La leggenda della farfalla nata nel '43 di Gigi Garanzini

La leggenda della farfalla nata nel '43 IN ZONA GARANZINi La leggenda della farfalla nata nel '43 Gigi Garanzini OGGI Gigi Meroni avrebbe compiuto sessant'anni. Tanti per una farfalla. Troppi. Pensate, Meroni alle soghe della terza età. A fare i conti cori i capelli che imbiancano, gli estri che un po' alla volta si spengono, il conteggio dei contributi per la pensione. Gigi Meroni. La soffitta da bohémien, i ritratti della sua Cristiana, quei gilè impossibili con cui amava andare a passeggio, con tanto di gallina al guinzaglio, per i portici di via Roma. E il '68 di là da venire, e una vocazione calcistica che lo costringeva a fare i conti con un mondo abituato a mettere al bando le stranezze. Senza nemmeno discuterle. Senza sforzarsi di capirle. Com'è buffa la vita. Ieri l'altro, in un sol colpo, sono retrocessi il Como e il Torino. La squadra in cui Gigi era cresciuto e quella in cui era definitivamente diventato campione, dopo la bella parentesi genoana. Dove saremmo andati a cercarlo per un doppio amarcord strappacuore? Non certo in un ufficio dirigenziale, o su una panchina, o peggio in uno studio tv. Nessun dubbio che il calcio di oggi gli avrebbe fatto orrore, e se ne sarebbe tenuto lontano. Forse su un'isola, forse in un'altra soffitta, forse in un atelier alla sua maniera, tra pennelli e tavolozze, in mezzo a una marea di quadri che per quanto potessero valere lui avrebbe certamente regalato agh amici, perché a venderli son buoni tutti. Anche a vivere da conformisti eran buoni tutti, in quella metà degli Anni 60. Con i capelli corti sul collo, l'abito della festa, i calzettoni tesi sui parastinchi. La faccia che fece paròn Rocco quando gli dissero che Pianelli si era svenato per Meroni, 450 milioni al Genoa. Invece mai uno screzio, mai un problema. Da uccellino Hamrin alla farfalla Meroni, il paròn sapeva riconoscere il talento, anche a dispetto della stazza che pure rappresentava il suo primo parametro: pensassero 1 Ferrini e i Cereser a proteggere lo scricciolo dai gradassi. Che giocatore. Che leggerezza, che vivacità, che gusto per il dribbling. Come fare a non innamorarsi di un talento così? Se ne innamorò anche l'Avvocato, giusto l'ultima estate. O forse poco prima, quando una magia di Meroni a San Siro, Pacchetti messo a sedere da una finta e Sarti stregato dal destro a girare sul palo lontano, mise fine all'interminabile imbattibihtà casalinga deh Inter di Herrera: e pose le premesse della beffa mantovana di qualche settimana più tardi. Il buon Pianelli si convinse al sacrificio. Ma la voce girò prima del dovuto, e il popolo granata scese sul piede di guerra. Senza letame, per carità, senza fumogeni né spranghe; non erano ancora i tempi demenziali che stiamo vivendo. Pianelli si scusò, la Juventus capì e si contentò dell'altra ala granata, buon giocatore, stesso nome di battesimo. Luigi da cui Gigi, ma non Meroni: Simoni. Quanti ricordi in così poco tempo, cara la mia farfalla. Compreso quel 4-0 alla Juve coi tre gol di Combin, quattro giomi dopo che Vieri, Poletti e Ferrini t'avevano portato in spalla tra le lacrime. Mora usava ancora la catarsi. Oggi nemmeno di quella c'è più speranza.