Il carceriere: «lo sono un depresso e verrò messo in croce»

Il carceriere: «lo sono un depresso e verrò messo in croce» ARMANDO BONGINI, SFINITO DALLA LOQUACITÀ DI DASSOGNO, ALLA FINE HA CEDUTO E HA LIBERATO LO STUDENTE DI ECONOMIA Il carceriere: «lo sono un depresso e verrò messo in croce» Il dialogo surreale tra un balordo con la terza media e un ricco ragazzo di buona famiglia retroscena Brunella Giovara dall'inviata a SONDRIO ALLA fine io verrò messo in croce, e tu no». Dialogo tra il bandito Bongini e l'ostaggio Dassogno, all'alba di martedì scorso. Poco dopo, sfinito dalla loquacità del giovane studente in Econofaia e commercio all'università di Pavia, il pregiudicato con la terza media dirà «Vabbé, ti lascio libero». Non ne poteva più, era stanco e sfiduciato. «Sono un depresso», spiegava alla sua vittima, «e per di più ho un sacco di debiti». In più, si trovava a dover fronteggiai-e un ragazzo con l'erre moscia che sì, appariva assai sfortunato nella vita, e gli raccontava in un «bla bla» continuo dei moltissimi interventi chirurgici affrontati per riuscire almeno a stare in piedi... ma che pure, nonostante quell'handicap così devastante, sfrecciava bellamente per il paese a bordo di una bellissima Mercedes due posti. E che ora, accovacciato in quel covo improvvisato, se ne stava ben caldo nel suo maglione di vero cachemire. Abitando in una villa con campo da tennis, donna di servizio, mamma Maria Cristina e papà Alberto molto affettuosi, carte di credito, molti soldi suoi, «te li darò, ho 200 mila euro miei personah, basta che mi lasci andare». E lui, invece. Casa in affitto, soldi niente. Niente donne. Una giacca di pelle, modello demodé. Un Nissan Patrol e una Golf famigliare, che insieme non fanno una Mercedes Slk da 50 mila euro. Una mamma che si chiama Abissinia Carmine, nata a Pietrelcina, devota di padre Pio e della madonna. Papà morto, faceva il muratore. «Questa casa Iha costruita mio marito con le sue mari», diceva ieri la signora Abissinia seduta nella cucina di casa sua, sotto un quadro della Madonna. Ma lei ci crede, che sia stato Armando? «Io no, non è il tipo. Mio figlio è solo tanto sfortunato...». Però ha confessato. «Io non me lo spiego, signora mia. L'avranno incastrato come l'altra volta? Penso di sì, e non ci credo proprio, che abbia fatto una cosa del genere». Altre cose, sì. Accusato del furto di 900 milioni dalla banca che avrebbe dovuto difendere, nella sua veste di guardia giurata. Lo trovarono tramortito, gh diedero del deficiente per essersi lasciato dribblare dai ladri, poi sospettarono di lui, infine lo condannarono: 2 anni e 7 mesi, per simulazione di reato e concorso in furto. E dopo, ima storia peggiore. L'accusa di aver ucciso a sprangate (23 colpi) lo studente dell'università Bocconi, Renato De Luis, trovato ammazzato in un garage di Tirano il 18 dicembre '94. Assolto fin in Cassazione, però inseguito per sempre da quella storia di sangue. In paese lo conoscono come «quello che ha ammazzato lo studente», non c'è Cassazione che tenga. Lo studente Tommaso Dasso¬ gno invece non lo conosceva per niente, il Bongini. Né per la storia del furto alla banca e nemmeno perla storia di Tirano. «Mai visto prima, mai visto proprio». Subito dopo la liberazione gli aveva dato del «dilettante», parola testuale. E Bongini, che già si sentiva come una lepre inseguita dai cani, lo aveva visto in televisione dargli dell'incapace, dopo tutte le confidenze che si erano fatte a tu per tu, nel covo. Ieri non ha visto la televisione. Gliel'avessero data, in galera, avrebbe sentito Dassogito affondare il coltello nella piaga: «Nella sfortuna di essere sequestrato, ho avuto la fortuna di entrare nella testa del mio rapitore, e di riuscire a capirlo. Per poi convincerlo a rimettermi in libertà con la promessa di dargli 200 mila euro». E ancora, sprezzante (e sempre con quell'erre moscia): «Mi angoscia ancora di più sapere, a posteriori. i rischi che ho corso in mano a un sequestratore sprovveduto, un dilettante allo sbaraglio». E dopo, lo ha sentito scusarsi nobilmente con quel poveraccio del Bianchini, il fruttivendolo riconosciuto in tv: «Sono altamente rammaricato di aver coinvolto persone estranee ai fatti». Un signore (con un golfino di cachemire di un delicato color albicocca). E lui, una semplice «lingia», come si definiscono in Valtellina i furbastri, i balordi. Incastrato da due tappi di cera, tra l'altro. «È stata un'inchiesta deheata», racconta il procuratore Avella. Con quello che definisce «il metodo del camaleonte. Mimetizzarsi, starsene lì fermi fermi, immobili... E al momento giusto zac! la lingua scatta in avanti e il camaleonte si mangia la mosca». Così è andata, con quella mosca del Bongini, balordo di Berbenno, depresso e in crisi esistenziale, senza donna e senza soldi. Mentre il giudice lo condannava per il furto in banca, si era prodotto in un ghigno beffardo, sul modello del bandito Cavaliere, quello degli Anni '60. Ma gli era venuto male, sembrava un inizio di pianto. Il rapito: «Ho avuto la fortuna di riuscire a capirlo, comunque ero in mano a un dilettante allo sbaraglio»

Luoghi citati: Abissinia Carmine, Berbenno, Pavia, Pietrelcina, Sondrio, Tirano