AL JAZEERA doppio gioco di Enzo Bettiza

AL JAZEERA doppio gioco LA «CNN DELLA MEZZALUNA», CHE HA SEDE NEL PIÙ PICCOLO STATO DEL MONDO ARABO, È DIVENTATA UNA CELEBRITÀ ALL'INSEGNA DELLA DOPPIEZZA AL JAZEERA doppio gioco Enzo Bettiza AL Jazeera oppure Al Jazira? Moschea mediatica di omelie e fatwe islamista, oppure moderna impresa di comunicazione animata soprattutto da impulsi e mire commerciali? Megafono di Allah, oppure pioniera dell'informazione libera nel mondo arabo? E' all'insegna della doppiezza assoluta che la cosiddetta «Cnn della Mezzaluna fertile» ha prosperato, si è arricchita, è diventata una celebrità intemazionale e voce quasi sacra nell'universo popolare musulmano. Le fortune degli scoop eccezionab, che le hanno fruttato un prestigio funereo e milioni di dollari, corrono quasi tutte sul filo dell' orrore. Prima le orazioni di morte trasmesse per videocassetta, fin dal dicembre 2001, da un minaccioso e inafferrabile Osama Bin Laden. Poi lo spettro postumo di Ahmed al Haznawi, attentatore suicida delle Torri gemelle, che ancora vivo proclamava in un videoclip che «è tempo di uccidere gli americani nella loro terra natale». Infine l'ultimo «certificato di esistenza in vita», vidimato a metà febbraio dalla presunta voce di Osama, che dall'etere ha incastrato Saddam tagliandob alle spalle le residue possibilità d'esilio e obbligandolo al sacrificio nei palazzi blindati di Bagdad. Nell'ambiguità della famosa emittente si rispecchiano quelle del piccolissimo emirato dove essa opera e del ricchissimo emiro che l'ha fondata nel 1995. Al Jazeera significa penisola. L'emirato del Qatar, governato dallo spregiudicato cercbiobottista Hamad Ibn Kalifa, salito al trono spodestando il padre, è una penisola del Golfo di appena undicimila chilometri quadrati che però galleggia, letteralmente, su un mare di petrolio. L'ambiguità si riveste qui di estrema paradossalità. Mentre la Cnn è l'emittente quasi ufficiosa della massima superpotenza mondiale. Al Jazeera, la cui redazione originaria era nata nella Riad saudita, è oggi portavoce quasi ufficiale del più piccolo Stato del mondo arabico. L'hanno via via chiamata «antenna di Osama», «antenna del terrore», «antenna di Saddam». Ma dalle finestre della sede centrale di Doha - dove lavorano giornaliste in eleganti tailleur, segretarie intabarrate in veli luttuosi, impiegati in jeans e altri in costume beduino, appena scesi si direbbe dal cammello al computer - si possono vedere le strutture della principale base americana nel Golfo: torri, feritoie, sacchi di sabbia, cannoni, una pista di decollo lunga quattro chilometri. Si tratta della più imponente concentrazione di forze armate Usa nel Medio Oriente. Se sarà guerra, partirà da qui, dallo stesso luogo da cui partono le immagini televisive di Bin Laden e di Saddam, l'attacco massiccio delle truppe agli ordini del generale Franks. Tutte queste abnormi contraddizioni non sembrano scandalizzare i 600 mila abitanti del minuscolo emi- rato, che godono di relativo benessere e considerano il cinico emiro come un saggio politico e più ancora un abile uomo d'affari. Capire gli arabi non è facile. Non si riesce mai a percepire con chiarezza l'ondeggiante linea di confine che separa il fanatismo religioso, il desiderio di rivalsa verso l'Occidente, dal crudo realismo che può trasformare in ogni momento il virtuale guerriero in mercante. La stessa scalata di Al Jezeera al potere giornalistico e al successo appare simile a un intruglio di jihad e di affarismo mediatico. Il culto dello scoop vi si mescola ai culti del nazionalismo e dell'estremismo fondamentalista. Per rendersene conto bastano alcune date miliari. Nel 1998 l'esordio spettacolare: Al Jazeera è l'unica televisione a riprendere l'assalto statunitense a Bagdad dopo la partenza degli ispettori Onu. Nel 2000, anno di svolta dell'intifada, manda in onda per 18 ore di seguito la tragedia di un bambino palestinese ucciso dagli israeliani accanto al padre. Nel 2001 è sempre l'unica emittante a restare in Afghanistan allo scoppio della guerra. Nel 2002 trasmette ben dodici messaggi di Bin Laden attirandosi l'accusa di esseme la portavoce privilegiata. L'unicità, l'esclusiva assoluta, sono le armi vincenti di Al Jazeera nella concorrenza con le rivali occidentali. Suo cavallo di battagba diventa la centrali- tà intemazionale delle crisi mediorientali e degli. scontri tra Occidente e integralismo islamico. La Cnn sborsa cifre impressionanti per acquistarne i servizi speciali con icone e voci dei maggiori protagonisti del terrore. Si dice perfino che i tecnici del suono e dell'immagine della Cia abbiano trovato qualche utile collaborazione fra i dirigenti televisivi dell'emirato. I quali, da un lato, riscuotono il plauso e l'attenzione delle masse islamiche, ma dall'altro suscitano il disprezzo e spesso l'ostilità dei