sono molto diversi dai fratelli maggiori che a Torino alla prima della pièce per Sofri diedero della fascista a Franca Rame e fece¬ ro arrabbiare Dario Fo. Non covano l'ansia eversiva che portò agli attentati in Val di Susa e ai suicidi in carcere. E' lontana anche Genova, la violenza il sangue la paura. Le Tute bianche non si chiamano più così. Allora la rappresentazione prese le forme della tragedia. Stasera non ci sono i segni. E non solo perché il nemico è troppo superiore per numero e mezzi. Telefonano i compa;ni da Bologna: in cinquanta hanno toccato la stazione di San Ruffillo, sulla linea per Firenze, in attesa del treno delle armi. Li fronteggiano cinquanta blindati della polizia, unopermanifestante. «Nonsembrano esserci margini di trattativa» informano i Disobbedienti. Non sembrano. Titolo sollevato dell'editoriale di Libero: «Ma c'è un modo per arrestarli». Caruso: «Le navi americane non attraccheranno mai a Napoli. E se dovessero mai attraccare, nonripartiranno». Del convoglio maledetto ancora nessuna notizia. Quelli del «Vicenza Train Wachting» lo danno già parti¬ to. A Bologna ancora non si vede. Il computer rilancia le istruzioni di Indymedia, ma qui al boicottaggio non si dà molto peso. E' la testimonianza che conta. La rappresentazione del dissenso. Un ragazzo in kefiah rossa bacia la fidanzata. Arrivano le bottiglie di birra. Atmosfera da gita scolastica triste. Trecce rasta, sciaiponi arcobaleno autoprodotti; guardato con sospetto un dandy con basco grigio a scacchi, sciarpa in tinta e guanti di pelle nera. Ai leader i ragazzi dedicano qualche parola distratta. Nessuno scalda i cuori. Piace ovviamente Bertinotti. Cofferati non emoziona. Impronunciabili i nomi dei Ds. Di Moretti quasi nessuno ha visto un film. In caduta libera Agnoletto, tanto più da quando ha aperto il dialogo con Boselh. I veri leader sono i preti. Un poster inneggia a padre Alex Zanotelli. Inspiegabile assenza di don Vitaliano. Manifesto dell'Intifada. Segni del culto della memoria di Carlo Giuliani. Casarini si è reso irreperibile: «Sono nel Nord-Est» dice solo vagamente al telefonino. Altro titolo di Libero: «Lo zio giusto di Agnoletto: "Io sto dalla parte di Israele"». Caruso ha dichiarato: «Disabiliteremo i radara. Poi ha preso sonno. Sono le 3 del mattino e spunta la prima branda, i quotidiani con le gesta del giorno prima fanno da coperta. Paolo fotografa l'amica addormentata; nessuno fa le coma. Tappeto di mozziconi. Felpe da rappef. Giacconi Colmar da alta montagna, che tornano utilissimi. Una macchina gira per le stazioni di Pisa, centrale San Rossore Camp Darby, a caccia di treni fantasma. Sono pronte a intervenire anche le organizzazioni alleate, i gandhiani del Gruppo di azione non violenta, i duri di Newroz, nome mutuato dal Capodanno curdo; Pisa colta e tollerante, tutti in bicicletta, studenti, professori e vigili urbani, Pisa confusa e promiscua, corso Italia la via dei negozi costellata dai mendicanti punk, Pisa supporta o almeno sopporta questa mimesi degh Anni Settanta. I luoghi sono quelli, qui tirò la sua molotov pure D'Alema (ma Pietrostefani nega), anche allora si andava a protestare davanti a Camp Darby, e i gruppi dell'estrema sinistra difendevano i barboni della stazione pestati periodicamente dai para. Dietro via dei Garofani c'è il lungarno Gambacorti dove «gh sbirri dello Stato» come cantavano i ragazzi di Lotta continua uccisero a botte Franco Serantini, «poi dopo nelle mani/ di Zanca e di Maliarde/ continuano quei cani/ continuano a pestarlo»; era il 7 maggio 1972, giorno delle elezioni, cinque giorni prima del comizio dove Leonardo Marino afferma di aver ricevuto il mandato di uccidere. Il don Bosco dov'è rinchiuso Adriano Sofri è dall' altra parte dell'Amo. Cinque anni dopo, il 30 marzo 1977, al medico del carcere di Pisa che a Serantini non aveva trovato nulla di grave spararono tre colpi, due alle gambe uno al torace; ne uscì vivo per caso; all'Ansa arrivò una telefonata, «questa mattina a Pisa abbiamo reso giustizia a Franco Serantini». Scenari buoni oggi per i battibecchi tra politici via comunicato stampa. La maggior parte qui non era ancora nata. Allora finì per manifestarsi la violenza a lungo evocata, minaccia- ta, promessa. Questi sono molto preoccupati perché alla stazione di Fomovo un motorino è finito sui cavi elettrici e insomma «c'è stato un po' di casino». Ovviamente: «Non dobbiamo cadere nelle provocazioni!». Notizie dalle staffette. I treni delle armi sono due, più uno di scorta carico di poliziotti. Passati senza colpo ferire. «Sveglia ragazzi, adesso tocca a noi». Si decide di non portare Caruso; proprio ieri ha appreso di un altra condanna, si preferisce evitargli guai. Si va. Sono le 4. Corteo di macchine di piccola cilindrata, più una vecchia moto Bmw. Mistero sulla destinazione. L'avanguardia da seguire è una Clio. Avvertimenti: «A Prato ronde dei carabinieri». Stazione di Cascina, tra Pisa e Pontedera. Cinque gradi sottozero. C'è solo una volante di presidio. Anubi, Nicola, Niccolò Pecorini segretario di Rifondazione a Firenze e altri sette si incatenano svelti ai binari. Gh altri occupano la stazione. E' un attimo. Arrivano in 500. Il rapporto è di 10 a uno; non c'è partita. Poliziotti e carabinieri sono rapidi e silenziosi. Il comandante dice solo: «Cesoie!», come un chirurgo. Le catene vanno a pezzi, i Disobbedienti sono portati via di peso. Non c'è traccia di odio, violenza, ostilità. Ognuno fa il suo mestiere. La sua parte nella rappresentazione. Passa il treno di scorta, x)i il primo convoglio : jeep, cateipilar, blindati leggeri con la sigla K-Force. Siamo ancora al Kosovo, a Camp Darby saranno ribattezzati per l'Iraq. Si spengono le luminarie rosse dei Disobbedienti. Prima del secondo convogho passa un treno di pendolari, il naso ai finestrini, incuriositi. Urlo nel megafono: «Cittadini di Cascina, disobbedite, unitevi a noi!». Coro dei No War a mani alzate: «Macchinisti, disobbedite, unitevi a noi!». Ritirata. Sono le 5 passate. Anubi fa il ..onto: «E con questo sono sei convogh. Se non altro li abbiamo rallentati, ui ^uoi che minuto. Ne mancano dodici. Domani mobilitazione nazionale. Già si sente dire che gh americani rinunceranno, e porteranno le armi in Turchia via terra» per fare la guerra, quella vera. Albeggia. Fuori dal quartier generale di via Garofani, di fronte aUa saracinesca abbassata, attende smarrito un ragazzo molto alto e magro, mani sporche, capelli biondi lunghi, occhi chiari, barba stentata. Chiede aiuto: ha lasciato lo zaino dentro e nessuno gh apre. Si presenta come «un elfo». In effetti l'ora è tarda. «Cos'hai capito? Gh elfi esistono. Io mi chiamo Nicola». Si definiscono neorurali: vita a contatto con la natura, «autoproduzione», che sarebbe poi la cura dell'orto e la tessitura, riduzione dei consumi. C'erano anche a Genova al G-8, facevano pizze in un forno di pietra. Nicola viene da Domodossola, valle Antroua, in rappresentanza di una comune di sette elfi. «Sono qui per disobbedire». La prossima notte. Una cinquantina di insonnoliti guerrieri rinuncia a dormire: allievi della Normale, operai di Lucca, disoccupati di Firenze. Freddo da Transiberiana, foto di Lenin, tante Nike ai piedi «Sappiamo di ventidue convogli, li aspettiamo» Repubblica ' San Marino«|p: URBINO Poliziotti cercano di impedire il blocco dei treni alla stazione della Cascina, vicino a Pisa