governanti regionali. I sauditi, che nei primi anni 90 scacciarono il nucleo fondatore di Al Jazeera, detestano fin da allora il monarca imprenditore qatariota che lo ospita, lo finanzia e lo fa crescere; i capi siriani e giordani ne mettono alla porta i corrispondenti; l'egiziano Mubarak, paragonando l'esiguità dell' emirato all'impatto planetario della sua antenna, la definisce «una rumorosa scatola di sardine». Tornano con insistenza sullo sfondo le solite domande: televisione libera o punta di lancia della jihad? Collaborazionista più o meno involontaria della Cia, alia quale fornisce con le sue misteriose videocassette date e dati utili per la caccia ai terroristi, oppure collaboratrice premeditata del terrorismo a cui offre una sterminata platea di spettatori e ammiratori musulmani? Come conciliare la sua militanza mediatica prò Saddam con la base americana, a un tiro di schioppo dalle sue finestre, da cui Bush potrebbe sferrare da un momento all'altro il colpo mortale contro Saddam? Come conciliare pei il programma La sharia e la vita, dove l'imam Oaradawi, guida spirituale della rete, parla apertamente di sesso e di pratiche sessuali, con il rigorismo della morale islamica? Rispondono gli enigmatici operatori di Al Jezeera (una legione straniera di algerini, tunisini, sauditi, egiziani, giordani, palestinesi, siriani):«Siamo il canale di Saddam, di Osama, della Cia, dei depravati, di tutti quanti insomma. Ma la verità è più semplice. Noi seguiamo le notizie cercando di arrivare prima degli altri. Diamo lezioni di vita cercando di insegnare meglio degli altri». Ed eccoci alle maledizioni acustiche scagliate contro l'America e l'Occidente, proprio in questi giorni, dall'invisibile Osama attraverso la televisione del Qatar. Tutti in Occidente hanno preso a chiedersi se la voce del «Signore del Male» era vera o falsa, se Osama era ancora vivo o no. Ma la vera questione resta un'altra: cioè il notevolissimo contributo di Al Jazeera all'alimentazione del culto e della leggenda di Bin Laden, vivo o morto che sia, nell'immaginario mistico delle moltitudini musulmane. La strategia e la mistica della comunicazione di massa di Al Jazeera sono riuscite, beatificandone l'immagine suggestiva e l'eloquio monocorde, a far risorgere dai secoli due miti profondamente radicati nella tradizione islamica. Il mito fondamentale, anzi fondamentalista, è quello Trs^ in cui Osama si ripropone 'isi cone la reincarnazione di ■SF Maometto nel costume e ST nell'azione. Al Jazeera ce lo ha mostrato più volte con lo stesso turbante bianco del Profeta, la stes.sa tunica lunga fino ai piedi, lo stesso braccio inerte come ferito in battaglia, la stessa predicazione religiosa contro infedeli e idolatri poUteisti. Completano la figura ereditaria del santo le caverne dell'Afghanistan, che ricordano i deserti di Medina, la parabola dell'Egira che doveva riportare il vittorioso messo di Allah alla Mecca. Per ora non sappiamo quale potrà essere la Mecca ritrovata del successore televisivo di Maometto; sappiamo che è scomparso, ma non sappiamo se è ancora «in esistenza di vita». E' qui che s'innesta l'altro mito, quello dell'Imam Nascosto, che dall'ottavo secolo ha continuato a torturare le menti e le anime degli islamici. Oggi che Osama è un somifantasma ai confini tra la terra e il cielo, più voce che corpo, più soffio che realtà, egli reincarna nello stesso momento due ipotesi sacre: il Maometto risorto e l'Imam scomparso che torneranno l'uno e l'altro, oppure l'uno o l'altro, nel giorno del giudizio universale. Il giorno del castigo divino degli infedeli e della fine dell'Occidente cristiano. Ma quelli degli studi di Doha, pur complici della beatificazione esoterica di Osama, non temono di protestarsi liberali e razionali. L'ambiguità è, e resta, loro pane quotidiano. La star di Al Jezeera, l'anchorman Faisal al-Qassem, ha dichiarato addirittura: «Non c'è libertà di stampa se non c'è democrazia. Noi siamo una stranezza del sistema. Per una volta abbiamo avuto la posiibilità di parlare, e quindi urliamo. Saddam Hussein è un mascalzone come tutti gli altri dittatori arabi». Pochi giorni dopo lo si è visto in video a Bagdad, mentre sorridente ed entusiasta abbracciava Saddam. La questione scabrosa è il contributo dato al culto e alla leggenda di Osama Bin Laden (vivo o morto che sia) Le apparizioni televisive ne hanno fatto il nuovo Maometto nell'immaginario mistico delle folle musulmane L'arma vincente è l'esclusiva assoluta ma sullo sfondo del successo si agitano interrogativi carichi di sospetti Ci si domanda se collabori con la Cia o se sia un braccio della Jihad L'arma vincente è l'esclusiva assoluta ma sullo sfondo del successo si agitano interrogativi carichi di sospetti Ci si domanda se collabori con la Cia o se sia un braccio della Jihad AL JAZEERA lo fa crescere; i capi siriani e pnmvgr